La strage degli innocenti, quando gli Alleati bombardarono Alessandria

Per non dimenticare. Per ricordare a noi stessi, in tempi di conflitto ucraino, e di minacce nucleari, che la guerra è sempre un incubo da scacciare: esattamente 78 anni fa, il 5 aprile, a venti giorni dalla fine della seconda guerra mondiale (1939-1945), gli alleati bombardarono la città di Alessandria. Si trattò dell’ultimo bombardamento alleato sull’Italia. Gli angloamericani lo effettuarono nel tentativo di sbarrare la strada ai tedeschi in ritirata. L’evento suscitò sentimenti di indignazione tra la popolazione, oltre a provocare un surplus di sofferenza, quando il conflitto stava per terminare.

Alessandria sotto le bombe

La città, che sembrava poter essere risparmiata dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale, finì tra gli obiettivi dell’operazione “Strangle”. Perché il nodo ferroviario di Alessandria risultava essere fondamentale per i rifornimenti della Wehrmacht. Per questo la città fu bombardata nel 1944: dapprima il 30 aprile al quartiere Cristo, attacco che fece 239 vittime e centinaia di feriti e ingenti danni (fu distrutto lo storico teatro municipale e l’antico Palazzo Trotti-Bentivoglio, sede di biblioteche, musei e archivi civici), poi a più riprese fino al mese di settembre, quando risultarono distrutte 360 case (più di 1500 gli edifici danneggiati). A giugno gli ordigni avevano raggiunto i ponti dei fiumi Tanaro e Bormida. Prima di quei bombardamenti si contavano 12 morti. Vittime di un errore del bombardamento britannico che, anziché colpire Torino e Milano, raggiunse cascina Pistona e il sobborgo di Litta Parodi. Fu colpita inoltre una casa colonica a Cascinagrossa presso San Giuliano Piemonte. Le prime bombe caddero il 14 agosto 1940: le vittime furono 14, dei quali 3 bambini e 5 soccorritori.  

Il conflitto che impatta sulla comunità

La città fu segnata dai tragici eventi legati alla seconda guerra mondiale: dai bombardamenti all’occupazione tedesca, dalle persecuzioni degli ebrei alla Resistenza. Tornando alle bombe, l’ordigno sganciato il 5 settembre 1944 sventrò il rifugio antiaereo del rione Cittadella, in via Giordano Bruno, dando la morte a 39 civili. Possiamo immaginare l’impatto di quell’azione su chi credeva di stare al riparo. Di venti vittime non furono trovati neanche i resti.

Il 5 aprile

Le bombe degli aerei angloamericani che caddero quel giorno su Alessandria colpirono la cattedrale. Fecero numerose vittime, tra diversi rioni popolari e nel centro abitato, sebbene l’obiettivo fosse la stazione ferroviaria: 160 civili, 41 dei quali erano bambini (28), suore e insegnanti dell’Istituto Maria Ausiliatrice. Furono colpite alcune chiese, oltre alla cattedrale, l’ospedale infantile “Cesare Arrigo” e l’asilo di via Gagliaudo. Le case rase al suolo furono 45 e oltre 600 i feriti. Un attacco brutale, al punto che il comando provinciale dei partigiani del CLN (Comitato Liberazione Nazionale) inviò una nota di protesta al Comando Alleato in Italia. A distanza di tanti anni, la ferita resta aperta per la città di Alessandria.

“Terra e polvere”, la tenerezza come una trasgressione

Ce lo ricorda anche papa Bergoglio. Il povero Francesco che in queste ore, per qualche giorno almeno, merita in abbondanza i nostri pensieri, le nostre preghiere. La tenerezza è una vera rivoluzione, sia nella dimensione privata che in quella collettiva. Ce n’è tanta in “Terra e polvere”. Un film romantico e drammatico insieme nel quale i due protagonisti, Ma Youtie (interpretato da Wu Renlin) e Cao Guiying (Hai Qing), non si scambiano nemmeno un bacio, ma si prendono reciproca cura. Il loro è un amore con la A maiuscola. Un sentimento capace di mitigare le asprezze delle vite difficilissime che vivono.

Terra e polvere, l’intimità che solo in pochi raggiungono

“In città, prima di uscire insieme, le persone guardano anche ai beni materiali e poi decidono se amarsi o meno. Nei villaggi, le persone sono quasi invisibili e non possiedono nulla, quindi mi piace immaginare che il loro sia un amore puro”. Così il regista Li Ruijun, 38 anni, al suo sesto lungometraggio, fotografa la realtà dell’ambientazione. Siamo a Gaotai nel Gansu cinese. Questo l’obiettivo: “Ho voluto creare un mondo privato ed esclusivo tutto per loro. Quando si lavano a vicenda nel fiume o si sdraiano accanto per chiacchierare… Ecco, quella è l’intimità”. Terra e polvere è anche un film sui cosiddetti ultimi. Ovvero sulle persone che antepongono il silenzio al chiacchiericcio, al frastuono.

La Cina

A far da sfondo alla storia c’è un Paese che sta cambiando in una collisione di sistemi. Una civiltà che appare sospesa tra l’odierna urbanizzazione, non priva di contraddizioni, e il passato contadino, foriero di nostalgia. Per i suoi contenuti, il film, nelle sale italiane da ieri, si preannuncia interessante e di alto spessore: presentato in concorso al 72° Festival di Berlino, è stato insignito del Black Dragon Award e del Silver Mulberry Award al Far East Film Festival di Udine. In Cina è stato accolto con un notevole successo di pubblico. I matrimoni combinati, in una parte del Paese, accadono ancora. Così quello inscenato tra i due protagonisti di Terra e polvere dimostra non solo la casta attrazione ma anche la forza come somma di due solitudini. Povertà sociali emotive affettive capaci di tramutare e arricchirsi per mezzo dell’incontro che si fa legame solido e duraturo.

Iraq, 20 anni fa l’inizio dell’invasione americana e un numero di vittime imprecisato

La guerra è sempre orripilante. Fonte di orrori compiuti dai soldati, nei suoi effetti collaterali, dentro un clima di follia contagiosa, generalizzata. Qualunque matrice abbia, la guerra andrebbe condannata: che sia voluta dalla Federazione russa in Ucraina, dalle dittature, oppure dai democratici Paesi occidentali. Compresa l’invasione americana dell’Iraq, che ha avuto inizio esattamente 20 anni fa, e che ha fatto un numero imprecisato di vittime umane. Le fonti sono discordanti. Qualsiasi cifra appare inaccettabile – da 150mila a 223.000 di morti civili, solo nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006. Si parla di un milione di vittime in totale. L’unica certezza sono quelle cifre riferite ai primi tre anni, esito di un vasto studio condotto dal governo iracheno e dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Le cause della guerra in Iraq

L’obiettivo principale della seconda Guerra del Golfo era la deposizione di Saddam Hussein (1937-2006). Il quale, secondo la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti d’America, appoggiava il terrorismo islamista, e provava a dotarsi di armi di distruzione di massa. Tuttavia i timori si rivelarono falsi. Così la minaccia alla sicurezza globale. Dell’arsenale di armi chimiche, infatti, non fu trovata traccia. Altra accusa rivolta all’ex presidente dell’Iraq era la volontà di appropriarsi delle ricchezze petrolifere del Kuwait. In barba a quanti la consideravano un crimine, la guerra fu decisa all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2011 e della caccia ai talebani. L’Italia non prese parte alle operazioni militari ma fornì appoggio politico e logistico alla “operazione speciale”. Il conflitto, durato tanto, si tramutò in una resistenza e guerra di liberazione dalle truppe straniere, invise a molti gruppi armati arabi.

Le conseguenze

L’esito della guerra, avviata dall’allora presidente George W. Bush e conclusasi dopo otto anni (18 dicembre 2011), fu la vittoria statunitense. Ovvero l’abbattimento del regime di Saddam, al quale fece seguito la guerra civile e tribale. Quindi un periodo di forte instabilità. E la situazione adesso si starebbe anche deteriorando. Le conseguenze della guerra riguardano anche il patrimonio culturale: gli americani vengono ritenuti responsabili anche della distruzione dei santuari cristiani. All’impoverimento generale fa da contraltare il “successo” delle armi. Che sono finite, in gran numero, nelle mani della popolazione locale, alimentando conflitti vari e pesanti. Permane il pericolo mine nei territori non bonificati. Il Paese, dopo il ritiro degli americani, è stato spartito tra Al Qaeda e il Califfato. A partire dal 2014 lo Stato islamico dell’Isis prese il sopravvento sulle operazioni di democrazia instaurata. Complessivamente, il prezzo dell’esportazione del modello democratico fu la distruzione di intere città e milioni di rifugiati. Si ricordi la seconda battaglia di Falluja che, per ammissione dello stesso esercito americano, è stato il capitolo più sanguinoso della guerra in Iraq e uno dei più pesanti combattimenti urbani.

La bellezza di un funerale senza lacrime

Quando un uomo di Dio ci lascia, il sentimento dominante è la serenità. Quella di chi ha vissuto nella fede sino all’ultimo istante. Allora, i travagli che non conoscevamo, in Benigno Luigi Papa, hanno trovato la via della pace. E quella personalità mite generosa riservata ha donato proprio la serenità ai fedeli che hanno riempito la Concattedrale per il suo funerale. Il fine studioso e uomo di preghiera, capace di penetrare, insegnare le Sacre Scritture, e soprattutto di viverle – ha ricordato nell’omelia l’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro – ha messo la parola di Dio al centro del proprio cammino esistenziale ed esperienza pastorale. Una scelta condivisa dalla fiumana di sacerdoti che hanno preso parte alla stessa funzione in una chiesa affollata. C’era il cardinale, Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna; c’erano religiosi e laici provenienti anche dalla Calabria. E il sottoscritto che ha assistito alla bellezza di un funerale senza lacrime. Così, con sobrietà, la città di Taranto ha dato l’ultimo saluto all’arcivescovo emerito, spirato nella notte del 6 marzo.

Chi era Benigno Luigi Papa

Teologo di grande spessore, veniva dalla provincia di Lecce (Spongano), dove nacque il 25 agosto 1935. Fu ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Bari Enrico Nicodemo nel marzo 1961. È stato alla guida della diocesi di Oppido-Mamertina-Palmi, arcivescovo di Taranto, vicepresidente per il Sud Italia della Cei e presidente della commissione episcopale per il clero e la vita consacrata e presidente della commissione episcopale per la famiglia. Quanto al legame con la città dei due mari, come ricorda Silvano Trevisani, subentrando a Salvatore De Giorgi egli fu pastore negli anni difficili di Taranto, quando c’era da contrastare la guerra di mala. Seppe opporsi sollecitando la reazione della comunità. Poi con una questione gigantesca si è dovuto confrontare. Quella ambientale, con la catastrofe che ha tanti corresponsabili. Il coinvolgimento nell’inchiesta “Ambiente svenduto” non lo poteva turbare. La riprova sta proprio nel suo funerale, in ciò che ha lasciato nei fedeli che gli erano affezionati. Nei non credenti che gli riconoscevano la mitezza e lo spessore culturale.

Il Quarto Stato oggi: migranti. Il fallimento della speranza

La tragedia ha occupato le prime pagine dei giornali, in mezzo agli altri accadimenti, gli articoli di fondo delle firme più autorevoli e più attente, l’apertura dei telegiornali. Ma quanto siamo presi dall’ultima strage di migranti? Quella avvenuta a due passi dalla nostre case – 150 metri dalla riva del litorale di “Steccato” di Cutro, a Crotone. Non abbastanza: la risposta che potremmo darci. A mio parere, non per egoismo o indifferenza, ma per la nostra umanità, in senso stretto: le immagini che non vogliamo vedere rappresentano il  fallimento della speranza. Ovvero di ciò che muove il cammino esistenziale. Ci viene in nostro aiuto l’Arte. Ad aprirci gli occhi, a motivare il nostro stesso atteggiamento, facendoci entrare in empatia con lo stato d’animo dei più sventurati è il dipinto di Giovanni Iudice intitolato “Il Quarto Stato oggi: migranti”. L’artista vi rappresenta il doloroso destino degli emigranti africani approdati sulle coste siciliane.

La lezione di Vittorio Sgarbi. Il destino dei migranti

Così il famoso critico d’arte, che in una recente lectio su “Europa e Mediterraneo” ha presentato il dipinto, scrive dello stesso: “Una singolare testimonianza di profondissimo impegno individuale, pur nell’ambito di convincimenti comuni, e meditando all’impegno etico di Antonio Lòpez Garcia, è quella maturata da Giovanni Iudice, pittore in equilibrio fra realismo magico e neorealismo, al quale si deve l’opera più impegnativa dipinta in Sicilia dopo La Vucciria di Renato Guttuso”. “Un’opera corale – chiarisce Vittorio Sgarbi – nella quale si rappresenta il destino degli emigranti dall’Africa sulle coste siciliane tra Lampedusa e Gela. Quella umanità rassegnata, incapace di decidere il proprio destino, rappresenta il fallimento della speranza cento anni prima evocata nel Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo”.

“Il cammino percorso da quel popolo si è interrotto. E il viaggio verso la speranza si è rivelato, per il popolo dei disperati, un viaggio verso la morte o verso il nulla”. Questo il messaggio, che l’Autore “racconta con freddezza, senza apparente coinvolgimento emotivo”. “Per il suo valore simbolico, l’opera è stata esposta nelle sale dell’Assemblea Regionale Siciliana a Palazzo dei Normanni”, ci ricorda Vittorio Sgarbi. La rassegnazione dei migranti è il nostro senso di impotenza rispetto al ripetersi di simili tragedie nel Mar Mediterraneo e al fallimento delle politiche Ue. Sentimento che non proviamo, invece, guardando alla guerra in Ucraina, laddove prevale l’indignazione e la speranza di poter cambiare qualcosa attivamente attraverso l’invio di armi. O nella ricerca di vie della pace, ancora meglio.

Uniti ma diversi: i nuovi cristiani

Se c’è qualcosa che continua ad insegnarci la Chiesa cattolica è a camminare tutti nella stessa direzione. Insieme si cresce, si cade, e ci si rialza, ogni giorno. Si guarda oltre. E ciò che più conta non è non sbagliare, ma sapere dove guardare. Credere nella Resurrezione per mezzo del Risorto. Al centro dell’impervio percorso c’è la Pastorale intesa come esperienza di attiva partecipazione. Ne tratta in Bisbigli pastorali monsignor Paolo Oliva, Vicario Episcopale per il Laicato. La Pastorale è il luogo in cui ognuno realizza la propria vocazione, nel miglior modo, vivendo il suo carisma per la comune edificazione. Ciò avviene attraverso il dialogo. Che per mezzo della interazione tra il parroco e la comunità, trova una variegata modalità di espressione. Il dialogo è alimentato da istanze spirituali pastorali pedagogiche. Lo stesso lettore è invitato a conoscerle attraverso questo volume, la cui prefazione porta la firma dell’arcivescovo metropolita di Taranto, Sua Eccellenza Mons. Filippo Santoro. Bisbigli pastorali sono la testimonianza di questo dialogo che nasce da un’esperienza personale condivisa. Per don Paolo, punto di riferimento dei parrocchiani della Santa Teresa del Bambin Gesù, parroco dal 1986 nel capoluogo ionico, la dimensione comunitaria della fede è elemento imprescindibile da riscoprire in questo particolare momento storico. La comunità dei credenti è chiamata quindi a percorrere insieme la strada della carità e della evangelizzazione. Guardando al tempo inteso come kairos, quello della salvezza, alla quale tende in modo originale ogni persona, l’obiettivo è lanciarsi nella scoperta di una nuova modalità dell’essere cristiani. Che è tutta da esplorare ancora. La Chiesa che dialoga con la contemporaneità non giudica e non condanna. Si adegua ai tempi, senza rinnegare la propria identità, la tradizione. E magari cerca di comprendere le ragioni della regressione culturale e spirituale che sembra attraversare l’umanità.

Uomo di fede e di cultura, con alle spalle anni di insegnamento all’università e nella scuola pubblica,  il sacerdote originario di Martina Franca sa aprirsi ai nuovi mezzi di comunicazione preservando la sua unicità, il proprio stile. In quasi quarantaquattro anni di sacerdozio ha conosciuto ignavi, indifferenti, falsi credenti e falsi atei. Ha baciato le mani di pontefici e santi. Come quella di Giovanni Paolo II, il papa polacco che tanto hanno amato i giovani.

Il suo libro, pubblicato da VivereIn, è uno strumento in più per avere coscienza anche di ciò che la comunità dei cristiani sa produrre di buono. La mission è sempre quella di duemila anni fa. Il rinnovamento della Chiesa, non sostanziale, passa dalla cosiddetta sinodalità. Che significa condivisione e partecipazione. Il modus vivendi et operandi non può, poi, non tener conto delle diversità interne ed esterne alla stessa comunità. Il vero dialogo è quello che rispetta le posizioni differenti e sa trovare punti di incontro.

La sensibilità di Francesca Fagnani e il coraggio di contestare un grande magistrato come Gratteri

L’intervento della giornalista nella seconda serata del Festival di Sanremo. Così Francesca Fagnani accende i riflettori sulle carceri, emergenza non tenuta nelle giusta considerazione, attraverso le parole dei ragazzi del carcere minorile di Nisida. La sensibilità della conduttrice di “Belve” e il coraggio di contestare un grande magistrato come Gratteri. “Un detenuto non va picchiato perché lo Stato non può applicare le leggi della sopraffazione e della violenza. Se non faremo in modo che chi esce dal carcere sia meglio di come è entrato sarà un fallimento per tutti”

Chi salva un bambino salva il mondo intero

La tragedia e l’umanità. A far da contraltare alle immagini impressionanti provenienti dalla Turchia, dove abbiamo visto interi edifici sgretolarsi, gli effetti del terremoto devastante, ci sono gli esempi più edificanti. Chi salva un bambino salva il mondo intero, vien da pensare, con riferimento agli ultimi stravolgimenti, dagli orrori della guerra in Ucraina alla calamità naturale: tanto è contraddittoria la natura umana che l’individuo è capace di perpetrare orrori e poi di riscattarsi attraverso gli slanci di generosità donati tirando fuori il meglio proprio nelle situazioni emergenziali.

Tra i veri e propri miracoli avvenuti nella zona terremotata, al confine con la Siria, c’è il salvataggio di un bambino di 8 anni. Era stato sotto le macerie per cinquantadue ore. Un tempo irragionevole per pensare di vederlo tratto in salvo. Invece è successo: merito della macchina della solidarietà, che nulla chiede in cambio, delle mani nude che scavano, noncuranti della fatica e del freddo intenso.

I numeri della catastrofe

Sempre più, il bilancio delle vittime si aggrava: sono oltre 11mila i morti accertati. Si teme che possano essere più di 20mila in totale. Oltre 37.000 i feriti. Trecentomila le persone che sono state costrette a lasciare le loro case.

La gestione emergenziale

“Abbiamo mobilitato tutte le nostre risorse. Lo Stato sta facendo il suo lavoro”, ha dichiarato Erdogan, ammettendo però le grandi difficoltà incontrate. “Inizialmente ci sono stati problemi negli aeroporti e sulle strade, ma oggi le cose stanno diventando più facili e domani sarà ancora più facile”. Il mea culpa del presidente turco non può che trovare la comprensione generale. Perché rispetto ad una simile catastrofe nessuno può farsi trovare preparato.

Lo sciame

La terra trema ancora, intanto: poco dopo le ore 14, nella provincia di Malatya, a Dogansehir, è stata registrata una scossa di magnitudo 5,3. Lo comunica l’Autorità turca per la gestione dei disastri e delle emergenze (Afad). Lo sciame sismico potrebbe durare mesi. Ma il rischio “epidemia”, rassicurano gli esperti, è scongiurato. Quelle immagini, in ogni caso, non sono affatto lontane e ci scuotono profondamente. Nel bene e nel male.

Tigray, la guerra dimenticata che ha fatto oltre mezzo milione di vittime

Non solo Ucraina. Tra le guerre in corso nel 2023 (non possiamo considerarla chiusa) c’è quella del Tigray, nel nord Etiopia, che in due anni ha fatto oltre mezzo milione di vittime: l’Unione europea parla di un numero compreso tra i 600.000 e gli 800mila morti civili (donne, uomini, bambini) – tra i 100.000 e i 200mila, i militari deceduti. Gli sfollati sono più di 2 milioni e mezzo.

DUE ANNI DI CONFLITTO- La guerra ha avuto inizio con l’ascesa al potere di Abiy Ahmed Ali. Il primo ministro etiope, attraverso la sua politica, con le riforme e con il rinvio delle elezioni nel periodo della pandemia, ha provocato la reazione del Tigray: il governo regionale ci vede il tentativo di distruggere il sistema federale del Paese. E ha tenuto le proprie elezioni in autonomia. Da verbale, l’escalation si è fatta fisica, portando all’inizio del conflitto: nel novembre del 2020, il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray ha attaccato le basi militari del governo federale.

PULIZIA ETNICA- Amnesty International ha denunciato i gravi abusi commessi ai danni della popolazione civile. Al punto che si può parlare di pulizia etnica. Tra le negazioni dei diritti, c’è la negazione degli aiuti umanitari che non arrivano a destinazione. La popolazione è vittima della fame e della siccità. In un’area dove i cambiamenti climatici hanno reso la sopravvivenza ancora più difficile.

LA GUERRA INVISIBILE- Come tutte le guerre che avvengono in Africa, il conflitto del Tigray non accende i riflettori dei media. Sarà perché le ricadute dello stesso non coinvolgono l’economia europea.

L’ILLUSIONE DELLA TREGUA- Nel novembre 2022, a Pretoria, i rappresentanti del governo centrale e i leader del Tigray People’s Liberation Front (TPLF) hanno firmato un accordo di pace il governo etiope e le forze del Tigray hanno firmato un cessate il fuoco che prevede il disarmo delle milizie e il rispetto dell’integrità territoriale del Paese. Ma si tratta di una fragile tregua. Un accordo che, in sostanza, tiene accesi i rancori tra le opposte etnie. Non a caso, l’International Crisis Group fa rientrare la guerra del Tigray tra le dieci crisi mondiali da guardare con particolare attenzione.

L’Onu denuncia casi di torture su prigionieri russi: la brutalità della guerra in Ucraina

Non ha vincitori né vinti. Buoni e cattivi. Carnefici e vittime. Come in tutti i conflitti: offesa oltraggiosa alla sacralità della vita, la brutalità della guerra in Ucraina rende tutti ciechi, esalta la bestialità, il germe della violenza e della sopraffazione che è dentro la persona. L’Onu denuncia casi di torture su prigionieri russi. Almeno cinquanta, quelli avvenuti nei primi 6 mesi del conflitto. Lo rende noto un Rapporto dell’Ufficio dell’Alto Commisario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR). Come dichiarato da Ravina Shamdasani, la portavoce dell’agenzia, si tratta di torture o varie forme di maltrattamento inflitte dai combattenti ucraini sui prigionieri di guerra russi.

Le prove delle torture

Le violazioni dei diritti umani sono documentate da un video presentato dalla Federazione Russa. Oltre che dalla testimonianza diretta, dalla voce degli stessi prigionieri – per l’attività di monitoraggio, l’accesso ai luoghi di internamento viene consentito. L’autenticità del video è stata verificata dall’Ufficio. I casi di tortura erano stati già denunciati dal commissario per i diritti umani della Repubblica Popolare di Luhansk, Viktoriya Serdyukova, avvenuti tra i trenta militari dell’LNR rilasciati l’8 gennaio. Due di loro erano tornati a casa in gravi condizioni.

C’è poi il racconto di un prigioniero che per due notti sarebbe stato fatto oggetto di abusi dai soldati delle Forze armate ucraine (Afu). E ancora, lo scorso 14 gennaio, la commissaria russa per i diritti umani Tatyana Nikolayevna Moskalkova ha mostrato un filmato con torture su militari russi. Di maltrattamenti parla il medico militare Daniil Pshenychnyy. Il quale, in un’intervista al Tribunale, ha dichiarato che i militari russi catturati dall’esercito ucraino sono stati picchiati e manipolati dai loro parenti.

LA SVOLTA NEL CONFLITTO- L’escalation, intanto, continua: autorizzato l’invio di Leopard dalla Germania e di Abrams dagli Stati Uniti, la risposta di Mosca non si è fatta attendere. Ed è più di una minaccia la volontà espressa di distruggere i carri armati utili al supporto dell’Ucraina.

Mosca plaude al papa e ai negoziati: no all’invio di carri armati in Ucraina

Come si esce dalla guerra e dal rischio di un’escalation costante? Con scelte oculate, la strada dei negoziati va promossa, incentivata, specie dai cristiani: da papa Bergoglio arriva il no all’invio di carri armati in Ucraina. Segnatamente la fornitura di veicoli blindati a Kiev da parte dell’Occidente viene considerata una “strada verso il nulla”. La situazione in Ucraina deve essere risolta, invece, ai tavoli dei negoziati.

È quanto emerge dal colloquio avuto da Leonid Sevastyanov con il Santo Padre: a riferirlo, lo scorso 16 gennaio, lo stesso Presidente dell’Unione mondiale dei Vecchi credenti. Una figura importante, quella dell’interlocutore russo, che rappresenta quanti sono impegnati a lavorare attivamente per la pace. Francesco lo aveva già ringraziato affermando: “Noi, cristiani, dobbiamo essere ambasciatori di pace”. Adesso Leonid Sevastyanov riferisce il pensiero del successore di Benedetto XVI sulla fornitura di armi pesanti: “Il papa dice che questa è una strada che non porta a nulla, e che tutti devono sedersi al tavolo dei negoziati”.

Lo sforzo per i negoziati

Il direttore esecutivo della Fondazione San Gregorio legata al dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca ha inoltre affermato che il pontefice ha offerto il Vaticano come piattaforma negoziale. Francesco ha espresso la sua disponibilità ad aiutare a “portare tutti al tavolo dei negoziati, e a trovare un algoritmo comune per risolvere il problema”.

I numeri del conflitto in Ucraina

La catastrofe non si arresta, intanto: sono più di 7mila i morti civili dall’inizio della guerra – 456 i bambini. Il bilancio aggiornato delle vittime è stato dato dall’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr). E si tratta di numeri sottostimati. Come riferisce il quotidiano britannico Guardian, la maggior parte delle vittime è stata causata dall’attacco di armi esplosive con effetti ad ampio raggio, tra cui bombardamenti di artiglieria pesante, sistemi missilistici a lancio multiplo. Ovvero missili e attacchi aerei.

L’eterno Buffon: quando la Coppa Italia vale più della Champions League

Ci è mancato poco che il suo Parma portasse l’Inter alla clamorosa eliminazione. Gianluigi Buffon, 45 anni tra pochi giorni, ha dimostrato che la Coppa Italia può valere quanto o più della Champions League, di un Mondiale o dell’Europeo. Questione di obiettivi e di aspirazioni. La squadra di serie B, sesta in classifica, ha accarezzato il sogno di battere l’Inter agli ottavi di finale e di proseguire l’avventura sino alla conquista del trofeo. Gli uomini allenati da Simone Inzaghi avranno pur faticato al “Meazza” ieri sera ma sono gli unici ad avere sconfitto il Napoli in questa stagione. Hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie per raddrizzare il match portato ai supplementari, proprio grazie alla parata super di Buffon su Dzeko in pieno recupero. Il goal di Acerbi poi ha spento le speranze della formazione di Fabio Pecchia che era passata in vantaggio nel primo tempo con un eurogoal di Juric.

Conosciamo tutti Buffon, il campione, il portierone trionfatore nella finale dello stadio Olimpico di Berlino nel 2006; e pure i limiti della persona, che dopo Italia – Svezia (13 novembre 2017), la famosa partita che non consentì alla nazionale italiana di centrare la qualificazione al campionato mondiale di calcio tenuto in Russia, si scagliò contro l’arbitro dicendo “ha il bidone dell’immondizia al posto del cuore”. I numeri e le azioni virtuose possono compensare gli errori. Accade in qualsiasi ambito, anche nel mondo del pallone – non era un santo Diego Armando Maradona. Inaccettabili allora sono stati i fischi che una parte della tifoseria nerazzurra ha fatto piovere su Gianluigi Buffon. Lo dico da interista. Chi continua a mettersi in gioco, a faticare per esprimersi ai massimi livelli in un campo di gioco (non si è decrepiti, ma quando entri negli “anta” si fanno più lente le capacità di recupero), merita solo rispetto e considerazione. I fuoriclasse, poi, calciatori come Lionel Messi o Kylian Mbappé, non dovrebbero mai avere tifo contro ma sempre a favore. L’auspicio è che Gianluigi Buffon possa raccogliere altri applausi e raggiungere i suoi obiettivi continuando ad essere un esempio per le nuove generazioni.

La stampa iraniana: “Il Regno Unito commette numerose violazioni dei diritti umani”

Le scuse degli occidentali. Che in nome della libertà, della lotta al terrorismo o ai regimi totalitari, interferisce (per interesse) negli altrui affari comportandosi male. Per la stampa iraniana è il Regno Unito che commette numerose violazioni dei diritti umani. Lo scrive Hassan Babaei sulle pagine del quotidiano britannico Tehran Times. Lo stesso ricorda i “106 risultati delle ispezioni contro i diritti umani riguardanti il mancato rispetto da parte del Regno Unito delle sentenze della Corte europea dei diritti umani, per le quali il governo britannico non ha fornito alcuna risposta adeguata”. “E la violazione delle leggi umanitarie – continua il giornale – denunciata dal Comitato internazionale della Croce rossa alle forze della Coalizione, durante la guerra contro l’Iraq, quando l’esercito britannico lo aveva occupato”.

Iran e guerra in Ucraina

Tehran Times bolla come “ridicole” le sanzioni del governo britannico. È evidente che l’Iran voglia evitarle. E inviare missili alla Russia scongiurando nuove sanzioni dell’Onu: i Fateh-110, e non gli Zolfaghar, in modo da restare nell’ambito della risoluzione che gli impedisce di vendere vettori con gittata maggiore di 300 km. L’Unione europea ha condannato il sostegno militare a Mosca. E ha messo in guardia l’Iran dalle conseguenze legate a una qualsiasi nuova consegna di armi.

Tornando alle accuse della stampa iraniana, “è confermato da molti esperti che la violazione dello Stato di diritto, dell’indipendenza giudiziaria, della libertà di parola e delle proteste legali come elementi principali della vita politica sono sempre utilizzati dal Regno Unito come strumenti per sopprimere – attraverso il dispotismo informativo – i Paesi liberi e indipendenti”. Le violazioni riguarderebbero la politica estera come quella interna. Gli inglesi, in particolare, sono accusati della più grande carestia e disastro avvenuti nella storia dell’Iran quando (tra il 1917 e il ’19) le forze ostili entrarono nel Paese dai confini settentrionali e meridionali – si parla anche del genocidio di circa 6 milioni di abitanti dell’altopiano iraniano.

È una storia, questa, che rimanda ai presunti crimini di guerra commessi dall’esercito ucraino, già a partire dal conflitto del Donbass (2014-15). Le accuse si rimpallano. La situazione incandescente, il risultato che l’escalation non si può arrestare.

Ponte di Crimea, l’ammirazione dei francesi per il video di Putin

Il presidente russo è al volante di una Mercedes. Sta attraversando il ponte di Crimea, che è stato ricostruito dopo l’attentato subito, con un’autobomba, lo scorso otto ottobre (nell’incidente morirono 4 persone): si vede Vladimir Putin, affiancato dal vice primo ministro Marat Khusnullin, indicato dalla televisione pubblica russa. Le immagini, girate nella giornata di ieri 5 dicembre, hanno fatto il giro del mondo, del web; e i media russi enfatizzano l’ammirazione dei francesi per lo stesso video.

Il video avrebbe entusiasmato i lettori del quotidiano francese “Le Figaro”. I quali hanno richiamato l’attenzione sulla velocità con cui Mosca è riuscita a ripristinare le infrastrutture distrutte: il ponte di Kerch che collega la Crimea con il territorio della Federazione russa – aperto al traffico sul lato dove sono state ripristinate le due campate danneggiate dall’esplosione. Putin ha definito quell’incidente un attacco terroristico contro le infrastrutture civili critiche del Paese. Ha parlato di terrorismo internazionale, segnatamente.

La reazione: il ponte di Crimea già ricostruito

Tra i commenti c’è chi sottolinea il fallimento della controffensiva ucraina: “Il presidente ucraino Zelensky deve aver guardato tutto in tv e si è mangiato la camicia. La Russia è riuscita a ricostruire tutto in un periodo di tempo così breve”. Un altro utente ha persino ammirato l’intelligenza del presidente ucraino. Ovvero il fatto che la leadership ucraina e gli Stati Uniti “non sono riusciti a superare Putin”.

La tesi sostenuta della propaganda russa è che le sanzioni antirusse stanno danneggiando solo l’Occidente stesso: “La Russia sta ricostruendo un enorme ponte in poche settimane, e in Europa non riusciamo a pagare i conti. Chi sono allora i danneggiati dalle sanzioni?”. In forza di questa prova c’è chi sentenzia la sconfitta dell’Ucraina. Quindi della Nato e dell’Europa. Il caso dimostra che il malumore è un sentimento diffuso in Francia, e non solo: l’insofferenza degli europei preoccupati dalle ricadute negative della guerra in Ucraina. Gli interrogativi sull’efficacia delle sanzioni alla Russia.

Un premio alla carriera ne “L’anima poetica di Pierfranco Bruni”

Innovare e innovarsi restando fedeli a se stessi. Adeguarsi al vento teso del cambiamento restando aggrappati alla tradizione. È questa la mission dell’intellettuale dei nostri tempi. Per assolverla, può essere preso a modello Pierfranco Bruni: un uomo d’altri tempi, di cultura e di fede, un personaggio divisivo, che dice e scrive sempre quello che pensa. Un uomo del Novecento. Che conserva un’eleganza innata, e una mente sempre aperta.

L’anima poetica di Pierfranco Bruni

Chi conosce molto bene l’intellettuale calabrese è Stefania Romito. L’unica a poter scrivere di un Autore tanto profondo e prolifico, che ha assorbito, gli ha dedicato “L’anima poetica di Pierfranco Bruni”. Opera che sa di premio alla carriera per l’intellettuale calabrese già candidato al Nobel per la Letteratura. Nella stessa l’Autrice riconosce nell’accoglienza la dote migliore dello scrittore omaggiato con questo libro: egli accoglie e “raccoglie” tutto ciò che di più prezioso è contenuto all’interno della poesia classica per interiorizzarlo e innovarlo attraverso la creazione di componimenti dotati di una grandissima raffinatezza e ricercatezza stilistica. Così SR lo definisce uno tra i più straordinari “evoluzionisti poetici”. La sua operazione di recupero e rielaborazione è utile al lettore giovane o adulto: si pensi ad Amare Pavese (Pellegrini), opera capace di riabilitare uno scrittore osteggiato e temuto.

Il professor Bruni può essere apprezzato o meno nelle molteplici vesti in cui è stato attivo – il politico, già assessore alla Cultura, si candidò alla presidenza della Regione Puglia con Fiamma Tricolore; il talento che non gli si può non riconoscere è la capacità di eccellere nell’arte dei versi. E questo vuole celebrare l’opera pubblicata da Passerino Editore. Da Alle soglie della profezia (Pellegrini Editore) a Luisa portava in una mano una scarpetta di lana (Tabula Fati), l’ultima opera di letteratura, c’è racchiuso il cammino esistenziale dell’uomo che ritrova se stesso nella presenza delle assenze. La sofferenza che trova nella sublimazione una via d’uscita.

Non sono mai disperanti i versi di Pierfranco Bruni, rivestiti di una fede non bigotta, spesa nell’amore per la scrittura. Sempre imperante la dimensione del sogno e del desiderio, all’origine del viaggio, punto a cui fare ritorno, c’è il passato come strumento di conoscenza del presente e dell’umana essenza. Mentre le sensualità poetiche e visive si fondono con l’immagine del Mediterraneo che è il cuore pulsante della nostra civiltà e della nostra cultura.

L’autrice

Stefania Romito è nata in Svizzera da genitori italiani. Scrittrice e giornalista radiotelevisiva, ha all’attivo diverse pubblicazioni, tra raccolte di poesie, racconti e romanzi. Nel 2010 il suo esordio nella narrativa con “Attraverso gli occhi di Emma” (Alcyone Editore). Responsabile letteraria del Nuovo Rinascimento e del Sindacato libero scrittori italiani per la Lombardia, ha collaborato con il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo. Con Il buio dell’anima (Libromania, 2019) si è aggiudicata il premio speciale d’Eccellenza Città del Galateo “Antonio De Ferraris 2021”. La poetica di Pierfranco Bruni segue alla pubblicazione di Delyrio (La Bussola).

La priorità di Putin? Aumentare l’aspettativa di vita media in Russia

La guerra continua a insanguinare l’Ucraina. A tenere in ambasce l’Occidente, il mondo intero, a turbare il presente, e i sonni di chi non riesce a scorgere tempi sereni. E qual è la priorità di Vladimir Putin? Trovare la via più rapida per porre fine al conflitto che si protrae da nove mesi? Niente affatto. È aumentare l’aspettativa di vita media in Russia. Lo ha dichiarato lo stesso presidente della Federazione Russa. Che così motiva: “Guidando verso il club degli ultraottantenni, questo obiettivo rimane. Sicuramente ci muoveremo e andremo in questa direzione: lo faremo anche con l’aiuto di strumenti di intelligenza artificiale”. Putin parla dell’aspettativa e della qualità della vita come indicatore generalizzato del lavoro dello Stato in tutti i settori, dall’economia alla sfera sociale.

La posizione espressa alla conferenza “Viaggio nel mondo dell’intelligenza artificiale” si colloca sulla scia delle dichiarazioni del presidente del Consiglio di vigilanza dell’Istituto per la demografia, le migrazioni e lo sviluppo regionale Yuri Krupnov, il quale ha parlato del fenomeno dell’inverno demografico. Un problema che riguarda il mondo intero. A dispetto delle varie teorie, previsioni sul pericolo della sovrappopolazione – seconda una stima ufficiale delle Nazioni Unite la popolazione mondiale ha già raggiunto gli 8 miliardi di persone. Per Krupnov il problema principale ora è la “piaga dei bambini piccoli”. Il Fondo pensionistico russo (Pfr) prevede un numero che si aggira tra un milione 385.500 neonati nel 2023 e 1.399.200 nel 2024. Mentre il 2022 potrebbe chiudersi con 1,37 milioni di bambini. Non è un problema invece la longevità della popolazione. E qui Putin da prova di quanto sia contraddittoria la sua natura: noncurante delle vite giovani e giovanissime spezzate in Ucraina, effetto collaterale della “operazione speciale”, come la chiamano ancora i media russi, ha definito nell’aumento dell’aspettativa di vita (da portare a oltre 80 anni) la priorità della Federazione Russa.

Le città del futuro: la sfida di un’economia che metta al centro la vita

Invertire la rotta. Arrestare un processo che, per certi aspetti, appare già irreversibile: la salvaguardia del creato, l’azione di contrasto alla crisi ambientale, passano anche attraverso l’opera green di copertura arborea urbana, sostenuta dall’Istituto forestale europeo (Efi). Occorre ridisegnare le città del futuro portando avanti la sfida di un’economia che al metta al centro la vita. Il concetto chiave è questo. Serve, urge anzi, un cambio di paradigma. Perché, se lo scopo è il consumo, l’effetto creato è quello del boomerang.

Da un lato ci sono città modello come Oslo, Berna, Lubiana e Parigi, che vantano un 20 per cento di verde; dall’altra le metropoli che non se ne curano, che inquinano – la maglia nera è Atene. Cosa accade nel Belpaese? L’Italia è riconosciuta come leader capace di influenzare il design urbano e industriale, in tutto il mondo, nella ricerca della Bellezza che va oltre il buongusto. L’Efi allora ha aperto recentemente una sede anche a Roma.

Le tematiche di cui si discute non sono affatto nuove. Basti ricordare che l’Istituto forestale europeo, con sede in Finlandia, a Joensuu, è nato nel 93 del secolo scorso. La sua mission è quella di dare sostegno alle politiche sulle questioni relative alle foreste. In modo scientifico, attraverso la ricerca e la condivisione, la messa in rete. L’attenzione nelle città non è rivolta solamente ai parchi ma anche alle infrastrutture. Servono alberi per la deforestazione: il verde dovrebbe colorare l’area urbana, periurbana ed extraurbana. La comunità poi è chiamata a prendersi cura di quanto abita le città del futuro.

Deve fare la sua parte la politica. E in Italia si sta andando nella giusta direzione, bisogna dire: la forestazione delle città metropolitane, quelle più colpite dagli effetti nefasti del cambiamento climatico, era prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con lo stanziamento di 300 milioni di euro. I Comuni stanno recependo l’istanza riconoscendo un’opportunità unica nell’iniziativa.

Un calcio al romanticismo: la proposta di matrimonio ostacolata sul campo di gioco (VIDEO)

Alla fine è dovuto intervenire l’arbitro. Che ha messo una mano sul cartellino, e l’altra sul cuore: così è riuscita la proposta di matrimonio fatta alla sua fidanzata da Vladislav Shubovich. Il difensore 22enne dello Smorgon era intenzionato a festeggiare nel miglior modo il suo goal realizzato all’85esimo. Ma la sua proposta è stata ostacolata da uno steward sul campo di gioco. L’episodio è accaduto durante la prima partita del campionato bielorusso, che ha contrapposto lo Smorgan al Volna, vinta dalla formazione di casa per 2-0. Il calciatore si è beccato un cartellino giallo ma anche il sì della donna che diventerà sua moglie

Gli dèi non invecchiano: buon compleanno a Claudia Lamanna

Forse un giorno la deificazione della persona le darà noia. Non vorrà perpetuare il proprio mito, destinato a crescere. Ma non adesso… Claudia Lucia Lamanna è agli albori della sua carriera da concertista: salita sul tetto del mondo dopo la conquista dell’International Harp Contest si gode il successo che merita chi ha saputo fare della sua passione la propria professione. Mettendoci tanto impegno, coraggio e perseveranza. Riceve una valanga di complimenti ad ogni suo concerto: l’ammirazione è il sentimento dominante nel desiderio di omaggiarla sempre, per ricambiare la magia o la gioia, le emozioni che sa donare. Possiamo farlo oggi, 9 novembre, in occasione del suo genetliaco.

Il talento di Claudia Lamanna

Pare che l’arpista di Noci compia 27 anni. Ma l’età, intesa come invenzione degli uomini, non conta: gli dèi non invecchiano. Non conoscono il dolore né la sofferenza né la fatica o la malattia. Così, il destino dovrebbe riservare questo alla dea dell’arpa. Che è anche donna capace di preservare la propria umanità: modello virtuoso, non le serve la sensualità o l’avvenenza, abbonda in grazia: per fare presa sul pubblico, le basta il talento. L’arpa. Non è superba, Claudia Lamanna, e dall’incontro con ogni persona trae nutrimento. La sua musica riflette i molteplici e contraddittori stati d’animo. Strabilia, incanta: i capelli avvolti in un’aurea di luce, le mani piccole danzano sulle corde con leggerezza e restano incontaminate, non scalfite dagli automatismi di un’attività che logora, stanca. Gli occhi comunicano ambizione. Una componente essenziale per conservare il successo. Sono suoi compagni, Ginastera, Glière, Damase, tra i compositori che più la esaltano.

Una vita insieme al suo strumento

CL suona l’arpa da quando aveva 8 anni. A soli 15 si è diplomata; dopo la laurea di secondo livello con il massimo dei voti, lode e menzione d’onore al Conservatorio Nino Rota di Monopoli si è perfezionata alla Norwegian Academy of Music di Oslo e alla Royal Academy of Music di Londra. Dopo aver vissuto all’estero è tornata in Puglia. Ha vinto numerosi concorsi: il più prestigioso, l’International Harp Contest, conquistato quest’anno in Israele, è stato il coronamento del suo sogno. Ha calcato i più grandi palcoscenici del mondo – da Londra a Bangkok, dal Teatro Duse di Bologna alla Merkin Concert Hall di New York. Ha fatto incetta di riconoscimenti prestigiosi. Tra gli ultimi, il “Premio Futuro” del Sulmona Official. Nelle scorse ore si è esibita a Los Angeles per il “Pacific Harps – Camac California Harp Festival”.

L’auspicio è che possa continuare ad essere fedele a se stessa. Perché solo preservando l’umanità si può essere annoverati tra i Grandi: quelle doti peculiari, ciò che rende fieramente umani noi mortali. Gli dèi, infatti, spalancano le porte del paradiso, e poi ti voltano le spalle… Non provano sentimenti di empatia, di pietà, non conoscono il perdono né la carità; il patire per una gioia che deve arrivare. E che possa essere vittima, Claudia Lamanna, di quella pericolosità gioiosa con la quale Nicola Piovani ha definito la Musica. La Bellezza è turbamento: ammalia e insieme inquieta, ciò per cui vivere.

Il mio grazie e i miei auguri a Claudia Lamanna!

Ambientalisti vs automobilisti: la protesta non riuscita sul grande raccordo anulare (VIDEO)

Il diritto di protestare e quello di lavorare. Sul grande raccordo anulare va in scena la protesta degli ambientalisti, che cercano attenzione per perorare la causa di quanti si oppongono agli effetti nefasti del cambiamento climatico. “Andatevene via. Ci dovete mandare a lavorare”, grida uno degli automobilisti contro i manifestanti. Gli fa eco un altro: “Voi siete dei figli di papà. A cosa serve quello che state facendo?” Altri inveiscono con insulti e parolacce. La tensione sale, prima che intervengano le forze dell’ordine.