Category Archives: Mondo

Genocidio a Gaza, quando le atrocità tendono a fare rima

“Quando Israele bombarda e spara ai civili, blocca gli aiuti alimentari, attacca gli ospedali e interrompe le forniture d’acqua, ricordo gli stessi oltraggi in Bosnia”. Così sulle pagine del Washington Post Peter Maass denuncia quanto sta accadendo ai danni del popolo della Palestina. “Quando le persone in fila per la farina a Gaza sono state attaccate – continua il giornalista e scrittore americano, reporter di crimini di guerra – ho pensato ai cittadini di Sarajevo uccisi in prima fila per il pane e ai responsabili che in ogni caso hanno insistito sul fatto che le vittime erano state massacrate dalla loro stessa parte”. Ciò è semplicemente inaudito. Rispondere alle atrocità con altre atrocità. Nella fattispecie, all’attacco del sette ottobre scorso portato dai combattenti di Hamas sui partecipanti del festival musicale Supernova e sugli israeliani uccisi nelle loro case, nel kibbutz di Kfar Aza.

La testimonianza diretta

Altro che caso “plausibile” di genocidio, come lo ha definito la Corte internazionale di giustizia: chi ha familiarità con i crimini di guerra non esita nel riconoscere quanto compiuto da Israele come un vero e proprio crimine, per la presenza di prove a sufficienza. Peter Maass ha seguito la guerra in Bosnia per il Post e l’invasione dell’Iraq per il New York Times Magazine. Sa pertanto quello di cui noi siamo a conoscenza solamente attraverso gli organi di informazione, tutt’altro che affidabili al 100 per cento, in ogni Paese, dittatoriale o democratico. Riportando anche un episodio toccante (un colpo di pistola letale su un’anziana che teneva per mano il piccolo nipote e una bandiera bianca), il reporter americano dichiara che gli attacchi avvenuti di giorno non sono stati accidentali. E non vanno sottaciute le atrocità, quando emergono. Né si può osservare la logica dell’occhio per occhio, dente per dente. Che il diritto internazionale non contempla.

I numeri del genocidio

Tredicimila bambini uccisi. E molti altri feriti. Case, scuole e ospedali in rovina. Insegnanti, medici e umanitari morti, tra i civili. Oltre ai 7 cooperanti uccisi a Gaza, “colpiti involontariamente” a detta del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. In sei mesi di guerra spaventosa le vittime palestinesi sono in totale oltre 33mila. Lo denuncia Hamas. E secondo il ministero della Sanità con sede a Ramallah, almeno altri 459 palestinesi, fatti oggetti di violenze, hanno perso la vita nella Cisgiordania occupata. Più di 359 le persone uccise in Libano, dei quali almeno 70 civili, riferisce l’Afp. A fronte di questi numeri, c’è da rivalutare il negazionismo in senso positivo: la Shoah non è stata nella storia l’unico genocidio, per cui si intendono gli “atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso” (questa la definizione legale); e stilare una classificazione dei genocidi sarebbe ingiusto e pericoloso. Così Peter Maass rivela che la sua esperienza maturata sui crimini di guerra gli ha insegnato che essere ebreo significa opporsi a qualsiasi nazione che commette crimini di guerra.

Eugenio Maria Fagiani, la missione della Musica portata in Russia

Sarà criticato o semplicemente ignorato. Ma è inattaccabile il sunto del suo pensiero libero: il mondo dovrebbe imparare dalla storia, per non ripetere gli errori passati, e non creare una nuova cortina di ferro, ha detto Eugenio Maria Fagiani. Che per unire offre il contributo della sua musica. L’organista e compositore bergamasco si sta preparando per una tournée in Russia. Reduce dal Festival internazionale di Kazan, il musicista è stato tra i protagonisti dell’evento diretto dall’Orchestra Sinfonica Accademica di Stato della Repubblica del Tatarstan, e non intende porsi dei limiti. Non ritiene inopportuno esibirsi nel Paese che ha attaccato militarmente l’Ucraina. Se non altro, perché dei media occidentali non si fida: lo ha detto chiaramente in una intervista rilasciata agli organi di informazione della Russia, a Izvestia in esclusiva. Terrà 6 concerti nel mese di aprile. Suonerà a San Pietroburgo con un’orchestra italiana, a Mosca, Arkhangelsk, e a Chelyabinsk.

Il contributo musicale di Eugenio Maria Fagiani

“Penso che la mia musica sia piena di luce, di gioia di vivere. Sono un profondo credente, quindi sono sempre pieno di speranza, e la musica riflette questo: ha energia”. Così il maestro Fagiani si è messo in sintonia con il Festival, nel senso e nei contenuti, accogliendo la richiesta della professoressa Evgenia Krivitskaya, curatrice del programma scelto. L’italiano ha ammesso la propria soddisfazione nell’aver mostrato il panorama della musica italiana. Ovvero nell’aver contribuito a creare un’immagine diversa da quella che il pubblico è abituato a vedere nei concerti italiani: non ouverture e frammenti d’opera, ma altro: il repertorio sinfonico. Peraltro, sono stati scelti tre compositori toscani. Ovvero Boccherini e Sborghi, oltre allo stesso Fagiani. Opere distanti sul piano temporale ma tenute insieme geograficamente e trasversalmente (“La cultura è cultura. E nessuno dovrebbe interrompere i legami culturali”).

L’invito al dubbio

Riguardo alle critiche a Francesco, per la posizione espressa sulla guerra in Ucraina, Eugenio Maria Fagiani che oltre a svolgere attività concertistica presta servizio presso il santuario francescano della Verna (ha suonato pure in Vaticano, a dicembre), sottolinea che le parole del papa vengono approvate quando sono utili ad alcuni politici: “Se dice qualcosa che è in linea con i Paesi occidentali, dicono: ‘Sì, ascoltate Francesco’. Ma non appena esprime una posizione a loro sfavorevole, lo criticano immediatamente: Non dovrebbe parlarne, non sa nulla…”. L’opinione del papa andrebbe rispettata. Anche se non si è credenti, aggiunge. “Oggi è diventato molto difficile esprimere una qualsiasi posizione: si viene immediatamente criticati da ogni parte”. E fa l’esempio del Medio Oriente: “Lì è in corso una vera e propria tragedia E la situazione non è affatto bianca o nera. Quindi sono ben lungi dal pensare che in altre regioni tutto sia univoco”.

Il ragionamento è giusto. Peccato che ci sia una grande omissione all’interno della lunga intervista: nella logica pacifista promossa attraverso la musica, mancano parole di ferma condanna verso l’aggressione orchestrata da Vladimir Putin. O forse c’erano; ma i media russi, non più affidabili dei nostri, ne hanno fatto oggetto di censura.

Nordic Response 2024, l’esercitazione Nato letta come una dichiarazione di guerra

Una prova diversa dalle altre. Sebbene, infatti, le esercitazioni della Nato si siano sempre fatte, quella in svolgimento nel nord Europa assume quest’anno un’altra valenza: rappresenta una risposta efficace a un pericolo concreto, all’interno dello scenario di crisi internazionale che stiamo vivendo. Dobbiamo essere pronti a difendere i nostri confini, in sostanza. Non la pensano così nella parte avversa: durante l’esercitazione denominata Nordic Response 2024, avviata ieri 4 marzo in Norvegia, Svezia e Finlandia, verrà praticata un’operazione offensiva contro la Russia. Lo hanno dichiarato alcuni esperti militari.

Nordic Response 2024

L’esercitazione coinvolgerà circa 20mila persone provenienti da 14 Paesi. Verranno dispiegati oltre 100 elicotteri e aerei da combattimento, e più di 50 navi da guerra; almeno 50 sottomarini, fregate, corvette, portaerei e varie navi anfibie – anche l’incrociatore portaeromobili Garibaldi e la nave San Giorgio della Marina Militare Italiana. Tali risorse saranno impegnate fino al quattordici marzo nello spazio aereo della Svezia e della Finlandia, nelle regioni settentrionali della Norvegia, e nelle aree marine adiacenti. Questi i numeri imponenti di quanto sta accadendo nel cuore dell’Artico con il coinvolgimento dei Paesi membri dell’Alleanza atlantica. Segnatamente: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. Oltre a Finlandia, Norvegia e Svezia. L’obiettivo dichiarato è l’addestramento utile alla difesa e alla sicurezza dei Paesi del Nord Europa. “Dobbiamo essere in grado di reagire e fermare chiunque cerchi di sfidare i nostri confini, i nostri valori e la democrazia”, ha detto Throne Strand, comandante del Norwegian Air Operations Center.

La risposta di Mosca

“Si sta elaborando un’operazione diretta contro la Russia, di natura puramente offensiva. La Nordic Response e la Steadfast Defender 2024 nel loro complesso sono nettamente diverse dalle precedenti per la loro natura: per la durata, la composizione dei partecipanti, la partecipazione di massa e il fatto che dichiarano apertamente di praticare attacchi sul nostro territorio”. Così l’ammiraglio Sergei Avakyants mette in guardia dai rischi legati alla stessa esercitazione della Nato. Più cauto del miliare, già comandante della Flotta russa del Pacifico, è il viceministro degli Esteri russo Aleksandr Grushko nel dichiarare che le manovre di risposta nordica sono di natura dimostrativa e provocatoria, e che la Russia le sta monitorando. Il diplomatico ha inoltre considerato che qualsiasi esercitazione aumenta il rischio di incidenti militari. Soprattutto in prossimità geografica della linea di contatto. C’è poi l’intervento dell’esperto militare Aleksey Leonkov il quale ha sottolineato la grande estensione dei piani di esercitazione della Nato, quest’anno, tutti accomunati da uno scenario antirusso. Questa la lettura dell’accadimento nel Paese che ha aggredito l’Ucraina militarmente.

Macron vuole l’Europa in guerra: il presidente Mattarella intervenga

Due anni di conflitto in Ucraina non sono bastati per risolvere la crisi né per scongiurare l’allargamento dello stesso con il coinvolgimento della Nato. Ipotesi da respingere con tutte le forze intellettuali, per il bene nostro e dei nostri ragazzi, delle generazioni che verranno: è il senso del forte appello lanciato dall’Associazione Pace Terra Dignità. Che chiede al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di imporre il rispetto della Costituzione. La Carta costituzionale italiana, come sappiamo, ripudia la guerra. Non Emmanuel Macron che ha minacciato un intervento delle forze armate dei Paesi europei per sconfiggere la Russia aprendo così una nuova fase.

L’imperativo categorico, morale: vigilare

L’Associazione Pace Terra Dignità anzitutto chiama in causa il Presidente della Repubblica e ammonisce il governo a tenere ben fermo che gli art. 21 e 52 della Costituzione in nessun modo consentirebbero la partecipazione dell’Italia a questa guerra, mancando ogni presupposto, se non nei processi alle intenzioni e nelle fantasie ammalate, di una sacra difesa della Patria. È il cuore dell’appello rivolto alla comunità dei social e alla rete mediatica “a farsi eco di questo imperativo morale”. Ovvero a vigilare nell’azione di contrasto alle spinte belliciste provenienti da Macron e non soltanto. Il rischio è di scivolare verso una guerra mondiale, dopo 79 anni di tregua, che non è mai riuscita a diventare vera pace, rileva la stessa associazione promossa da Michele Santoro.

Il piano Macron

Il Capo di Stato della Francia, in verità, non ha parlato di una missione Nato, bensì di una coalizione militare di “volenterosi” che assicurino l’invio in Ucraina di soldati occidentali. Questo accadrebbe nel caso in cui Donald Trump tornasse alla Casa Bianca. Sebbene si tratti di un’ipotesi remota, per la prima volta attraverso Macron si parla, in modo chiaro, dell’invio di truppe occidentali a supporto dell’esercito ucraino: dovrebbe bastare per spaventare. E ahinoi per provocare la reazione del Cremlino. Sarebbe guerra diretta, dagli esiti imprevedibili, incerti e per tutti drammatici, quand’anche dovesse concludersi con la sconfitta della Russia sul campo dell’Ucraina.

Sepideh Rashno, la donna simbolo di una resistenza che non incontra solidarietà

È finita in carcere solo per non aver indossato correttamente il velo obbligatorio islamico. Perché lì la mortificazione della donna risulta essere la normalità. Lei ha solamente ventinove anni, Sepideh Rashno, e per quanto ha commesso dovrà scontare una pena di 3 anni e quattro mesi. La donna era già stata in carcere la scorsa estate uscendone per un ricovero in ospedale. Ci è entrata di nuovo, sabato scorso, senza velo: un atto di insubordinazione di chi reclama la libertà. In quella parte del mondo, non troppo lontana, l’Iran, dove le donne non possono vestire come a loro pare. Non sono meritevoli di avere garantiti quei diritti fondamentali per l’essere umano.

Chi è Sepideh Rashno

La scrittrice iraniana, classe 1994, artista e attivista, si è fatta conoscere con un video diventato virale: nel luglio 2022, su un autobus, ha avuto un alterco con un’altra donna per le regole dell’hijab. Ovvero per non aver indossato il velo correttamente. Dalla stessa donna, Rayeheh Rabii, deve aver subito un’aggressione non solo verbale. Poi è stata probabilmente la tortura a causare l’emorragia interna che l’ha portata al ricovero in un ospedale di Tehran. Qualche giorno dopo l’abbiamo trovata in un video trasmesso dalla televisione di Stato IRIB: una confessione che non appare spontanea, le pubbliche scuse di chi non ha commesso proprio niente di male. Dalla prigione di Evin è stata rilasciata il 30 agosto fornendo come garanzia una somma corrispondente a circa 29mila dollari.

La solidarietà

Ben poco si è fatto, nei Paesi che amano la democrazia e la libertà, per questa giovane donna, che nello scorso mese di novembre è stata inserita nella lista delle 100 donne della BBC. Poco si fa per condannare le condizioni delle ragazze iraniane. L’indignazione, invece, dovrebbe essere trasversale, e assumere la forma della protesta in piazza. Perché l’accusa mossa a Sepideh Rashno (“promozione della corruzione morale”) dovrebbe indignare. La stessa sorte è capitata a tante altre donne colpevoli di aver violato quella regola dell’hijab.

Russia, bombardamento di Belgorod: un bambino tra le 7 vittime civili

Nelle ore in cui si parla della morte di Aleksey Navalny, tenuta accuratamente nascosta dai media russi locali, la scomparsa (improvvisa, ma non tanto) dell’oppositore di Vladimir Putin in carcere, arriva un aggiornamento sul tragico bilancio di quanto accaduto lo scorso quindici febbraio al confine con l’Ucraina. Siamo a Belgorod: un bombardamento attribuito alle forze ucraine ha fatto 7 morti, tra cui un bambino di un anno, oltre ad aver danneggiato un centro commerciale, case e automobili. Diciannove i feriti.

La città viene spesso raggiunta dai missili e dai droni ucraini – alla fine dello scorso anno l’attacco più grande aveva dato la morte a 25 persone. Un effetto collaterale della guerra russo-ucraina, l’uccisione di civili, da ambo le parti. A dare notizia dell’ultimo attacco (due missili hanno colpito anche il campo sportivo di una scuola, oltre al centro commerciale) è stato il governatore dell’omonima regione di Belgorod Vjačeslav Gladkov. L’agenzia di stampa statale Ria Novosti aveva anche pubblicato un video che mostrava i danni materiali.

Bombardamento di Belgorod, la condanna unanime

“Tutti coloro che hanno trasferito e stanno trasferendo denaro per le Forze Armate dell’Ucraina (AFU) e per il resto del marciume neonazista dovrebbero sapere esattamente per cosa stanno andando. E dobbiamo qualificarlo di conseguenza, sia moralmente che legalmente”. Così la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova è intervenuta sul suo canale Telegram con un messaggio di condanna. Che è arrivata anche dalle Nazioni Unite. Il portavoce del Segretario generale Stephane Dujarric ha infatti parlato di azioni inaccettabili: “Ribadiamo ancora una volta che gli attacchi ai civili e alle infrastrutture civili sono vietati dal diritto umanitario internazionale. Sono inaccettabili e devono cessare immediatamente”. Lo stesso Stephane Dujarric ha sottolineato il lavoro offerto sul campo dagli operatori umanitari che continuano a fornire assistenza ai civili. A quanti soffrono a causa dei combattimenti in corso. Per una guerra di logoramento, che chissà quando e come finirà.

Il mondo si prepara a una nuova pandemia 20 volte più mortale del Covid

“Con i nuovi avvertimenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui una Malattia X sconosciuta potrebbe causare 20 volte il numero di vittime della pandemia di coronavirus, quali nuovi sforzi sono necessari per preparare i sistemi sanitari alle numerose sfide?” È l’interrogativo posto al World Economic Forum (Wef). Che ha preso il via quest’oggi, lunedì quindici gennaio, nella cittadina svizzera di Davos. La malattia di cui si discuterà tra due giorni è fortunatamente frutto dell’immaginazione. O meglio (peggio), di ciò a cui si potrebbe realmente andare incontro. Non è catastrofismo. Parlarne, anzi, in termini di prevenzione non può che essere positivo. E pure a catastrofe avvenuta, nella malaugurata ipotesi: in un mondo lacerato da conflitti e da crisi senza soluzioni, dalle divisioni, sino al pericolo di una guerra estesa tra i continenti, la lotta alla nuova pandemia potrebbe ricompattare la stessa umanità. Proprio come accadde contro il Covid.

La nuova pandemia, non troppo ignota

Gli scienziati ritengono che il rischio sia accresciuto dalla crisi climatica, dai crescenti cambiamenti dell’ambiente, e dallo sviluppo delle armi biologiche. È plausibile segnatamente che, in considerazione della crescita rapida della resistenza dei batteri agli antibiotici, la prossima “malattia X” sia un’infezione batterica, tra quelle che all’umanità sono già note. Gli avvertimenti su quanto potrebbe accadere in un futuro non troppo remoto sono condivisi dall’Oms. Dal suo direttore Tedros Ghebreyesus, il quale figura tra i relatori del focus, insieme al Presidente e amministratore delegato della multinazionale Royal Philips, e al Presidente del consiglio di amministrazione di AstraZeneca. Gli stessi converranno sulla necessità di lavorare sui vaccini anticipatamente. Perché nulla si improvvisa nella ricerca – non sono nati dal niente neppure i vaccini “sperimentali” anti Covid.

Non solo ambiente

Al centro del Forum economico ci sono in primo piano la guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente. All’evento, giunto alla 54esima edizione, sono attesi 2.800 partecipanti, tra cui decine di capi di Stato e di governo; esperti, rappresentanti di organizzazioni internazionali e di società farmaceutiche. Gli incontri sui vari temi si susseguiranno sino al diciannove gennaio. Centoventi sono i Paesi rappresentati all’appuntamento internazionale che si tiene per consuetudine nella seconda o nella terza settimana del primo mese dell’anno, a cura dell’organizzazione svizzera no profit, chiamando a raccolta la politica mondiale e l’élite imprenditoriale. I riflettori quindi saranno accesi anche sulla nuova pandemia capace di scuotere il mondo. Sulla malattia alla quale non è stato dato ancora un nome. E sebbene non siano definiti i contorni, i sintomi e la causa della stessa, l’agente patogeno, la questione si pone come presupposto alla realtà da affrontare con responsabilità e trasversalmente. Per rifare memoria del primato della natura sull’uomo.

Gaza, lo scenario è apocalittico. Ma non se ne può parlare

La denuncia era arrivata da Lynn Hastings. La quale aveva parlato di situazione apocalittica venutasi a creare a Gaza. La pronta risposta di Israele è stata la revoca del visto della donna, coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite. Il provvedimento si colloca nella condotta diffamatoria fatta di abusi verbali e intralcio al lavoro delle organizzazioni e dei funzionari Onu. Così, anche in questo modo, Israele dimostra totale disprezzo per le Nazioni Unite, per il diritto internazionale e per le vite dei palestinesi: lo dichiara l’ambasciata di Palestina in Italia.

Cosa sta accadendo a Gaza

Le truppe dell’esercito israeliano hanno circondato la città di Khan Younis con l’obiettivo di smantellare il centro di comando di Hamas nel Sud della Striscia. I bombardamenti si fanno martellanti: solo nelle ultime ore l’aviazione israeliana ha colpito circa 250 obiettivi nell’enclave. A essere presi di mira sono tunnel e pozzi sotterranei. Oltre a ordigni esplosivi e armi.

Una catastrofe umanitaria

Un milione di sfollati. A piedi o in motocicletta, stipati nei carretti, oppure ammucchiati sui tetti delle loro auto insieme ai bagagli, a fuggire verso Sud sono in migliaia. Il responsabile degli aiuti umanitari dell’Onu ha quindi parlato di situazione apocalittica riferendosi alla impossibilità di svolgere significative operazioni umanitarie. Colpa della campagna militare israeliana, che non si cura di proteggere i civili in fuga da Gaza.

Il bilancio delle vittime palestinesi ha raggiunto e superato quota 16mila. Tanti ne sono morti dall’inizio della guerra, dichiara Hamas – donne e bambini più del 70 per cento. Chi resta soffre anche la carenza di acqua potabile. Il quadro è aggravato dalle conseguenze della crisi climatica. Le falde acquifere, infatti, hanno risentito dell’innalzamento del mare e dell’acqua salata, riferisce la Banca mondiale. Crisi climatica e guerra sono quindi un connubio micidiale. Che non può essere ignorato dalla comunità internazionale.  

Essere pagati per mangiare un gelato dopo l’altro: i lavori che gratificano

Per avere un buon lavoro bisogna studiare. Per essere persone migliori, certamente; ma per campare in questi tempi è meglio fare l’influencer, lo youtuber, o altri lavori bizzarri. Che possono essere gratificanti e, più di una professione intellettuale, remunerativi. Uno di questi è capitato a Paloma Pozanco. La quale ha 25 anni, spagnola di Cadice, e prima di questa esperienza (mangiare il gelato) non aveva mai firmato un contratto di lavoro – ha studiato Legge e sta preparando concorsi.

L’offerta della Nestlé- “Essere pagati per mangiare un gelato dopo l’altro e per di più pagare i contributi previdenziali è incredibile. È un lavoro da sogno”. Così questa giovane donna commenta la mansione che può mettere nel curriculum. Un’occasione da non rendere unica: “Ripeterei l’esperienza un milione di volte”. Immaginiamo che a pensarla in questo modo non sia l’unica. Paloma, infatti, aveva risposto a un annuncio postato su Infojobs lo scorso ottobre, al quale si erano candidati 49.584 persone – un numero record. La “professione” richiesta era quella di tester del gelato Maxibon della Nestlé. Figura che possa assaggiare il gelato che la multinazionale svizzera lancerà nel 2024. La prima persona esterna, che possa fare da cavia, potremmo dire.

L’esperienza fatta dalla giovane le ha fruttato mille euro. Per soli due giorni di lavoro: uno svolto da casa, l’altro in un giardino lontano dalla sua abitazione. Dopo aver degustato il prodotto lo ha recensito. Le sarà piaciuto? Una pillola amara, quel gelato remunerativo, non è stata di sicuro.

Dal gelato alla musica: il “cool jobs”- Un’offerta simile è la ricerca di un tester per il Wizink Center. Persona che dovrà assistere ai concerti di artisti spagnoli, come Melendi e Aitana Lopez: l’obiettivo è migliorare il rapporto tra cantanti e fan. L’impegno stavolta dura tre giorni e frutta sempre 1.000 euro. L’offerta viene sempre da Infojobs, che mette in evidenza il “cool jobs”, attirando migliaia di candidature. I lavori collocati in questa iniziativa saliranno a cinque nel prossimo mese.

Usa, dai fondi di caffè la speranza per la cura di Parkinson e Alzheimer

È stata definita una delle sfide più complesse per il secondo Paese più longevo al mondo, qual è l’Italia. Una malattia che spaventa: l’Alzheimer. Parimenti il Parkinson. Malattie neurodegenerative per le quali non esiste una cura attualmente. La ricerca, però, non si arresta, ed è vicina a un punto di svolta. La speranza viene dai Quantum Dots di carbonio a base di acido caffeico, realizzati con gli scarti di una tazza di caffè, i quali si sono dimostrati promettenti nel trattamento dei disturbi neurodegenerativi. 

I ricercatori statunitensi hanno scoperto che questi farmaci a basso costo hanno contribuito a proteggere dagli effetti del Parkinson in esperimenti provetta quando la malattia era causata da un pesticida chiamato paracqua. L’auspicio è che lo stesso trattamento possa essere utilizzato anche per aiutare le persone nelle prime fasi della demenza, per evitare che la malattia progredisca ulteriormente. La conferma viene da Jyotish Kumar. “I Cacqd hanno il potenziale per essere trasformativi nel trattamento dei disturbi neurodegenerativi”, ha dichiarato lo studioso dell’Università del Texas a El Paso.

La mission: cercare una cura per Parkinson e Alzheimer

Lo stesso Jyotish Kumar ha chiarito che nessuno dei trattamenti attualmente in uso risolve le malattie. Si può soltanto gestire i sintomi. “Il nostro obiettivo è trovare una cura affrontando le basi atomiche e molecolari che guidano queste condizioni”. È importante intervenire nella fase iniziale dei disturbi. Che causati da fattori ambientali o da stili di vita, presentano caratteristiche comuni, come gli elevati livelli nel cervello di radicali liberi – molecole dannose note per contribuire ad altre malattie, anche tumorali. Ebbene, nello studio condotto si è dimostrato che i Cacqd sono stati in grado di rimuovere i radicali liberi o di impedire che gli stessi causassero danni, e che hanno inibito l’aggregazione dei frammenti di proteina amiloide senza causare effetti collaterali significativi.

La conclusione

Il team ipotizza che negli esseri umani, nella fase iniziale di una patologia come l’Alzheimer o il Parkinson, un trattamento a base di Cacqd possa essere efficace nel prevenire la malattia vera e propria. Per questo è fondamentale intervenire nella fase embrionale. Ovvero affrontare questi disturbi prima che raggiungano la fase clinica, perché non si debba essere costretti a fare il miracolo. Viene altresì sottolineata la peculiarità dell’acido caffeico. Che può penetrare la barriera emato-encefalica, al punto da esercitare i suoi effetti sulle cellule del cervello.

Russia, la qualità della vita migliora: indicatori record nel settore dell’edilizia

I numeri si riferiscono al periodo in cui infuria inarrestata la guerra in Ucraina. E sembrano andare nella direzione contraria alle sanzioni inflitte dall’Occidente, dall’Alleanza Nato e dall’Unione europea, volte ad indebolire l’economia della Russia. Buon per la popolazione, se sul piano dell’edilizia quasi 7 milioni di cittadini miglioreranno, entro la fine dell’anno, le loro condizioni. L’annuncio viene da Vladimir Putin in occasione dell’incontro tenuto il quattordici novembre con il capo del Ministero delle Costruzioni Irek Faizullin.

Edilizia, la crescita della Russia

“Nel 2023 abbiamo migliorato le condizioni abitative di 7 milioni di persone, cioè 3,2 milioni di famiglie. Abbiamo reinsediato quasi 2 milioni di metri quadrati di alloggi di emergenza -1,8 milioni di metri quadrati, pari a 104,4mila persone”. Così Putin nel suo intervento di apertura. “E abbiamo migliorato 7031 spazi pubblici”, ha aggiunto il presidente della Federazione russa. Gli fa eco lo stesso ministro per il quale quest’anno si prevede la messa in funzione di un numero record di 104-105 metri quadrati di abitazioni – già raggiunti gli 83,6 milioni di metri quadrati secondo Putin. Dalla costruzione di edifici al reinsediamento degli alloggi di emergenza, dal programma di riparazione, ripristino e ammodernamento delle infrastrutture al recupero delle strutture presenti nelle nuove regioni: i temi al centro dell’incontro, affrontati dal ministro e dal presidente russo. Mentre si intensificano gli interventi anche sul piano della manutenzione.

Al netto dei numeri, il dato che emerge è la tenuta del Paese. Mentre la guerra, laddove è combattuta (ad oltranza in Ucraina), rivela la propria forza distruttiva del tessuto economico. E non soltanto nel settore dell’edilizia. Anche il primo cittadino di Mosca Sergey Sobyanin aveva già dichiarato che solo nella capitale, dall’inizio del 2023, sono stati costruiti e messi in funzione 10,7 milioni di metri quadrati di immobili, di cui la metà sono abitazioni.

Lizzi Jordan, dalla cecità ai sogni di gloria

Il male che non ti uccide ti fortifica. E Lizzi Jordan ci è andata vicina alla morte, prima di dare alla propria vita una imprevedibile, insperata, svolta. Si è riscoperta atleta lanciata verso traguardi da sogno. Che sono alla portata di una persona dal potenziale enorme, sottolineato dalla sua allenatrice: la campionessa paralimpica Helen Scott. Un potenziale sviluppato rapidamente da chi vuole dare il massimo e fare sempre meglio.

Il dramma di Lizzi Jordan

Una serata come tutte le altre: è il 2017 quando la 19enne studentessa di psicologia alla Royal Holloway, University of London, consuma un pasto al fast food. Fa l’esperienza di una intossicazione alimentare causata da un raro ceppo di batterio E. La conseguenza è il coma, la lotta per la sopravvivenza. Lizzi Jordan si risveglia ma priva della vista. Una botta tremenda.

A confidarlo lei stessa, in una intervista rilasciata a BBC Sport: “Ero molto, molto malata. Ho sofferto di un’insufficienza multipla degli organi e i medici hanno avvertito i miei genitori in diverse occasioni che avrei potuto non farcela”. “Ma grazie all’uso di un farmaco raro e costoso, sono riusciti a farmi uscire dal coma”, continua LJ ricordando quanto sia stato terrificante il risveglio da cieca. Nella sua mente l’interrogativo che chiunque si farebbe senza trovare risposta (“Come farò a vivere la mia vita senza la vista?”). Immaginiamo gli attimi di terrore diventati giorni. Poi la svolta: “Mi sono detta, ho due opzioni: posso starmene seduta a piangermi addosso, oppure posso provare a fare qualcosa della mia vita e magari realizzare qualcosa che non avrei fatto nemmeno se avessi avuto la vista”. Ha scelto la seconda.

La rinascita attraverso lo sport

Un passo alla volta, Lizzi Jordan ha dapprima imparato a camminare, poi ha corso: ha preso parte alla Maratona di Londra nel 2019, raccolto 13mila sterline per l’associazione RNIB. Quindi l’incontro con la bicicletta. Una compagna con la quale non andare a spasso, ma lavorare duramente. Ai test effettuati nel 2020, in una giornata organizzata dal British Cycling per la scoperta di nuovi talenti, ha impressionato positivamente, sebbene prima di diventare cieca avesse a malapena guidato una bicicletta. Si è data all’agonismo conquistando la medaglia d’oro ai Campionati del Mondo 2023 di Glasgow. E pure il bronzo nel tandem kilo, insieme ad Amy Cole, ciclista vedente – l’argento al Campionato mondiale di paraciclismo su pista UCI lo scorso anno. Il suo obiettivo adesso è far parte della squadra di paraciclismo della GB alle Paralimpiadi di Parigi nel 2024. Una sfida che intende vincere, per continuare ad imparare da un’intensa e non comune esistenza. Naturalmente la donna ha già imparato dalle persone alle quali può fare affidamento. Ma vuole rendersi anche autonoma: si è iscritta a un corso di formazione per fare uso di un bastone bianco. “Mi cambierà la vita”, dice, come se non avesse preso coscienza di quanto di straordinario sta già facendo ponendosi come modello virtuoso, punto di riferimento in tutto il mondo.

Giochi mondiali dell’Amicizia 2024, l’ultima trovata di Putin

Lo abbiamo visto proporsi persino come mediatore nel conflitto in Medio Oriente tra Israele e Hamas chiedendo il cessate il fuoco, la fine delle ostilità. Come se solo lui fosse titolato a far la guerra, in corso contro l’Ucraina. Adesso Vladimir Putin punta anche sullo sport per riabilitarsi a livello internazionale. Ma in totale autonomia, senza alcuna richiesta di approvazione da parte delle federazioni internazionali, ha firmato il decreto per lo svolgimento di una competizione che si terrà il prossimo anno. Significativo che l’abbia denominata Giochi mondiali dell’Amicizia. A voler intendere lo sport come strumento di riconciliazione tra nazioni e popoli.

Giochi mondiali dell’Amicizia

Le competizioni “World Friendship Games” si terranno a Mosca e a Ekaterinburg nel prossimo mese di settembre. Nascono per garantire il libero accesso degli atleti e delle organizzazioni sportive russe alle attività sportive internazionali, lo sviluppo di nuove forme di cooperazione sportiva internazionale. Lo si chiarisce nel documento varato. I Giochi mondiali dell’Amicizia dovrebbero tenersi ogni quattro anni. Secondo il format delle Olimpiadi, che si terranno a Parigi nel 2024, e che vedranno l’esclusione della Russia verosimilmente, a causa dell’invasione dell’Ucraina bollata come un’infamia. La competizione russa, la cui prima edizione partirà il mese dopo, comprenderà 30 sport, dei quali 20 olimpici. E  chiamerà a raccolta circa 10mila atleti – potrebbero essere inserite altre 14 discipline sportive. Ad annunciarlo è stato lo stesso Putin a margine del forum internazionale “La Russia è una potenza sportiva” tenutosi a Perm. Ricordiamo che il presidente della Federazione russa è uno sportivo, praticante delle arti marziali: mal deve digerire l’isolamento subito anche in questo ambito. È dal 2022, infatti, che vige il divieto di organizzare in Russia competizioni internazionali. Decisione che non tutti i Paesi condividono.

L’altro mondo

Putin si è rivolto alla sua popolazione dichiarando che uno degli obiettivi del Paese in ambito sportivo è quello di attirare il 70 per cento dei russi verso lo sport entro il 2030. Ha inoltre evidenziato i segni di degenerazione che lo sport internazionale, “molto commercializzato e politicizzato” sta mostrando: per contrastarli egli promuove la creazione di nuove leghe e associazioni che “mineranno il sistema di monopolio stabilito dall’ufficialità internazionale”. Putin, insomma, sa che i rapporti con l’Occidente sono irrimediabilmente compromessi, almeno nel medio termine; e cerca di correre ai ripari inventandosi altro. Ai Giochi mondiali dell’Amicizia i Paesi cosiddetti ostili non potranno di certo prendere parte. Gareggeranno invece gli atleti delle Nazioni membri dell’Alleanza politica: Brasile, India, Cina e Sudafrica, insieme alla Russia. Ma anche Pakistan e gli ex Stati sovietici dell’Asia centrale, Kazakhstan, Kirghizistan, Tajikistan e Uzbekistan. L’auspicio è che entro quella data nuove inimicizie non vengano a nascere precarizzando ulteriormente gli equilibri mondiali.

Terremoto Afghanistan, l’emergenza ignorata dalla comunità internazionale

“La devastazione è totale. Ci sono villaggi completamente distrutti, perché le case, fatte di fango e paglia, sono crollate completamente a causa del terremoto; quando si passa di lì, si può vedere che molti dei morti sono sepolti con le pietre”. A tratteggiare questo quadro inquietante è Thamindri de Silva. Il quale, direttore generale dell’Ong World Vision in Afghanistan, prova a spostare l’attenzione su quanto sta accadendo in un Paese scosso da una nuova emergenza comunitaria: il terremoto, o meglio l’ondata sismica, di magnitudo compresa tra 5.5. e 6.3, verificatasi sabato scorso 7 ottobre.

L’assistenza che manca

La catastrofe ci riporta al terribile post terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria, lo scorso febbraio, facendo circa 60mila vittime. Allora, però, c’era l’ausilio della tecnologia utilizzata in quell’area, e il supporto dei tanti Paesi che inviarono squadre di emergenza. A denunciarlo, sulle pagine del quotidiano spagnolo El Pais, il responsabile delle comunicazioni dell’Unicef in Afghanistan, Daniel Timme. Il quale aggiunge che tutto è molto più improvvisato. E che c’è il sostegno di due Paesi soltanto: l’Iran e la Turchia. Gli aiuti alla popolazione arrivano dalle Ong locali e internazionali. Che devono fronteggiare la scarsa assistenza internazionale. Come ha dichiarato lo stesso de Silva, l’Afghanistan ha ricevuto soltanto il 20 per cento degli aiuti internazionali di cui necessitava prima del terremoto; e il timore è che quanto sta accadendo nel resto del mondo, soprattutto il conflitto di Gaza, mettano in ombra il nuovo disastro verificatosi nel Paese, e le emergenze umanitarie che lo stesso ha generato.

Terremoto in Afghanistan, la terra trema ancora

Nelle scorse ore, intanto, una nuova forte scossa di magnitudo 6,3 ha colpito la parte occidentale del Paese. Segnatamente l’area limitrofa alla città di Herat, vicino all’epicentro del terremoto di sabato scorso. Le vittime sono circa 2.400 in totale. Donne e bambini, in particolare. Altrettanti i feriti, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della Sanità pubblica afghano – a oltre 72 ore dalla catastrofe, diminuiscono sempre più le probabilità di ritrovare persone in vita. Lo riportano anche i Talebani, che da oltre due anni hanno ripreso il potere in Afghanistan. Gli stessi hanno incontrato le Ong per coordinare l’assistenza umanitaria. A tal fine, per aiutare la popolazione locale, alle donne viene concesso di lavorare di più. Temporaneamente, sia chiaro: l’emergenza lì, nella terra abbandonata nel 2021 dagli americani, è vissuta in tutti gli altri giorni dell’anno, in termini di mortificazioni e di violazione dei diritti umani.

Addio al fumo: le nuove generazioni sono più intelligenti e virtuose

Fumare nuoce gravemente alla salute. È risaputo quanto riporta proprio il pacchetto di sigarette nel monito rivolto al consumatore: un paradosso destinato ad avere fine, l’acquisto di ciò che si trova in tabaccheria. Almeno nel nord  Europa. Si pensi alla Nuova Zelanda che, seguita a ruota dal Regno Unito, è il primo Paese al mondo ad introdurre leggi volte a impedire alle nuove generazioni di darsi al vizio del fumo.

I numeri in fumo

In Nuova Zelanda è stato raggiunto un minimo storico: attualmente soltanto l’8 per cento della popolazione fuma. Numeri incoraggianti anche nel Regno Unito. A fumare, infatti, è circa il 12,9% degli adulti. Tuttavia va sottolineato che il fenomeno del vaping non è in crisi. Anzi, i fumatori di sigarette elettroniche aumentano. Tra gli adulti britannici la percentuale si attesta sull’8,7%.

Un tabù per i minori

Il primo ministro del Regno Unito Rishi Sunak ha dichiarato che i bambini sotto i 14 anni non potranno mai acquistare legalmente sigarette nel corso della loro vita. Lo ha detto intervenendo alla conferenza del Partito Conservatore del 2023 a Manchester. Con questa motivazione: “Dobbiamo affrontare la più grande causa interamente prevenibile di malattia, disabilità e morte. E questo è il fumo, e il nostro Paese”. Così diventerà illegale vendere tabacco a chiunque sia nato dopo il 2008. Per tutti gli altri, per i fumatori più incalliti, sarà raccomandato il passaggio alle sigarette elettroniche. Che pure provocano dipendenza da nicotina e numerosi problemi alle vie respiratorie. Il premier, infatti, ha preannunciato di voler mettere al bando i vapes con confezioni e aromi pensati per attirare i giovani.

Step by step

Per liberarci delle sigarette, una volta per tutte, il primo passo è l’innalzamento dell’età legale. Già fatto: per fumare oggi bisogna essere maggiorenni, prima del 2006 il fumatore poteva avere 16 anni. Si potrebbe alzare l’età legale ad almeno 22 anni. Perché al di sopra di quell’età, come conclude un recente studio giapponese presentato al congresso della Società europea di cardiologia (Esc), è meno facile acquisire la dipendenza dal fumo. E liberarsene meno difficile. Per aiutare il governo a raggiungere questo obiettivo, l’All-party parliamentary group (Appg) ha definito dodici passi. Alleati preziosi insieme alla proposta di legge che potrebbe portare alla svolta storica. A fare del Regno Unito, entro il 2040, il primo Paese “libero dal fumo”. Un modello virtuoso da emulare tra gli Stati membri dell’Unione europea.

Per non dimenticare: i danni del fumo

Ogni anno il fumo uccide più di 8 milioni di persone. Segnatamente 7 milioni di fumatori attivi, e circa 1,2 milioni di soggetti esposti al fumo passivo – fonte Oms. Per tanti la sigaretta rappresenta una compagna amica. Qualcuno azzarda persino dei benefici, sui livelli di attenzione, in abbinamento al consumo di caffeina. Nessuno nega il fascino che la sigaretta ha esercitato per decenni, particolarmente attorno alla figura maschile (la puzza mal si concilia con la bellezza e con la grazia nella donna), ma in un mondo minacciato da nuove e gravi crisi, non possiamo più permetterci alcun atto di autolesionismo.

Segnali di disgelo attraverso l’abbigliamento: OVS apre a Mosca

La guerra infuria in Ucraina. E l’escalation continua, stando alle ultime dichiarazioni di Vladimir Putin, c’è poco da stare tranquilli: il presidente della Federazione russa ha minacciato l’utilizzo di nuove armi chimiche, in produzione. Una notizia interessante che potrebbe prestarsi ad una lettura positiva è invece il ritorno di OVS nel mercato russo.

L’annuncio è stato dato da Natalia Kermedchieva: “Aviapark, Evropeisky, Oceania e Salaris sono già stati aperti. Columbus e TsDM sono in arrivo; all’inizio il marchio ha sviluppato solo la categoria dei bambini, poi ha aggiunto quella degli uomini e delle donne”. “Scommetto che il marchio si svilupperà a un ritmo moderato, cioè aprirà prima 3-7 negozi a Mosca e a San Pietroburgo. Poi si valuterà l’aspetto economico”, ha aggiunto la responsabile dei nuovi marchi presso l’Unione dei centri commerciali (STC)

Il numero non trova conferma. Ma, secondo quanto riferiscono alcune fonti, il gruppo leader in Italia nel mercato dell’abbigliamento OVS avrebbe intenzione di aprire più di cinquanta negozi. Si stima un investimento di oltre 200 milioni di rubli. L’investimento fa il paio con quello preannunciato da Decathlon: l’azienda francese specializzata in articoli sportivi a accessori per lo sport prevede di aprire in Russia il prossimo quindici novembre con il nuovo nome AllDoSport. Un avvio con pochi prodotti inizialmente. Chi ha già ripreso la collaborazione con il Paese in guerra contro l’Occidente è il marchio americano Tommy Hilfiger, che ha aperto il suo primo negozio nel centro commerciale Aviapark di Mosca.

A partire dal febbraio 2022, quando è cominciata la guerra in Ucraina, alcune aziende avevano sospeso le attività o abbandonato il mercato russo. Le stesse hanno poi cambiato atteggiamento. Al punto che, il 19 settembre 2022, il ministro dell’industria e del commercio Denis Manturov aveva dichiarato che le aziende straniere sono ora interessante a continuare le operazioni, o a garantire le condizioni per il loro ritorno. Insomma, il linguaggio dei soldi, il business, legano più delle armi ancora inviate per la difesa di un popolo in forte sofferenza.

Spie glamour invadono la Gran Bretagna e gli Stati Uniti: l’altra guerra di Putin

Nella storia sono sempre esistite. Si pensi ad Elsbeth Schragmuller, a Mata Hari, Edith Cavell o Marthe Richard: agli anni della Prima guerra mondiale (1914-1918) quando lo spionaggio dovette aprirsi al mondo dei civili. Figure che non hanno recitato solamente in parti minori. Così anche Vladimir Putin, nella guerra aperta contro l’Ucraina, allargata ai Paesi che gli sono ostili, fa ricorso a un esercito di spie. Donne attraenti con le quali potrebbe aver inondato la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Lo riporta il quotidiano britannico The Sun. La conferma viene dalle operazioni della polizia che, il mese scorso, ha smascherato il presunto giro di spie russe, a Londra e nella città di Great Yarmouth nel Norfolk.

Come agiscono le spie

Nessuna novità, potremmo dire, alla luce di quanto già accaduto. L’elemento innovativo, in una guerra che si combatte non soltanto per mezzo delle armi convenzionali e con i missili, sta nell’esistenza di vere e proprie scuole di seduzione in Russia, dove le avvenenti spie imparano le tecniche utili alla causa della Federazione russa.

Ad essere presi di mira sono personalità militari e politiche. Uomini che le spie glamour approcciano allo scopo di ottenere informazioni. Le stesse si impegnano a condurre una vita normale, rivela l’ex spia Philip Ingram; ma in realtà “lavorano” le loro vittime – si ritiene che centinaia di “madame” gestiscano reti di spie in diverse città della Gran Bretagna e di altri Paesi in Europa. Il loro lavoro consiste nel prendere parte ad eventi e a feste dove possono fare le conoscenze giuste. Ciò accade sin dai tempi della Guerra Fredda quando le spie raggiungono bar, ristoranti e locali notturni, si avvicinano a uomini e donne di mezza età soprattutto, con l’intento di ricattare i funzionari per ottenere segreti.

Le insospettabili: i casi noti

Tra le spie glamour più famose ci sono Anna Chapman, la rossa dai capelli di fuoco, che ha lavorato come agente dormiente per la Russia negli Stati Uniti; la “gioielliera” Maria Adele Kuhfeldt Rivera, che è stata agente del GRU al servizio della Russia (lo ha rivelato lei stessa, l’anno scorso), e prima di essere identificata come Olga Kolobova, è stata legata sentimentalmente ad alti ufficiali statunitensi e di altri Paesi Nato. Ciò è avvenuto in Italia, a Napoli. Tra i cinque cittadini bulgari accusati di spionaggio per la Russia c’è Vanya Gaberova, estetista che gestiva il salone Pretty Woman ad Acton a Londra: agli occhi di chi la conosceva era una donna normale, discreta e timida. Sono donne che potrebbero non aver fatto le “scuole di seduzione” ma che hanno imparato sul campo il mestiere. Come ha confidato lo stesso Philip Ingram, le aspiranti spie da reclutare e mandare in giro devono possedere determinati requisiti, e vengono esaminate per vedere se sono “disposte a spingersi un po’ più per la Madre Russia”.

In definitiva, l’utilizzo delle spie glamour rappresenta un’arma in più in uso a Putin, che può conoscere le abitudini altrui, e fare leva sulle debolezze del nemico.

Undici settembre, la catastrofe che è costata agli Usa oltre 5.800 miliardi

Una ferita sempre aperta. Che non si può rimarginare: con gli stessi sentimenti di sgomento, di dolore e incredulità, il mondo ricorda gli attentati alle Torri Gemelle del World Trade Center di New York dell’undici settembre, per il 22esimo anno. Il primo dei quattro aerei di linea dirottati, schiantatosi sulla Torre nord a circa 750 km/h, tra il 93° e il 99° piano, ha dato una svolta alla storia contemporanea. Erano le 8.46 (14.46 in Italia) di quella che sembrava essere una splendida giornata. A tutti i livelli, le ricadute della catastrofe sono state importanti. E magari nemmeno immaginabili.

Le spese militari

Tra il 2001 e il 2022 gli Usa hanno speso oltre 5.800 miliardi di dollari. La cifra viene dalle stime del Watson Institute della Brown University; alla stessa vanno aggiunti i costi di cura dei veterani – almeno altri 2.200 $ stimati fino al 2050. All’indomani degli attentati dell’undici settembre l’obiettivo era l’uccisione di colui che fu riconosciuto come il principale responsabile. Ovvero di Osama Bin Laden (1957-2011). La morte del fondatore e leader di Al Qaeda non ha portato, però, a risultati concreti nella lotta alla stessa organizzazione terroristica internazionale. La riprova sta nel ritiro delle truppe statunitensi e della coalizione Nato dall’Afghanistan, avvenuto nel maggio 2021. Azione che, di fatto, ha dato lo Stato in pasto ai talebani. Le operazioni militari si collocavano nella mission denominata nation building. Miravano, cioè, alla costruzione di uno Stato afghano che rispettasse i criteri della democrazia e della stabilità. Oltre alle risorse impiegate sul piano bellico si pensi a quanto speso in sicurezza nel sistema di prevenzione di nuovi attentati. Perché da quel giorno l’intero Occidente si è sentito e continua a sentirsi sempre più vulnerabile.

Undici settembre, il valore della Memoria

Ricordare significa dare giustizia alle vittime e ai loro familiari. Circa 3000 i morti accertati, dalla mattina degli attentati nel cuore della Grande Mela agli ultimi anni, a causa delle patologie sviluppate, correlate allo stesso evento drammatico. La lista è sconfinata, e ancora aggiornata: nelle scorse ore il corpo dei vigili del fuoco ha aggiunto 43 nomi nuovi; le autorità di New York hanno dato un nome ad altre due vittime delle stragi, identificati grazie a un test avanzato del Dna. Tecniche all’avanguardia hanno permesso di non lasciare ignote alcune delle persone che se ne sono andate. Così la tecnologia (almeno quella) ha fatto progressi utili all’umanità. Tuttavia, va considerato che ancora il 40 per cento delle vittime totali resta non identificato. Il memoriale dell’undici settembre ha raggiunto persino Marte. Artefici dell’impresa i rover Spirit e Opportunity che vi hanno portato un ricordo interplanetario per le vittime degli attentati. Una lezione di umanità. Un messaggio che agli extraterrestri in giro per la galassia può dire quanto siamo stupidi noi mortali, capaci di farci del male; ma pure di trovare la via della rinascita e del riscatto.

I 159 anni della prima Convenzione di Ginevra: la vita è sacra sempre

Reiterare l’impegno a tutela dei diritti delle vittime nelle guerre e promuovere la cultura del rispetto. È questa la mission nel ricordo della prima Convenzione di Ginevra – il 159 anniversario della nascita ricorre oggi, ventidue agosto. I diritti da tutelare includono quelli dell’assistenza a feriti e malati, il riconoscimento del prezioso lavoro offerto dalle strutture sanitarie e dal personale medico.

La sacralità della vita sotto la minaccia costante della guerra

“Ancora oggi assistiamo a numerose violazioni del Diritto internazionale umanitario (Diu) che minacciano pesantemente la protezione dei civili, nonché di tutti gli operatori umanitari e il personale medico impegnati a salvare vite umane”. Lo ha detto il presidente della Croce Rossa Italiana Rosario Valastro. Ricordando le parole di Henry Dunant, che sono un vivo monito nel presente: la vita è sacra sempre. Lo è anche in mezzo agli orrori della guerra. Laddove il virus della bestialità annebbia la mente e indurisce i cuori, sino alla sconfitta dell’umanità.

Prima convenzione di Ginevra

Sei erano le convenzioni negli anni che precedettero la prima e la seconda guerra mondiale. La Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei militari feriti in guerra fu adottata il 22 agosto 1864 a Ginevra. Ad ispirarla fu lo stesso Henry Dunant, il quale fu impressionato dalle sofferenze inflitte a 40mila soldati durante la battaglia di Solferino, che nel 1859 contrappose l’esercito francese a quello austriaco. Promotore dell’iniziativa fu il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Fattasi conoscere nel 1863, la “Società Ginevrina per il Benessere Pubblico” raccolse i rappresentanti di 11 Paesi europei, e degli Stati Uniti d’America, con l’obiettivo di salvare vite umane e prevenire o alleviare le sofferenze. Oltre all’Italia firmarono: Spagna, Prussia, Francia, Portogallo, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Assia, Baden, Confederazione Svizzera e Wurtemburg. Mentre i rappresentanti di Inghilterra, Sassonia, Svezia e Stati Uniti non ebbero poteri di firma.

I valori

In linea di principio, la prima Convenzione di Ginevra dovrebbe tutelare tutte le persone “non combattenti”. Ovvero quanti sono vittime di conflitti che non vorrebbero minimamente. In realtà, come già denunciato più volte, tale principio non viene applicato quotidianamente in tutto il globo, nelle aree più disagiate particolarmente. Laddove non vengono garantiti i principi fondanti della stessa Convenzione di Ginevra, che sono sette: umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, volontarietà, unità e universalità. Valori che sono il faro della Croce Rossa.

Le quattro Convenzioni del 1949

Attingendo a quegli accordi e a quei valori, all’indomani della Seconda guerra mondiale (1939-1945) si tenne una conferenza internazionale, sempre a Ginevra, presieduta dal consigliere federale Max Petitpierre. L’iniziativa nacque dall’esigenza di compiere maggiori sforzi nella direzione della tutela delle vittime di guerra. Le quattro Convenzioni ratificate universalmente vennero poi integrate da tre protocolli aggiuntivi nel ’77 e nel 2005. Tutto questo rappresenta le fondamenta del diritto internazionale consuetudinario valido per tutti gli Stati e le parti in conflitto nel mondo.

Crisi climatica: la riprova che ci interessano solo i problemi di casa nostra

Incendi e devastazioni, precipitazioni intense e caldo record: in questi giorni non si parla d’altro che di clima, in piazza e tra i media. Di eventi meteo estremi dalle conseguenze catastrofiche. I riflettori sono calati su altre tragedie, contesti di crisi, sul piano nazionale e internazionale, come la guerra in Ucraina. E ancor meno si parla degli altri conflitti in corso – pensiamo a quello che sta insanguinando il Sudan, da oltre cento giorni. La dimostrazione che ci interessa ciò su cui abbiamo interessi di natura economica. Ora il clima, ora gli intrecci che legano l’Occidente e l’Europa all’Ucraina, alla Federazione russa.

Crisi in Sudan

Una guerra che ha superato i cento giorni. La pace appare ancora lontana in Sudan, dove cresce il numero delle vittime: i rifugiati nei Paesi confinanti sono oltre 740mila. Tanti gli sfollati. Dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) è arrivato l’appello per chiedere la fine dei combattimenti. Ma senza soluzione di continuità, l’escalation continua. A farne le spese sono soprattutto i bambini. Secondo quanto denunciato dall’Unicef, sono almeno 435 i piccoli uccisi, e più di duemila quelli rimasti feriti. Gli ospedali sono al collasso. Tanto che il 68 per cento delle strutture è stata costretto a sospendere il servizio, nelle aree più colpite. Il conflitto ha avuto inizio il 15 aprile scorso, ricordiamo. E vede contrapposti i due gruppi di membri del Consiglio di sovranità di transizione: l’esercito sudanese contro le Rapid Support Forces.

Quando la guerra diventa un problema

Più della violazione dei diritti umani, altro finisce dentro il dibattito… Il Sudan è il secondo Paese al mondo per esportazione di gomma arabica. Si tratta di una materia prima molto utilizzata nell’industria alimentare, cosmetica e farmaceutica. Il commercio di questa sostanza si è interrotto con la guerra. Alcune aziende internazionali, come quelle che producono Coca-Cola potrebbero risentire negativamente del deficit di gomma arabica, la quale può essere sostituita come ingrediente nella produzione di cosmetici, ma non in quella delle bevande gassate. Difficile ipotizzare la crisi di queste aziende. Ma quantomeno, il rischio ha acceso i riflettori su una guerra che potrebbe far collassare il continente intero, l’Africa. Allora sì che la questione ci interesserebbe.

Clima, dalle parole ai fatti

Un vizio tipicamente italiano è la gestione dell’emergenza. A catastrofe ormai avvenuta: poco o niente si fa nella prevenzione. Ci occupiamo dell’emergenza. E nel caso del clima, la comunità adesso è divisa tra fanatismo e negazionismo: tra quanti vorrebbero veder riconvertito il sistema produttivo economico, con la bacchetta magica, e coloro che non negano il cambiamento climatico (sarebbe folle), bensì la sua origine antropica. L’auspicio è che le posizioni trovino un punto di incontro e si mettano in campo soluzioni concrete e immediate nell’azione di contrasto al processo irreversibile del cambiamento climatico.