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CHI SONO - Giornalista, scrittore, appassionato di sport Bellezza musica. Gli studi classici hanno alimentato in me la voglia di dedicarmi alla scrittura. Nel 2020 ho fatto esordio nella narrativa con “La buona battaglia – Sognando i Giochi del Mediterraneo” (Passerino editore). Poi con “Benny per sempre”, nel 2021, ho inteso omaggiare la figura della campionessa Benedetta Pilato, baby fenomeno del nuoto e mia concittadina. In questo blog pubblico i miei articoli per fare esperienza di condivisione preservando il diritto alla ricerca delle notizie positive. Quelle da dare senza censura. A chi mi legge, do il benvenuto

Merilyn, la diva che ha fermato il tempo per restare bellissima

A Sessant’anni dalla morte di Merilyn Monroe. Un profumo di giovinezza in una goccia di Chanel 5 nel vento di una estate

di Pierfranco BRUNI

Un mito. Cosa sono i miti? Lei è un mito. Diventa come gli Dei un archetipo lungo il viaggio degli anni nel tempo.  Marilyn Monroe. A sessant’anni dalla sua morte. È morta il 4 agosto del 1962. Io avevo appena sette anni.

Los Angeles. È il mese di agosto. Una città tra le più importanti in una California immensa che ha connotati italo – spagnoli. Luoghi molto catalani. E la sua storia racconta simboli di una lingua che ha la Spagna nel cuore. La prima cosa che mi chiedono, prima di entrare nel mio albergo, è se desidero visitare i luoghi del mito di Marilyn. Sono un po’ distratto. Sapevo di entrare nella città del mito ma non pensavo che la mia interprete avesse questa velocità.

Giungo a Los Angeles quasi frastornato. Cambiamenti di orari, turbolenze lungo la rotta, confuso e con gli orecchi che sembrano aver subito un tuffo nell’Oceano. Dico subito: “Certo, sono qui proprio per lei ma ho bisogno di cambiarmi d’abito. Marilyn non avrebbe gradito un ospite vestito senza eleganza. Datemi il tempo di indossare il mio vestito di lino bianco con la camicia verde e poi si parte e a domani pensiamo domani …”. Così siamo tutti contenti.

Qui è nata e morta Marilyn Monroe. Era nata il 1 giugno del 1926. Era un anno più grande di mia madre. Un mito nell’attraversamento delle notti immaginate alla ricerca di un sogno. E Marilyn è stato un sogno. Nel velo della sua gonna bianca alzata dal vento in eros tutto tuffato in una seduzione capricciosa. Amava e moriva nel caldo torrido di una città che ha finestre aperte sui mediterranei. Ma sì.

Los Angeles non poteva che essere la città di Marilyn. La bionda mediterranea che si è fatta seppellire con la parrucca bionda che portava nel film Gli spostati e vestita con un abitino verde. Il biondo e il verde. Il sole e il mare. Avevo sette anni quando morì Marilyn Monroe.

Eppure ho un ricordo molto lieve. Me la ricordo nelle foto in bianco e nero dei settimanali che non mancavano mai in casa mia. Le prime pagine “sparate” con le immagini che riportano scene dei suoi film. La bellezza che si faceva seduzione. Sì, perché può esserci anche una bellezza che ha la sua sobrietà da statua. Ma Marilyn portava una bellezza sconvolgente. Marilyn era l’attrazione.

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Nella testa del nemico

Analizzare la psicologia del nuovo zar Vladimir Putin. Del suo cerchio magico, e quell’ideologia orientata al progetto imperialista di riunificazione delle cosiddette tre Russie: è l’obiettivo del libro di Orietta Moscatelli. Un volume che ci riporta alla guerra in Ucraina. Che vorremmo dimenticare tutti, almeno nella stagione estiva; ma proprio no, non è possibile – se non altro per rispetto di chi sta soffrendo e delle numerose vittime. Il libro si intitola “P. Putin e putinismo in guerra” (Salerno, pp 160, euro 20). Leggerlo è un esercizio per la mente e per il cuore. Emerge il grande interrogativo di fondo, sorto il ventidue febbraio scorso: in quale direzione sta andando il mondo? Per rispondere è necessario prima decifrare la psicologia di chi ha già cambiato la storia. E vuole riscriverla attraverso la propria ideologia e l’anti-democrazia. Quel che è chiaro in questa questione è che c’è un aggressore, il Cremlino, e una nazione aggredita, Paese sovrano democratico libero. Se le responsabilità sono ben chiare e note, servono analisi, valutazioni approfondite, guardando al lungo periodo. Il timore è che l’avanzata dell’esercito russo possa non fermarsi all’Ucraina. Ebbene, il libro della giornalista ricostruisce lo scenario di lungo periodo, con alcune valutazioni di prospettiva. Preziosa è la prefazione firmata da Lucio Caracciolo, direttore di Limes e grande esperto di geopolitica. La disamina parte da quell’azione azzardata, l’invasione nel cuore dell’Europa, le cui ricadute sono a tutti sconosciute. Anche alla Russia. Sfruttando l’amicizia con la Cina, il presidente della Federazione Russa ha lanciato la sfida all’ordine mondiale, sinora retto dagli Stati Uniti. Quest’ultimi non hanno preso coscienza della voglia di rivalsa di una potenza, anche nucleare, risollevatasi dal collasso socioeconomico seguito al crollo dell’Urss. Sarebbe questa la colpa degli Usa. Adesso la Russia continua a rompere gli equilibri, a ricattare l’Europa, e intenzionata a dividerla. Il disegno di Putin ha inoltre ragioni interne riconducibili alla crisi. Ovvero ai fallimenti in politica economica, che si intende in qualche modo coprire. Chiedetelo ai russi… Se non è dato sapere quale sia il reale consenso del governo moscovita, di certo il sentimento dominante tra gli occidentali è la preoccupazione. Che non ci deve paralizzare, tuttavia: per scongiurare tempi di guerra ognuno deve fare la sua parte. Perché, come ci ricorda papa Bergoglio, siamo artigiani di una storia da costruire. Oltre che custodi di un passato non irripetibile.

L’AUTRICE. Slavista e caporedattrice esteri dell’agenzia Askanews, Orietta Moscatelli su queste tematiche ha una conoscenza approfondita: ha già pubblicato Ucraina, anatomia di un terremoto (goWare, 2014), opera scritta a quattro mani con Sergio Cantone, e con Mauro De Bonis “Cecenia” (Editori Riuniti, 2004). Negli anni Novanta ha vissuto in casa del “nemico”. Ovvero a Mosca, prima di trasferirsi a Londra e a Lione. Da molti anni collabora con la rivista di geopolitica Limes.

Stregati dalla luna

Omaggio al compositore cipriota Kemal Belevi nel CD del duo Silvia e Livio Grasso: una musica sempre coinvolgente, frutto della commistione di linguaggi, stili e toni differenti rivive in “Cypriana”

La sua voce è predominante: forte e maestra, si lascia accompagnare dall’altro, che non copre e non sovrasta; e con lo stesso, infine, si fonde, come in un dialogo fattosi danza. È il violino di Silvia Grasso. Che in “Cypriana”, in compagnia della chitarra, rende omaggio alla musica del compositore cipriota Kemal Belevi. Un progetto monografico divenuto cd nei giorni scorsi con la prestigiosa etichetta discografica Naxos. Un omaggio a Cipro, al mare, al viaggio, in una commistione di diversi stili e linguaggi. C’è il fratello Livio ad accompagnare Silvia in questo percorso musicale. Un lavoro fatto con amore, frutto dell’intesa che possono raggiungere i familiari; e con la competenza di due professionisti che, preservando il loro stile, l’eleganza, devono mettere le loro conoscenze al servizio di una platea sempre più ampia. Il risultato è una contaminazione non forzata. I quattordici brani di Cypriana hanno in Ciftetelli il punto di approdo verso l’accoglienza e lo scambio, tra gli elementi folkloristici e quelli propri della cultura classica. Così, la musica di Kemal Belevi, nel pensiero di Graham Wade, tiene insieme le atmosfere del Mediterraneo orientale. Dalla dimensione enigmatica di Moon, dove la musica entra in sintonia con la natura (la luna nel suo lato luminoso e in quello scuro), alla melanconico – nostalgica di Romance, il disco incorpora tutti i colori. Compresi quelli luminosi e brillanti. O i toni trasognanti di Clouds. Così, in forza della circolarità, i ricordi si mescolano al presente, per fare spazio alla speranza. Il file rouge è la capacità che ha questa musica di essere coinvolgente. Merito degli interpreti.

Il duo Silvia e Livio Grasso rimanda alla scommessa di una nuova musica contemporanea per violino e chitarra. Silvia, classe 1989, ha fatto studi classici (liceo Archita di Taranto e Università degli Studi di Bari), integrati allo studio dello strumento conosciuto quando aveva 7 anni. Diplomata con il massimo dei voti, lode e menzione, all’istituto Paisiello, si è perfezionata con maestri come Fabio Cafaro e con la violinista austriaca Ulrike Danhofer. Si è aggiudicata diversi concorsi internazionali. È membro del Trio Gioconda De Vito. Oltre all’attività violinistica è impegnata nella didattica, come docente della scuola pubblica, e per l’Accademia musicale Rusalka. La collaborazione con il fratello Livio ha avuto inizio con uno studio sul compositore austriaco Ferdinand Rebay. L’ultima esibizione della violinista nata a Grottaglie è andata scena in terra lombarda, a Manerba del Garda, con Gaetano Simone al violoncello e Roberto Corlianò al pianoforte, per il concerto di apertura del festival Viator Musicae. Di soddisfazioni ne ha raccolte anche Livio Grasso: anch’egli vincitore di numerosi premi in concorsi internazionali, ha registrato due album con il Quartetto Santorsola.

Al duo facciamo i migliori auguri per il disco e per il proseguimento della missione che accomuna i musicisti in tutti i tempi.

Anomalie termiche e non soltanto: riecco i negazionisti del cambiamento climatico

Nei tg di tutta Europa non si parla d’altro, in toni enfatici: le temperature record registrate in questi giorni sono del tutto eccezionali. Eppure gli sconvolgimenti che accompagnano le anomalie termiche (incendi, siccità, fenomeni estremi, scioglimenti dei ghiacciai) non convincono i negazionisti del cambiamento climatico.

Articoli come questo, condiviso nelle ultime ore sui social, rafforzano la tesi di quanti vorrebbero far rientrare il caldo nella normalità. Perché (dicono) c’è sempre stato. Ma il fenomeno non si può ridimensionare… Costoro, i negazionisti cronici o gli improvvisati, ignorano che l’entità del caldo non si misura solamente col barometro, ma anche attraverso altri parametri. In primis temporali: un conto è l’eccezionalità di una giornata, come fu in quel luglio del 1964, altro è la persistenza della canicola che si protrae per settimane – al Sud la temperatura è schizzata sopra i trenta gradi già da maggio. Altro ancora è l’estensione del caldo a latitudini inusuali. Vero è che il cambiamento climatico ha sempre fatto parte della storia del nostro pianeta, nell’alternanza ciclica di periodi glaciali e interglaciali, dovuta in buona parte ai movimenti dell’asse terrestre e dell’orbita; ma l’intervento umano come fattore di accelerazione verso il surriscaldamento globale è innegabile. Così i danni prodotti dalle emissioni di gas serra. Ma ancora stiamo a parlarne…

Insomma, si direbbe, siamo spacciati: se la totalità delle popolazioni non prende coscienza di quanto sta accadendo, ai danni degli abitanti e del creato, le già flebili politiche orientate all’azione di contrasto al cambiamento climatico procederanno ancora più a rilento. A dispetto dei “gretini” e di coloro che ci avevano visto lungo lanciando l’allarme qualche decennio fa. Al netto di ogni previsione catastrofica censurabile (tutti gli eccessi fanno male), non ci resta che adattarci, per quanto possibile, a queste estati sempre più roventi lunghe insopportabili.

Il mondo della cultura sposa il metaverso. Mentre la politica (per ora) sta alla finestra

La scommessa di Angelo Lucarella: l’avvocato e saggista di Martina Franca (Taranto) prenderà parte ad una iniziativa inedita, per presentare il suo ultimo libro “nostalghia e libertà”. La sfida che va affrontata: “La tecnologia è imprescindibile, il mondo cambia, e il punto chiave è la sostenibilità. Su questo credo occorra una riflessione che metta la politica davanti alle proprie responsabilità”

La curiosità è la molla di chi scrive e osserva. Ne ha tanta anche Angelo Lucarella, che in tutto quello che fa ci mette passione entusiasmo competenza. Le novità non lo spaventano. Tanto che darà il suo contributo alla riuscita di una iniziativa inedita intitolata “Welcome to Metaverso”. Si tratta di uno degli eventi creati da Insight Pr, agenzia di pubbliche relazioni, la prima in Puglia a lanciare il metaverso – già operativa nel settore wedding. La stessa era tra i relatori di un importante convegno tenutosi all’Ateneo di Bari. La materia è discussa, affascina, chiama a raccolta gli esperti. Rappresenta un’opportunità per il pugliese Angelo Lucarella, di Martina Franca che, avvocato esperto di contenzioso tributario, ha all’attivo diverse pubblicazioni: da L’inedito politico costituzionale del Contratto di Governo a Amore e Politica, a Nessuno può definirci, opera scritta a quattro mani con Anna Monia Alfieri. Quest’anno ha pubblicato Draghi vademecum e partecipato con un suo intervento a Metamorfosi politica di Salvatore Di Bartolo. Ha ricevuto riconoscimenti come il Premio internazionale del Galateo 2021 in Roma Capitale. Già vicepresidente coordinatore della commissione Giustizia del Ministero dello Sviluppo economico, ricopre incarichi istituzionali. Ha come faro la Costituzione della Repubblica italiana; e nella politica, proprio per i suoi ideali, un interlocutore da sollecitare, in relazione ai tempi che viviamo. Il suo prossimo impegno è una tappa speciale, in quanto assume una particolare rilevanza, non tanto in chiave personale quanto comunitaria, lascia intendere…

Quello che sembrava un’illusione, qualcosa di non fattibile, di etereo, è diventato realtà: organizzare un evento nel metaverso. Un incontro letterario nella fattispecie. Le chiediamo un’anticipazione sui contenuti del suo ultimo libro “nostalghia e libertà”, e sullo stesso evento del quale farà parte.

“Il Metaverso,si dice spesso, riguardi il futuro. In realtà ritengo sia già il presente. Un mondo parallelo, virtuale ma non troppo; pieno di opportunità diversificate che spaziano dal piano culturale a quello del business, dalle pubbliche relazioni al turismo esperienziale a distanza, eccetera. Non è da escludere che in tutto ciò non si affacci anche il mondo politico. Le nuove generazioni, specie quelle tecnologicamente sensibili, hanno idee molto chiare e per questo credo la politica stessa debba farsi carico di intercettare la funzionalità e la versatilità che può rappresentare, appunto, il Metaverso. La società, generazionalmente parlando, ha tante sfaccettature. Sì, prossimamente avrò l’opportunità di partecipare ad un evento, in questo mondo parallelo, organizzato dai due pugliesi Luisa Colonna e Gianni Spadavecchia (tra i primi professionisti a credere in questa opportunità); verrà presentato il mio ultimo libro, allo stato in definizione di pubblicazione, dal titolo “nostalghia e libertà”. Si tratta di un saggio incentrato sull’attualità geopolitica. Per partecipare all’evento ci si registra e si crea un avatar (con il supporto della stessa organizzazione, possono accedervi fino a 50 ospiti da tutto il mondo, ndr)”.

Metaverso, blockchain, nft, e tutto ciò che ruota attorno al web3 è un mondo da esplorare e da conoscere: da dove è nato il suo interesse?

“Quest’anno ho avuto il grande onore di partecipare al secondo anno della Scuola politica Vivere nella Comunità fondata dal Prof. Sabino Cassese unitamente ad altri illustri. Un anno in cui gli argomenti trattati implicavano una certa attualizzazione del processo formativo e quindi verso ciò che è il campo dei nuovi spazi politici, economici, giuridici. Da qui un incontro sul Metaverso che ha, ovviamente, lasciato il segno. La politica non può che iniziare a pensare come interpretare e decifrare questo quadro d’interazioni umane in parallelo”.

Quali sono le potenzialità della tecnologia moderna? Applicata anche alla sua professione. Sebbene lei non sia un esperto, si sarà fatto un’idea…

“La tecnologica è imprescindibile. Oggi più che mai i giuristi, i commercialisti, i medici, sono chiamati ad una sorta di “evoluzione ingegneristica”. Liquidare la questione come se non riguardasse il campo umanistico è miope. Il mondo cambia, così come cambiano talune interazioni umane. Il punto chiave è la sostenibilità del cambiamento. Su questo credo occorra una riflessione che metta la politica davanti al recupero della proporzionalità dei pesi e delle velocità soprattutto nell’ottica di non far sparire, piano piano, le medio-piccole realtà di partita iva (perché di questo si tratta anche: produttività del Paese). L’anticamera di questo è la filosofia che non mancherà di immaginare un mondo umanisticamente sostenibile”.

Avvocato, da appassionato di politica qual è lei, e da frequentatore, ritiene che la stessa abbia un reale interesse a spingere verso una vera e propria rivoluzione che dovrebbe favorire il processo di democratizzazione?

“La politica in quanto tale no. C’è obbiettivamente poca consapevolezza diffusa sulla questione. Indubbio è che si tratti di una sfida che, volendo o meno, occorrerà affrontare. Prima ci si industria a comprendere la portata e meglio sarà. L’effetto distorsivo potrebbe, giustamente, riguardare il processo democratico. Come accaduto già con l’avvento dei social, ma prima ancora con le Tv, il punto di snodo è sapere che o la società politica si rende preparata al cambiamento o quest’ultimo cambia la politica. E questi processi, se violenti, possono superare le forme e i contesti in cui il potere si esprime (cioè la democrazia a cui siamo abituati a pensare)”.

Il viaggio di Mario Desiati, Premio Strega 2022

Conobbi l’Autore in una piccola libreria. Qualche anno fa, in un incontro pubblico, rimasi colpito dalla gentilezza di chi mi ringraziava per esserci stato, e per averlo ascoltato sino alla fine; e naturalmente, sul piano narrativo, dalle capacità descrittive dei luoghi condivisi. Doti da scrittore puro. Il Premio Strega 2022 conquistato dal martinese Mario Desiati inorgoglisce l’intera comunità da lui vissuta.

Il suo Spatriati in un articolo de Lo Jonio pubblicato il 15 maggio 2021:

Zanzare killer: Oriana, 21 anni, muore per una puntura sulla fronte

Alzi la mano chi ama quegli insetti molesti che sono attivi giorno e notte. Ormai in ogni stagione. Considerate innocue, da noi, in termini di impatto sulla salute; ma le zanzare possono farsi killer, in qualsiasi Paese: è quanto successo ad Oriana Pepper, 21 anni, di Bury St Edmunds (Suffolk), deceduta tre giorni dopo essere stata punta da una zanzara sulla fronte. La vittima era un’apprendista pilota.

I fatti risalgono a luglio 2021. Punta dalla zanzara in Belgio, dove si trovava per fare addestramento, la giovane si era recata al pronto soccorso, allarmata dai fastidiosi gonfiori presenti sopra il suo sopracciglio destro – avvertiva anche un dolore sordo alla schiena. Le sono stati prescritti antibiotici. Inefficaci per la cura: OP è morta tre giorni dopo. “A causa di una grave infezione causata da una puntura di insetto sulla fronte”, la motivazione. Il medico legale ha dichiarato di non aver mai visto niente di simile. L’inchiesta in corso farà piena luce su quanto successo. L’autopsia ha rivelato che il decesso è avvenuto per embolia settica, quando l’infezione si è diffusa al cervello. Sgomenti i genitori. In memoria della figlia, la madre Louisa ha istituito una piccola borsa di studio per incoraggiare altre donne pilota ad entrare nella professione. Il volo era la grande passione di chi stava realizzando i propri sogni. Spezzati quelli professionali e di donna, per colpa di una comune zanzara che, a detta della gente del posto, rappresentava la normalità per il periodo dell’anno e per la zona.

UN PERICOLO VERO. A dispetto della percezione comune, i numeri si pongono in antitesi rispetto alla sottovalutazione: le zanzare possono essere vettori di patogeni (virus e protozoi) che causano malattie pericolose come Chikungunya, Dengue, Zika e Febbre gialla. Ogni anno fanno almeno 830mila morti. In Italia si contano circa 65 specie: tra le più pericolose ci sono le Culex Pipiens, le Anopheles e le zanzare Aedes, a cui appartiene A. albopictus, la zanzara tigre asiatica. Si tratta dell’animale più letale in circolazione. Il più pericoloso, sicuramente, la zanzara per l’uomo.

El Pais celebra il sorriso e l’aplomb della “terrona” Benedetta Pilato

Le sue gesta hanno conquistato il mondo. La stampa estera si interessa a Benedetta Pilato, e non soltanto per quanto sa fare in vasca: il quotidiano spagnolo El Pais celebra quella che è sempre stata l’arma migliore della 17enne di Taranto. Che ora è cresciuta e sa rispondere anche alle provocazioni immancabili. “L’aria si carica di elettricità quando Benedetta Pilato sale sull’autobus”, l’incipit dell’articolo a firma di Diego Torres che compare sulla homepage del giornale più diffuso, nella versione cartacea, in Spagna. E mentre “il simpatico Martinenghi fa una scorciatoia, i fisioterapisti si agitano, i tecnici ridono”, lei cosa fa, se appena passa si sentono battute umoristiche riferite alla sua origine meridionale? “Senza togliersi gli occhiali da sole, risponde al tumulto con un sorriso smagliante e la sicurezza di chi si sente padrone della situazione”. Ecco l’aplomb della giovane campionessa. Della donna, che davanti a sé ha tanta strada da percorrere. Altri autobus da prendere. Altra gente da conoscere. Altra solamente da incrociare lungo il proprio percorso agonistico – esistenziale.

MODELLO ITALIA. La stessa testata sottolinea che una squadra italiana non aveva mai vinto così tante medaglie in un campionato del mondo. Il confronto con la Spagna, fanalino di coda nel medagliere, insieme al Sudafrica, è impietoso. L’Italia invece non è più rassegnata a giocare un ruolo secondario all’ombra di Paesi come Stati Uniti o Australia. Il secreto del successo, rileva El Pais attraverso le parole di Cesare Butini, il direttore tecnico della nazionale italiana di nuoto, sta nella coesione dello staff interno. Perché quella dell’allenatore è una figura chiave. A lui spetta il compito delicato di gestire le individualità: sebbene il nuoto sia uno sport individuale, l’atleta può esprimere il suo talento solo se immesso in un gruppo forte. Pilato docet. Lei è cresciuta in un gruppo di amici che ama nuotare: Taranto resta la sua “casa”: lo è la Meridiana, dove si allena tutt’oggi, seguita dal coach Vito D’Onghia.

Una storia di resilienza e di passione autentica

Inaugurata a Taranto la “Ciclofficina Conte”, il primo servizio a domicilio per la riparazione delle biciclette

“Io la bicicletta la sento con le mani”. Così Armando Conte prova a definire il rapporto che ha con la bici da corsa: per pedalare serve la parte inferiore del corpo, ma non solo. Soprattutto se in bicicletta ci vai da tanti anni – più di venti. Serve ogni organo. Lui (tarantino, classe 1984) l’ha conosciuta nell’estate del ’98, ai tempi del ciclismo pre-moderno, quando le gesta ineguagliabili del Pirata Marco Pantani facevano innamorare di questa disciplina tanti sportivi; non l’hai mai lasciata salvo prendersi delle pause. Adesso ha aperto una ciclo officina a Taranto. Il negozio si trova in viale Magna Grecia 69, ma è mobile, itinerante. Armando è il primo a offrire un servizio a domicilio nella città che vuole fare della mobilità sostenibile e della cultura della bicicletta un vettore di crescita. Avendo viaggiato e soggiornato al di fuori della città dei due mari, il ciclista ha avuto modo di formarsi, di accrescere il proprio bagaglio di conoscenze, e di mettere al servizio della comunità ionica le proprie competenze. Ha un trascorso da agonista tra le file del Gruppo sportivo “Marangiolo Taranto”. Fisico da scalatore, lunghe leve adatte anche a fare il ritmo quando la strada non pende, ha conosciuto la vittoria, le sconfitte, i momenti di prova. Una pedalata agile che conserva quando rimonta in sella ed è lontana la forma migliore.

Ha provato ad uscire dal suo mondo occupandosi d’altro: si è dato alla ristorazione, aveva una pucceria nel cuore di Taranto, prima di tornare tra le due ruote dedicandosi alla officina e vendita con “South Bike”, esperienza chiusa nel pre-pandemia. Ma il richiamo della bici è sempre più forte. Quella ce l’hai nel sangue, ti scorre nelle vene, e non la puoi sostituire. Per anni è stata la sua fedele compagna, con la quale uscire ogni giorno, con qualsiasi condizione meteorologica, sotto la pioggia o sotto il sole cocente dei primi pomeriggi di luglio o agosto: allenamenti e gare, migliaia di chilometri macinati con metodo, ad acqua e banane, la salita come il pane. Lei non lo ha mai tradito. In corsa non è mai finito a terra il corridore, che sembrava avere le antenne. Sapeva fiutare il pericolo. L’amore per lo sport, inteso come ricerca del benessere e sana competizione è rimasto intatto, al riparo da ogni esasperazione. La cura adesso è offerta a chi possiede una bicicletta attraverso il servizio a domicilio per le riparazioni del mezzo. Qualsiasi tipo di bicicletta (da città, da bambino, da corsa, mbt), monopattini ed anche carrozzine per invalidi.

La Ciclofficina Conte, inaugurata nella serata di mercoledì scorso, rappresenta allora un ulteriore punto di svolta nella vita professionale di chi ha scelto di restare nella propria terra, a beneficio dell’intera comunità ionica. Un’attività che può nascere solo dalla passione. E con la stessa, con perseveranza, va fatta crescere. 

Come un fiore nel deserto: l’invito alla castità di Francesco

Quante coppie arrivano al matrimonio senza aver avuto un rapporto intimo? Conosce la risposta lo stesso papa Bergoglio, che tuttavia, alla comunità dei fedeli e non credenti, indica la direzione, la strada da percorrere… La vera trasgressione oggi è il ritorno alla purezza. Che significa, riscoprire il piacere dell’attesa e della lentezza, della scoperta e della conoscenza; assaporare e non sperperare quel patrimonio immenso chiamato Bellezza. Ecco perché il messaggio di Francesco va letto come un accorato invito e non come un monito. Né un’ingerenza nella sfera privata e nella libertà delle persone che mirano al matrimonio. Arriva in tempi nei quali, come sempre, il credente è chiamato ad andare controcorrente. Non è un ritorno al Medioevo, insomma. La Chiesa romana cattolica, e il successore di Joseph Ratzinger particolarmente, si adeguano ai nuovi tempi senza rinnegare la Parola eterna. La comunità dei credenti ha il dovere di far aprire gli occhi su ciò che più conta.

LE NUOVE LINEE PER LA PREPAZIONE AL MATRIMONIO. “Non deve mai mancare il coraggio alla Chiesa di proporre la preziosa virtù della castità, per quanto ciò sia ormai in diretto contrasto con la mentalità comune”. Così il documento per il Dicastero dei Laici traccia l’orientamento. Ne sono coinvolte, in un rapporto dialettico, l’istituzione e le coppie: “Vale la pena di aiutare i giovani sposi a saper trovare il tempo per approfondire la loro amicizia e per accogliere la grazia di Dio. Certamente la castità prematrimoniale favorisce questo percorso”. L’obiettivo è assicurare la solidità del matrimonio. Creare basi solide, perché il castello non cada dopo poco tempo. Il Vaticano intende avere come interlocutori anche le coppie conviventi. E l’astinenza, chiarisce il documento, può essere praticata in alcuni momenti anche nello stesso matrimonio. Naturalmente come libera scelta. Espediente per mantenere accesa la fiamma della passione, che è uno degli ingredienti utili a tenere insieme le coppie.

Destinazione paradiso: dall’Italia agli Usa, viaggio con ritorno alla scoperta del Web3

Cosa ho imparato nei miei primi 100 giorni nel mondo cripto

di Giorgio SCURA

Il 15 aprile scorso lasciavo Fanpage, dove facevo il capo della cronaca. Il primo aprile, e non per scherzo, ho iniziato la mia avventura da giornalista nel mondo delle criptovalute, della blockchain, di Bitcoin e di tutto il resto appresso, che ho studiato voracemente negli ultimi 12 mesi, ma di cui ancora ci sono milioni di cose che non so e non capisco.

Se non sono passati 100 giorni, poco ci manca, ma per l’intensità e la velocità con cui li ho vissuti, potrebbero essere tranquillamente 1000. Il mercato era ancora abbastanza forte, Bitcoin viaggiava stabilmente sopra i 42mila dollari, e io prendevo un volo da Napoli, dove vivo, via Madrid, destinazione Bitcoin Conference, Miami.

No, non sono un giornalista economico, né uno speculatore, né un giocatore d’azzardo. se iniziate ora con noi questo viaggio, leggendo Decripto, vedendo i nostri video e le nostre interviste, capirete che “The Space”, come gli addetti ai lavori chiamano il Web3, è molto più di questo. Ma il termometro sì, quello è il prezzo di “sua maestà” Bitcoin.

Vi confesso che ci ho messo un po’ a capire cosa fosse la blockchain, la tecnologia che sta alla base di tutto questo fantastico mondo. E ovviamente ancora non mi sono chiari i passaggi più tecnici, anche se non sono sicuro né che ci riuscirei fino in fondo, né che sia davvero necessario. Noi siamo comuni mortali, che con sviluppatori e programmatori, e il loro linguaggio incomprensibile fatto di sigle e nomi strani, non riusciamo neanche a bere un caffè senza che ci venga l’emicrania.

Ma sono certo che molti di voi non conoscono il funzionamento di un motore a scoppio, eppure usano l’auto; non sanno che cos’è il protocollo Html, eppure usano Internet, non hanno nessuna idea di come funzioni la rete 5G eppure videochiamano amici e parenti.

Ecco, pensavo a questo, su quel volo Iberia che mi portava a vedere con i miei occhi un’industria che sta nascendo, nel luogo dove tutto il mondo Web3 si dà appuntamento una volta all’anno. In realtà una volta atterrato nella calda e carissima Miami, ho scoperto che le conference erano decine, gli eventi centinaia, le aziende migliaia e che quella città respira e vive di cripto, quando da noi in Italia il tutto è visto solo come una gigantesca truffa.

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Il richiamo della musica: un bonario stordimento

Le contaminazioni e la denuncia in “Negativo”, il nuovo disco de I Funketti Allucinogeni

Già il nome, dal modo colorito, li definisce al meglio: hanno quel dinamismo un po’ folle, in senso positivo, proprio delle nuove generazioni, del realismo vissuto nell’incanto. Confermandosi nella loro natura, i Funketti Allucinogeni hanno dato alla luce il loro primo disco. Si intitola “Negativo”, una produzione Trulletto Records, disponibile dal venti maggio scorso. È un lavoro ricco di contaminazioni rap ed elettroniche, all’insegna dell’innovazione, intesa non come ricerca spasmodica. Nove brani che esaltano le vocalità dei cantanti della band salentina. Un concentrato di sonorità (non mancano gli intermezzi strumentali), di immagini e contenuti offerti al pubblico senza soluzione di continuità. Come a voler stordire chi ha udito. Bonariamente e non, perché in quei contenuti resta imperante la denuncia. Ma la lettura può essere anche divertita. Se è vero che la musica, quel genere in particolar modo, è libertà nell’atto creativo. E dalla contestazione alla pacificazione il percorso è diretto, non graduale, ma quasi improvviso in “Intro”. Quella musica ha, dunque, un obiettivo, un ordine proprio predefinito: non è frastuono né anarchia. La mission dell’artista è sovvertire le regole di massa. E se viviamo tra “generazioni di esibizionisti”, di finti artisti, possiamo sempre trovare al mondo una bussola, per far annegare le nostre paure nello stesso posto pieno di insidie e di pericoli. Quella bussola naturalmente ha nome Arte e Musica.

i Funketti Allucinogeni, Negativo

I Funketti Allucinogeni sono un quartetto crossover con contaminazioni funk, rock e rap. È nato dalle sperimentazioni di Matteo Spinelli alla batteria, Piergiulio Palmisano (chitarra), Gabriele Cavallo (voce, pianobass e tastiere) e Riccardo Cavallo (basso). Il loro successo non si è fatto attendere. Nel 2014 infatti la band fu protagonista al Brain Music Contest al Salento Fun Park di Mesagne distinguendosi anche in originalità. Nei tre anni successivi la consacrazione con la vittoria in altri concorsi. Nel 2019 I Funketti si sono aggiudicati il Wau Contest, premiati da Max Casacci dei Subsonica. Un anno prima, con la pubblicazione dell’EP “Ombre”, hanno avviato la collaborazione con XO la factory, Cabezon ed Elephant Music. Discostandosi dai precedenti contenuti, dalla cosiddetta vita d’artista al centro dei testi più introspettivi, il loro primo disco Negativo segna anche il distacco dall’inglese in favore della lingua madre. Sotto accusa la società intesa come realtà frivola, dove ognuno guarda ai propri interessi, e non si gode il viaggio consumato in fretta e furia. Proprio loro, sì, puntano il dito contro il ritmo. Perché se è vero che perdiamo tempo nel superfluo, o in ciò che arreca danno, peggio, la musica ci riporta alla creatività e all’essenza. Al dovere dell’inclusione, inoltre. A rafforzare l’autostima e l’autodeterminazione di noi tutti che siamo simili e diversi. “Faccio troppo sul serio e non godo il presente”, recita il quinto brano dell’album, con un ammonimento: riempiamo di lavoro le nostre giornate, per un pugno di niente.

Taranto luogo di memorie, tra sapori d’Oriente e viaggi di marinai

Pierfranco Bruni celebra la maestosità di Taranto

di Stefania ROMITO

Quando un luogo diventa poesia? Quando viene abitato dall’anima del poeta nel candore dell’incanto.

La Taranto che emerge dal progetto lirico di Pierfranco Bruni, dal titolo “Mi racconta d’infinito la città dei mari”, patrocinato dal Sindacato Libero Scrittori Italiani, soddisfa ogni istanza emozionale attraverso un viaggio metafisico tra versi e immagini. Taranto luogo di memorie in cui si percepiscono gli echi ellenici trasportati dal vento del mito. Città della Magna Grecia che conquista il cuore del poeta per il suo illustre passato e il fascino della magnificenza.

Un progetto nato dall’amore che lo scrittore, poeta e saggista Pierfranco Bruni (già candidato al Nobel per la Letteratura) nutre nei confronti di una città che ha custodito gran parte della sua esistenza. Un luogo in cui l’inquieto si intreccia al sereno di un tempo scandito dai rintocchi dell’anima… in sere di città vecchia, e passeggiate di ponti, nel fresco d’aurore. Un luogo elettivo in cui il paesaggio penetra tra le pieghe di un’esistenza pronta ad accogliere l’essenza che abita la Bellezza.

Così Pierfranco Bruni penetra la città di Taranto mediante la rappresentazione visiva di creazioni artistiche e componimenti lirici di intenso spessore esistenziale. Il poeta si fa disegnatore di immagini in grado di cogliere il senso archetipico e antropologico della città dei due mari. Taranto città di marinai che solcano la rotta di Ulisse in viaggi che hanno sempre i ritorni nelle attese dei silenzi. Una dimensione lirica atemporale in cui le epoche sono fili di ricordi che solcano le rughe dei vecchi capitani d’àncora.

La grande abilità del poeta Bruni appaga l’anima del lettore nel catturare l’indefinibilità di un orizzonte avvalendosi della rappresentazione visiva e immaginaria “di un volo di airone che si colora di reticenza”. Quella stessa ritrosia che suggella le labbra degli amanti. Bruni coglie le percezioni celate dal velo del mistero e le restituisce con versi di sublime intensità: Come orizzonte perduto/d’infinito oltre la linea/dello sguardo osservo/lo spazio degli aironi/che hanno del volo/la reticenza del rischio/ di un bacio d’amante/ sulle labbra dell’amore.

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La solitudine di Gratteri nel Paese ad alta densità mafiosa

Secondo i servizi segreti americani, il magistrato calabrese rischia di saltare in aria, come accadde a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma Nicola Gratteri non si lascia intimorire. Lo dicono le sue ultime apparizioni televisive, dal Maurizio Costanzo show a Otto e mezzo, a Piazzapulita. Egli sa di dover convivere con la paura. Mettendo a rischio la propria vita, la mission del procuratore della Repubblica di Catanzaro, uno dei magistrati più importanti del nostro Paese, è portare avanti la battaglia contro la ‘Ndrangheta. Inoltre migliorare il sistema penale e processuale. Duro il suo attacco al governo, negli ultimi giorni. Resta aperto il suo interrogativo: cosa fa il premier Draghi? Come si intende intervenire, a supporto della magistratura, per combattere la criminalità organizzata, le mafie tutte? Nulla di concreto, a quanto pare, nel disinteresse generale. Ma sì, sottostimiamo l’allarme… Tanto abbiamo deciso che la stagione stragista è conclusa (come le guerre in Europa). Quando uno muore, poi, diventa eroe, e viene celebrato per sempre da intere generazioni. Nicola Gratteri non è solo: dalla sua parte c’è la parte sana della società, e una squadra di “giovani eccellenti magistrati” che con lui collabora. Ma non basta, se manca l’attenzione delle alte cariche dello Stato della Repubblica italiana. Si pensi che l’uomo non ha mai avuto la possibilità di confrontarsi con Mario Draghi, né con il ministro della Giustizia, Marta Cartabia. E questo è sconcertante.

NON PERVENUTO. Sotto accusa il premier Draghi sul tema della sicurezza e della giustizia. Il governo, secondo Nicola Gratteri, non sta facendo nulla sul piano normativo. “Sta smontando anzi le norme che c’erano – denuncia – il messaggio che sta arrivando alla gente comune, oltre agli addetti ai lavori, è che c’è aria di smobilitazione: non c’è più attenzione, non è nell’agenda di governo, il tema”. Draghi giudicato non pervenuto nella lotta alla criminalità organizzata e non soltanto. Il magistrato contesta infatti una serie di norme, dalla riforma dell’ordinamento giudiziario alla improcedibilità, che non servirebbero proprio a nulla: non possono velocizzare i processi, né dare risposte alla comunità, o migliorare la qualità lavorativa dei magistrati e delle forze dell’ordine. Sono norme da “liberi tutti”. Ovvero quasi punitive nei confronti della magistratura. L’attacco del dottor Gratteri è pesante. E se vero è che il presidente Draghi ha parlato nei giorni scorsi della criminalità organizzata, come problema da affrontare, bisogna considerare che nel giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi non ha detto una sola volta la parola “mafia”, senza mai toccare l’argomento per un intero anno: lo ha fatto solamente all’indomani della partecipazione del magistrato alle trasmissioni di Lilli Gruber e di Maurizio Costanzo prendendo parte al 30esimo anniversario della Dia (Direzione investigativa antimafia) a Milano. Un intervento forzato tardivo fumoso. Draghi peraltro si è limitato a far riemergere quanto riportato nelle relazioni della Dia, dello Sco e del Ros di 8-10 anni fa.

Referendum 12 giugno: su cosa si vota

La materia è complessa. E importante, al punto che, secondo alcuni, non sarebbe opportuno interpellare l’opinione pubblica. Perché la stessa, per incompetenza, potrebbe “fare danni”. Ad ogni modo è doveroso conoscere il contenuto dei cinque quesiti del referendum sulla Giustizia, promossi dalla Lega e dai radicali. Il primo attiene alla questione morale; gli altri, alla magistratura e al processo penale. Si andrà al voto domenica 12 giugno (dalle ore 7 alle 23), giorno delle amministrative per 970 comuni italiani. La preferenza va espressa su ogni singolo quesito, attraverso il SI si consentono le modifiche sottoindicate, NO per lasciare la normativa inalterata:

1. Abrogazione della parte della legge Severino che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per politici (sindaci, consiglieri regionali, parlamentari, membri del Governo) e amministratori locali nel caso di condanna per reati gravi come mafia, corruzione, concussione o peculato.

2. Limitazione delle misure cautelari. Va premesso che affinché si possa avere una misura cautelare, deve sussistere uno di questi 3 elementi di garanzia: il pericolo di ripetere il reato, il pericolo di fuga, l’inquinamento delle prove. Il quesito chiede di togliere la “reiterazione del reato” dai motivi per cui i giudici possono disporre la mc in carcere o domiciliare durante le indagini ovvero nella fase preprocessuale.

3. Lo stop delle “porte girevoli”. Non permettere più il passaggio di ruolo tra giudice e pubblico ministero e viceversa nella carriera di un magistrato.

4. Valutazione magistrati. Permettere che gli stessi, la loro professionalità e operato, possano essere votati anche dagli avvocati, parte di Consigli giudiziari.

5. Riforma Csm. Abolire l’obbligo per un magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme per presentare la propria candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura.

Post scriptum. Per la validità del referendum dovranno votare il 50% + 1 degli aventi diritto.

Svolta epocale nel mondo del web. E l’informazione rinasce con “Decripto”

Giorgio Scura lascia la redazione di Fanpage per dirigere un progetto inedito che ruota attorno alla terza generazione di tecnologia Internet Web3

Lui è sempre stato un pioniere. Del mondo dell’informazione che corre sul web; della scoperta di modelli di organizzazione delle notizie, di talenti e risorse che possono concorrere alla sua stessa missione: sensibilità e professionalità diverse da valorizzare e tenere insieme, in qualche modo, nel rispetto delle personali inclinazioni. È per questo che ha creato Net1news, piattaforma innovativa basata sulla compartecipazione dei publisher e degli utenti lettori; fatto parte per oltre 6 anni della redazione Fanpage, come capo cronista, riconoscendo in quel progetto il punto di incrocio tra tecnologia e tradizione. Adesso Giorgio Scura è pronto per una nuova avventura. Che ha nome “Decripto”. Si tratta di un giornale online indipendente, meritocratico e partecipativo, quello da lui  diretto, collocabile nella nuova era di internet definita Web3. Una nuova sfida, probabilmente la più difficile per il giornalista. Un calabrese pragmatico e insieme sognatore. L’esperienza è dalla sua: cominciò da cronista nel 2002 con Leggo, è stato inviato in Libano, Iraq e Afghanistan, ha lavorato per Il Gazzettino e realizzato inchieste. Lo ricordiamo come il primo giornalista italiano ad aver intervistato in esclusiva Julian Assange, coadiuvato da Francesco Piccinni, direttore di Fanpage fino all’anno scorso. La materia che sta maneggiando potrebbe ai più risultare inaccessibile o quantomeno ostica. Tutte le novità, peraltro, da un lato incuriosiscono, dall’altro spaventano. Tecnologia blockchain, web3, metaversi, crypto stimolano invece il direttore del giornale la cui mission è fungere da ponte tra il mondo che sta nascendo e il web 2.0. Ovvero semplificare certi concetti. “Questo non significa che diventeremo tutti esperti di finanza e tecnologia”, assicura GS rilevando ad esempio che tutti noi facciamo uso del videofonino, senza conoscere il meccanismo che lo mette in funzione.

Intanto hai lasciato la strada vecchia… Quali sono i limiti dell’editoria tradizionale con cui ti sei confrontato per tanto tempo?

“Limiti politici, di prossimità estrema con il potere politico ed economico. Quindi una forte limitazione alla libertà di stampa”.

Che cosa ti porti dell’esperienza fatta a Fanpage?

“Tante cose. L’aver capito l’importanza di lavorare in un ambiente sereno e l’importanza del lavoro di squadra, oltre all’importanza del cosiddetto girato forte. Con Fanpage abbiamo scritto pagine importanti di giornalismo nel nostro Paese”.

L’informazione libera è l’obiettivo di un vero giornalista. Ma Fanpage non era nato con gli stessi presupposti?

“Sì, solo che ancora non credono molto nel web3. Questo nuovo mondo ha un grande bisogno di essere raccontato e spiegato, e pertanto richiede il contributo di giornalisti e divulgatori”.

Tu invece ci hai sempre visto lungo…

“Così come successo quindici anni fa, credo che il web stia per cambiare ancora completamente”.

Giorgio Scura

Mafia e crimini mondiali: l’assuefazione, un rischio da scongiurare

Sono immagini che fanno accapponare la pelle. E quest’effetto devono generare, pur a distanza di anni: ne sono passati trenta esatti dalla strage di Capaci, quando persero la vita il giudice Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta: Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Allora la rassegnazione era il sentimento dominante. Oggi invece possiamo provare che quello stesso attentato dinamitardo, inteso come il momento più alto della ferocia criminale, ha squarciato l’asfalto dell’omertà e della indifferenza delle quali sono state colpevoli per molto tempo le comunità. Un risultato che va consolidato attraverso l’esercizio della memoria. Perché l’assuefazione rispetto ai crimini compiuti dalla mafia, dalle grandi organizzazioni criminali, e non soltanto (si pensi alle immagini terrificanti che dalla guerra in Ucraina continuano ad arrivare), è un rischio sempre reale.

A rileggere l’ultimo editoriale di Giovanni Falcone emerge lo scoramento e il senso di impotenza, la denuncia di chi sapeva di avere il destino segnato; ma anche barlumi di speranza. Si intitola “Il lento passo della legge” ed è stato pubblicato il 7 gennaio 1992 su La Stampa:

NON sono ancora sbiadite le immagini dell’ennesimo funerale di Stato, toccato questa volta al sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e alla sua sventurata moglie, uccisi dalla mafia. Immagini, è doloroso doverlo ammettere, che ci hanno rimandato una chiara sensazione di “già visto”. Come se fosse stato riproposto un copione scritto da tempo e “buono” per tutti gli omicidi eccellenti, abbiamo sentito autorevoli opinionisti sollevare pesanti interrogativi sull’efficacia con cui le istituzioni combattono, così si dice, la criminalità organizzata nel nostro Paese. Il Presidente della Repubblica, in particolare, interpretando lo sdegno dell’intera collettività, ha rimarcato la necessità di affrontare in modo serio il problema, prima di dover cedere alla tentazione di ricorrere a leggi eccezionali. Eventualità già “bocciata” da più di un esponente delle istituzioni e della cultura e definita rimedio peggiore del male. Nel bozzetto di prammatica non sono mancate le diatribe tra politici locali e la “ferma e incrollabile decisione” di perseguire esecutori e mandanti della efferata esecuzione mafiosa, rivendicata dalle autorità centrali.

Tutto previsto, dunque. Anche il fatto che tra pochi giorni nessuno si ricorderà più del sovrintendente Salvatore Aversa, come è già stato rimosso dalla memoria collettiva il nome di Antonino Scopelliti o di Rosario Livatino, giudici assassinati soltanto qualche mese fa, e il nome di Antonino Scopelliti o di Rosario Livatino, giudici assassinati soltanto qualche mese fa, e i nomi di tutti gli altri magistrati e investigatori caduti, come si suole dire con pudica metafora, nell’adempimento del proprio dovere.

L’indignazione, così, cede progressivamente il passo all’assuefazione verso crimini indegni di un Paese civile e ci si rassegna all’idea che zone sempre più vaste del territorio nazionale ubbidiscano a regole che non sono quelle imposte dalla legge dello Stato. Nello stesso tempo, tranne isolate eccezioni che rasentano e spesso raggiungono l’eroismo, cresce la disaffezione di magistrati e forze di polizia verso il proprio lavoro. Perde efficacia l’azione di contrasto verso la criminalità, che, di contro, da questa certezza di impunità, riceve sempre più vigore. Eppure c’è chi continua a meravigliarsi ipocritamente della scarsa efficienza dell’azione dell’apparato repressivo, fingendo di dimenticare le quotidiane intimidazioni e le rappresaglie cui vengono ogni giorno sottoposte le forze dell’ordine. Tutto nella più totale e generale indifferenza. Anzi, qualche volta, nella ipocrita negazione di una verità: la lotta alla criminalità non è più un problema di alcune aree del Meridione ma una delle emergenze prioritarie del nostro Paese.

Come non ricordare quanto accade, per esempio, in Puglia, regione fino a poco tempo fa ritenuta immune dal contagio mafioso. Due attentati in pochi giorni contro il palazzo di giustizia di Lecce, che poco allarme hanno suscitato; e, ieri infine, la notizia dell’esplosivo sui binari alle porte della città barocca, che altri lutti non ha provocato solo per un caso. Gli investigatori attribuiscono alla mafia locale la paternità di tali intimidazioni.

Continua a mancare, a nostro avviso, una risposta istituzionale adeguata che faccia comprendere a tutti, e principalmente alla malavita, che quanti, magistrati, poliziotti o anche semplici cittadini si oppongono allo strapotere mafioso, non sono soli ma godono della solidarietà delle istituzioni e di quella società civile alla quale pure si chiede una reazione, per esempio di fronte al dilagare della piaga delle estorsioni. Ma non si può ignorare che, per ottenere una “nuova” solidarietà dai cittadini, lo Stato deve cambiare registro, abbandonando la mentalità burocratica e le tecniche obsolete con cui finora si sono affrontati i problemi legati alla lotta alla mafia per approdare soprattutto ad una “nuova professionalità”.

Le modifiche recentissime dell’ordinamento delle forze di polizia e degli uffici del pubblico ministero sono state adottate appunto per creare organismi agili e moderni in grado di opporre alla malavita efficaci strategie di lotta. Ma bisogna dire con chiarezza che siamo soltanto all’inizio, basti pensare, d’altra parte, che la riforma degli uffici del pubblico ministero non ha ancora esaurito l’iter legislativo. Con queste iniziative si è appena colmato, e solo in parte, il grave ritardo nell’adozione di indispensabili strumenti legislativi per la lotta alla mafia. Sbaglia, dunque, chi ritiene siano stati compiuti decisivi passi in avanti. Adesso viene la parte più difficile: dotare gli uffici di adeguati mezzi logistici e formare le “nuove professionalità”. Certamente non si parte da zero, ma non si può nemmeno parlare di situazione soddisfacente, come confermano i risultati poco esaltanti degli ultimi anni.

La strada è lunga e in salita e non servono scorciatoie di alcun tipo: neppure il ricorso ad eventuali leggi eccezionali. Probabilmente accadrà di trovarsi ancora a dover piangere per lutti di mafia, ma guai se dovessimo lasciarci andare al senso di frustrazione e di impotenza che finora hanno accompagnato le tante, troppe, uccisioni di persone per bene.

Vite straordinarie, un anno fa ci lasciava Robert Marchand

Alla fine si è dovuto arrendere al Covid, il nemico che può uccidere ancora. Ma alla veneranda età di 109 anni! Finché ha vissuto, Robert Marchand non è stato solamente il ciclista dei record, con le prestazioni realizzate nell’ultimo scorcio della sua vita straordinaria, ma un esempio per le generazioni: ai giovani ha insegnato l’importanza dello sport, i suoi valori, la ricetta per preservare la salute fisica e mentale; ai più attempati, che si può sempre avere un obiettivo da inseguire e da realizzare. La sua grande passione è stata la bicicletta da corsa. Di strada ne ha percorsa, da Amiens, dove nacque nel 1911: scelse il ciclismo, ma dovette rinunciare all’agonismo perché, a detta dei medici, troppo magro e leggero. Lavorò a Parigi come vigile del fuoco. La sua vita è stata tutt’altro che semplice: fu fatto prigioniero durante la seconda guerra mondiale; superata quest’esperienza si trasferì in Venezuela, poi in Canada, prima di fare ritorno in Francia nel 1960. Dopo la pensione risalì in sella. E amava pedalare all’aria aperta… Lo fece fino a un anno prima di morire, fermato da problemi all’udito. L’attività fisica era accompagnata dalla dieta sana. Che consisteva in poca carne, tanta frutta e verdura. Morì il ventidue maggio dell’anno scorso dopo aver contratto il Covid in una casa di riposo di Mitry-Mory.

I RECORD. Robert Marchand è passato alla storia come il ciclista più anziano del mondo. E anche il più performante, in relazione dell’età: ha realizzato il record dell’ora nella categoria 100 anni (24,450 km/h) e nella 105 (22,547). Raggiunto il secolo di vita, al velodromo di Lione stabilì il record di velocità su 100 km per ciclisti centenari, in 4 ore, 17 minuti e 27 secondi. Due anni dopo percorse la distanza di 26,927 km in un’ora. Al netto dei record, la più grande soddisfazione per il ciclista francese deve essere stata la rivincita presa su quei medici che, quando era giovane, gli attribuirono un fisico non adatto per il ciclismo. Monsieur Marchand ha attestato inoltre l’utilità dello sport tra i soggetti ultra-over.