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Stregati dalla luna

Omaggio al compositore cipriota Kemal Belevi nel CD del duo Silvia e Livio Grasso: una musica sempre coinvolgente, frutto della commistione di linguaggi, stili e toni differenti rivive in “Cypriana”

La sua voce è predominante: forte e maestra, si lascia accompagnare dall’altro, che non copre e non sovrasta; e con lo stesso, infine, si fonde, come in un dialogo fattosi danza. È il violino di Silvia Grasso. Che in “Cypriana”, in compagnia della chitarra, rende omaggio alla musica del compositore cipriota Kemal Belevi. Un progetto monografico divenuto cd nei giorni scorsi con la prestigiosa etichetta discografica Naxos. Un omaggio a Cipro, al mare, al viaggio, in una commistione di diversi stili e linguaggi. C’è il fratello Livio ad accompagnare Silvia in questo percorso musicale. Un lavoro fatto con amore, frutto dell’intesa che possono raggiungere i familiari; e con la competenza di due professionisti che, preservando il loro stile, l’eleganza, devono mettere le loro conoscenze al servizio di una platea sempre più ampia. Il risultato è una contaminazione non forzata. I quattordici brani di Cypriana hanno in Ciftetelli il punto di approdo verso l’accoglienza e lo scambio, tra gli elementi folkloristici e quelli propri della cultura classica. Così, la musica di Kemal Belevi, nel pensiero di Graham Wade, tiene insieme le atmosfere del Mediterraneo orientale. Dalla dimensione enigmatica di Moon, dove la musica entra in sintonia con la natura (la luna nel suo lato luminoso e in quello scuro), alla melanconico – nostalgica di Romance, il disco incorpora tutti i colori. Compresi quelli luminosi e brillanti. O i toni trasognanti di Clouds. Così, in forza della circolarità, i ricordi si mescolano al presente, per fare spazio alla speranza. Il file rouge è la capacità che ha questa musica di essere coinvolgente. Merito degli interpreti.

Il duo Silvia e Livio Grasso rimanda alla scommessa di una nuova musica contemporanea per violino e chitarra. Silvia, classe 1989, ha fatto studi classici (liceo Archita di Taranto e Università degli Studi di Bari), integrati allo studio dello strumento conosciuto quando aveva 7 anni. Diplomata con il massimo dei voti, lode e menzione, all’istituto Paisiello, si è perfezionata con maestri come Fabio Cafaro e con la violinista austriaca Ulrike Danhofer. Si è aggiudicata diversi concorsi internazionali. È membro del Trio Gioconda De Vito. Oltre all’attività violinistica è impegnata nella didattica, come docente della scuola pubblica, e per l’Accademia musicale Rusalka. La collaborazione con il fratello Livio ha avuto inizio con uno studio sul compositore austriaco Ferdinand Rebay. L’ultima esibizione della violinista nata a Grottaglie è andata scena in terra lombarda, a Manerba del Garda, con Gaetano Simone al violoncello e Roberto Corlianò al pianoforte, per il concerto di apertura del festival Viator Musicae. Di soddisfazioni ne ha raccolte anche Livio Grasso: anch’egli vincitore di numerosi premi in concorsi internazionali, ha registrato due album con il Quartetto Santorsola.

Al duo facciamo i migliori auguri per il disco e per il proseguimento della missione che accomuna i musicisti in tutti i tempi.

Silvia Grasso e Gioconda De Vito: un ascolto lungo

Chi l’ha detto che la Musica si ascolta una volta sola? Che non si può replicare o riassistere alla stessa esibizione? La musica che ci eleva, che governa e non consola, che zittisce i frastuoni e gli orrori, in tempi di guerra si fa ancora più preziosa. Riavvolgiamo il nastro allora a venerdì tredici dicembre 2019. A Martina Franca, alla Fondazione Paolo Grassi, va in scena l’omaggio a Gioconda De Vito (1907-1994), colei che è ritenuta la più grande violinista italiana del secolo scorso.

Il concerto del Trio della FPG è preceduto dalla presentazione di un libro. Poi si staglia una voce, fuori del coro. Appena un lamento; magari monito, avvertimento, un ricordo struggente. Infine, forza dirompente. È il violino di Silvia Grasso. A lei l’onore onere di far parlare Gioconda De Vito. Proprio lei, talento precoce nato a Grottaglie, così giovane e aggraziata; così diversa dai tratti ispidi di una donna che aveva uno sguardo assai penetrante. C’è tutto in quelle note, messaggio universale: il non vissuto di un’esistenza che mai fino in fondo può essere pronunciato. C’è anche il motivo che spinse la più grande violista italiana a lasciare lo strumento smesso di amare all’apice del successo personale. Perché a cinquant’anni, dopo aver collaborato con i più grandi direttori d’orchestra, come Bruno Aprea (ospite della fondazione Grassi), credeva di non avere altro da donare. In quella Musica solo l’inquietudine manca: Gioconda De Vito deve aver capito che il suo violino necessita degli altri per cantare: del pianoforte di Liuba Gromoglasova, in quella serata, del violoncello di Gaetano Simone. Perché ognuno di noi ha bisogno dell’altro. Per vivere, per realizzarsi. Così il Trio Gioconda De Vito ha suonato: Beethoven e Brahms; Schubert nel finale. Con passione e con trasporto, a beneficio degli spettatori numerosi presenti in sala.

Uscendo l’uditore sa di dover andare incontro a imprevisti e accadimenti capaci di stravolgere il corso della vita. Ma quella musica resta lì: può sentirne sempre l’eco, e a Lei fare ritorno.