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Un premio alla carriera ne “L’anima poetica di Pierfranco Bruni”

Innovare e innovarsi restando fedeli a se stessi. Adeguarsi al vento teso del cambiamento restando aggrappati alla tradizione. È questa la mission dell’intellettuale dei nostri tempi. Per assolverla, può essere preso a modello Pierfranco Bruni: un uomo d’altri tempi, di cultura e di fede, un personaggio divisivo, che dice e scrive sempre quello che pensa. Un uomo del Novecento. Che conserva un’eleganza innata, e una mente sempre aperta.

L’anima poetica di Pierfranco Bruni

Chi conosce molto bene l’intellettuale calabrese è Stefania Romito. L’unica a poter scrivere di un Autore tanto profondo e prolifico, che ha assorbito, gli ha dedicato “L’anima poetica di Pierfranco Bruni”. Opera che sa di premio alla carriera per l’intellettuale calabrese già candidato al Nobel per la Letteratura. Nella stessa l’Autrice riconosce nell’accoglienza la dote migliore dello scrittore omaggiato con questo libro: egli accoglie e “raccoglie” tutto ciò che di più prezioso è contenuto all’interno della poesia classica per interiorizzarlo e innovarlo attraverso la creazione di componimenti dotati di una grandissima raffinatezza e ricercatezza stilistica. Così SR lo definisce uno tra i più straordinari “evoluzionisti poetici”. La sua operazione di recupero e rielaborazione è utile al lettore giovane o adulto: si pensi ad Amare Pavese (Pellegrini), opera capace di riabilitare uno scrittore osteggiato e temuto.

Il professor Bruni può essere apprezzato o meno nelle molteplici vesti in cui è stato attivo – il politico, già assessore alla Cultura, si candidò alla presidenza della Regione Puglia con Fiamma Tricolore; il talento che non gli si può non riconoscere è la capacità di eccellere nell’arte dei versi. E questo vuole celebrare l’opera pubblicata da Passerino Editore. Da Alle soglie della profezia (Pellegrini Editore) a Luisa portava in una mano una scarpetta di lana (Tabula Fati), l’ultima opera di letteratura, c’è racchiuso il cammino esistenziale dell’uomo che ritrova se stesso nella presenza delle assenze. La sofferenza che trova nella sublimazione una via d’uscita.

Non sono mai disperanti i versi di Pierfranco Bruni, rivestiti di una fede non bigotta, spesa nell’amore per la scrittura. Sempre imperante la dimensione del sogno e del desiderio, all’origine del viaggio, punto a cui fare ritorno, c’è il passato come strumento di conoscenza del presente e dell’umana essenza. Mentre le sensualità poetiche e visive si fondono con l’immagine del Mediterraneo che è il cuore pulsante della nostra civiltà e della nostra cultura.

L’autrice

Stefania Romito è nata in Svizzera da genitori italiani. Scrittrice e giornalista radiotelevisiva, ha all’attivo diverse pubblicazioni, tra raccolte di poesie, racconti e romanzi. Nel 2010 il suo esordio nella narrativa con “Attraverso gli occhi di Emma” (Alcyone Editore). Responsabile letteraria del Nuovo Rinascimento e del Sindacato libero scrittori italiani per la Lombardia, ha collaborato con il Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo. Con Il buio dell’anima (Libromania, 2019) si è aggiudicata il premio speciale d’Eccellenza Città del Galateo “Antonio De Ferraris 2021”. La poetica di Pierfranco Bruni segue alla pubblicazione di Delyrio (La Bussola).

Merilyn, la diva che ha fermato il tempo per restare bellissima

A Sessant’anni dalla morte di Merilyn Monroe. Un profumo di giovinezza in una goccia di Chanel 5 nel vento di una estate

di Pierfranco BRUNI

Un mito. Cosa sono i miti? Lei è un mito. Diventa come gli Dei un archetipo lungo il viaggio degli anni nel tempo.  Marilyn Monroe. A sessant’anni dalla sua morte. È morta il 4 agosto del 1962. Io avevo appena sette anni.

Los Angeles. È il mese di agosto. Una città tra le più importanti in una California immensa che ha connotati italo – spagnoli. Luoghi molto catalani. E la sua storia racconta simboli di una lingua che ha la Spagna nel cuore. La prima cosa che mi chiedono, prima di entrare nel mio albergo, è se desidero visitare i luoghi del mito di Marilyn. Sono un po’ distratto. Sapevo di entrare nella città del mito ma non pensavo che la mia interprete avesse questa velocità.

Giungo a Los Angeles quasi frastornato. Cambiamenti di orari, turbolenze lungo la rotta, confuso e con gli orecchi che sembrano aver subito un tuffo nell’Oceano. Dico subito: “Certo, sono qui proprio per lei ma ho bisogno di cambiarmi d’abito. Marilyn non avrebbe gradito un ospite vestito senza eleganza. Datemi il tempo di indossare il mio vestito di lino bianco con la camicia verde e poi si parte e a domani pensiamo domani …”. Così siamo tutti contenti.

Qui è nata e morta Marilyn Monroe. Era nata il 1 giugno del 1926. Era un anno più grande di mia madre. Un mito nell’attraversamento delle notti immaginate alla ricerca di un sogno. E Marilyn è stato un sogno. Nel velo della sua gonna bianca alzata dal vento in eros tutto tuffato in una seduzione capricciosa. Amava e moriva nel caldo torrido di una città che ha finestre aperte sui mediterranei. Ma sì.

Los Angeles non poteva che essere la città di Marilyn. La bionda mediterranea che si è fatta seppellire con la parrucca bionda che portava nel film Gli spostati e vestita con un abitino verde. Il biondo e il verde. Il sole e il mare. Avevo sette anni quando morì Marilyn Monroe.

Eppure ho un ricordo molto lieve. Me la ricordo nelle foto in bianco e nero dei settimanali che non mancavano mai in casa mia. Le prime pagine “sparate” con le immagini che riportano scene dei suoi film. La bellezza che si faceva seduzione. Sì, perché può esserci anche una bellezza che ha la sua sobrietà da statua. Ma Marilyn portava una bellezza sconvolgente. Marilyn era l’attrazione.

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Taranto luogo di memorie, tra sapori d’Oriente e viaggi di marinai

Pierfranco Bruni celebra la maestosità di Taranto

di Stefania ROMITO

Quando un luogo diventa poesia? Quando viene abitato dall’anima del poeta nel candore dell’incanto.

La Taranto che emerge dal progetto lirico di Pierfranco Bruni, dal titolo “Mi racconta d’infinito la città dei mari”, patrocinato dal Sindacato Libero Scrittori Italiani, soddisfa ogni istanza emozionale attraverso un viaggio metafisico tra versi e immagini. Taranto luogo di memorie in cui si percepiscono gli echi ellenici trasportati dal vento del mito. Città della Magna Grecia che conquista il cuore del poeta per il suo illustre passato e il fascino della magnificenza.

Un progetto nato dall’amore che lo scrittore, poeta e saggista Pierfranco Bruni (già candidato al Nobel per la Letteratura) nutre nei confronti di una città che ha custodito gran parte della sua esistenza. Un luogo in cui l’inquieto si intreccia al sereno di un tempo scandito dai rintocchi dell’anima… in sere di città vecchia, e passeggiate di ponti, nel fresco d’aurore. Un luogo elettivo in cui il paesaggio penetra tra le pieghe di un’esistenza pronta ad accogliere l’essenza che abita la Bellezza.

Così Pierfranco Bruni penetra la città di Taranto mediante la rappresentazione visiva di creazioni artistiche e componimenti lirici di intenso spessore esistenziale. Il poeta si fa disegnatore di immagini in grado di cogliere il senso archetipico e antropologico della città dei due mari. Taranto città di marinai che solcano la rotta di Ulisse in viaggi che hanno sempre i ritorni nelle attese dei silenzi. Una dimensione lirica atemporale in cui le epoche sono fili di ricordi che solcano le rughe dei vecchi capitani d’àncora.

La grande abilità del poeta Bruni appaga l’anima del lettore nel catturare l’indefinibilità di un orizzonte avvalendosi della rappresentazione visiva e immaginaria “di un volo di airone che si colora di reticenza”. Quella stessa ritrosia che suggella le labbra degli amanti. Bruni coglie le percezioni celate dal velo del mistero e le restituisce con versi di sublime intensità: Come orizzonte perduto/d’infinito oltre la linea/dello sguardo osservo/lo spazio degli aironi/che hanno del volo/la reticenza del rischio/ di un bacio d’amante/ sulle labbra dell’amore.

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Pierpaolo Pasolini sperimentalista tra cultura mediterranea e storia cristiana

Pasolini resta il trasgressore del reale oltre il bene e il male

di Pierfranco BRUNI

Il Pasolini che ho sempre raccontato non è quello del consueto ragazzi di vita che si fanno la loro vita violenta. Non è quello neppure del cinema. È quello che si chiosa nel pensiero tra il male e il bene.Uno scrittore, poeta e pensatore tra i pochi interpreti di un Risorgimento delle lingue contaminate che ha trasfigurato la parola in immaginario. È  questo il Pasolini che maggiormente mi interessa. Morto a Ostia  il 2 novembre del 1975. Era nato il 5 marzo del 1922 a Bologna. Un personaggio interpretato in una complessità di letture che vanno dalla macchina da presa (l’immagine qui diventa un linguaggio vero e proprio) alla poesia come recupero di una eredità antropologica che ha focalizzato la sua attenzione sulla dimensione di paese, di comunità, di etnia.

Il gioco ad incastro tra metafora, poetica e gioco della realtà ha sempre costituito una rappresentazione sul piano di una teatralità la cui recita non si mischia con la finzione. Pasolini è, forse, l’antipirandellismo pur usando la teatralità non crede alla maschera e si serve del linguaggio per scavare nella coscienza dei popoli che sono il portato di una visione etno – antropologica ben definita che vive le sue voci diversificanti proprio nell’Ottocento.

Basti pensare, oltre alle poesie dedicate agli archetipi di Casarsa, al linguaggio del suo raccontare dei “ragazzi di vita” e di “una vita violenta”. Quel loro linguaggio – lingua, al di là delle storie o dei destini stessi di quella generazione, è un portato antropologico dentro una comunità che intrecciava processi culturali e storici. Il suo rivolgersi alla grecità e alla classicità (si pensi a “Medea”) lo conducono direttamente ad una posizione di recupero della centralità della cultura mediterranea. Così come il suo confrontarsi con la storia cristiana.

C’è un Mediterraneo quasi arcaico sia nella ricostruzione dei paesaggi sia nel “vocalizio” dei dialoghi. Cristo, Giovanni, la Maddalena, Maria sono volti e voci di un Mediterraneo disperso tra Occidente ed Oriente. Il suo San Paolo incompiuto è un pezzo di incontro tra Oriente e Roma. Casarsa stessa ha un portato linguistico storico che ha matrici friulane ma dentro la ricerca delle radici c’è un mondo radicato che è quello contadino ma anche definito nell’esaltazione del valore comunitario del paese. Il concetto della lingua come “passione e ideologia” trasportato nel contesto letterario ha ramificazioni tra le maglie di un profondo regionalismo che significa territorializzazione della parola.

Ecco perché Pasolini reinterpreta il dialetto come modello risorgimentale delle lingue unitarie. In fondo il Pasolini che innova il romanticismo risorgimentale nel decadentismo risorgimentale del Pascoli dei primi testi si interpreta proprio attraverso la lingua, la  quale assume la sua particola importanza nello scavo dei territori. Pasolini ha una sua matrice profonda che è quella dell’identità nazionale. Senza la quale non avrebbero senso neppure le stesse parole che il poeta usa nei confronti della generazione che ha costruito il mito del sessantotto.

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“Mi sono innamorato di Eva Kant”, il libro di Pierfranco Bruni in 5 incontri online

Cosa si nasconde dietro l’Eva Kant di Pierfranco Bruni che vive nelle pagine del suo ultimo capolavoro letterario “Mi sono innamorato di Eva Kant”, edito da Pellegrini Editore? Figura archetipica, simbolo di bellezza eleganza e dedizione, che assolve al ruolo della Beatrice dantesca, oppure amante immaginifica alla quale Bruni assegna una connotazione di carnale sensualità al pari di Riccioli biondi?

Nei cinque incontri, condotti da Stefania Romito, a È TEMPO DI CULTURA, trasmissione social di approfondimento culturale, in diretta Facebook nel gruppo letterario “Ophelia’s friends” a partire dal 28 febbraio alle ore 17, e per tutto il mese di marzo (ogni lunedì alla stessa ora), Pierfranco Bruni svelerà i risvolti più affascinanti di un libro che rappresenta un compendio di emozioni, un diario-confessione nel quale vengono attraversate le tappe della propria vita attraverso le figure chiave, reali e simboliche, che l’hanno costruita.

Cinque incontri per ritornare al valore della vita, al senso del nostro esistere. Per ritrovare la preziosità del nostro essere erranti mediante la guida di chi è stato custode di Bellezza e che ha illuminato il nostro cammino.

Sul mistero che abita l’ombra, e l’amore puro incondizionato

di Stefania ROMITO

“Mi sono innamorato di Eva Kant”, edito da Pellegrini Editore, non è il primo libro di Pierfranco Bruni che leggo. A dire la verità, ho vissuto molti suoi libri e di alcuni ho abitato le parole dall’interno. Ma sebbene, da un tempo che pare infinito, mi incontri quotidianamente con le sue emozioni scritte, la sua ars scribendi non diviene mai abitudinarietà perpetuando una magia che si infinita in ogni riga di spazio, donando al tempo il sapore dell’eterno.

Pierfranco Bruni sublima la realtà trasfigurandola in incanto onirico nel convincimento che nulla è più vero del sogno che non conosce l’impossibile. Le leggi fisiche si annullano e a regolare il tutto è l’immaginario. E da questa realtà sublimata, così tangibile nella sua metafisicità, non ci si vorrebbe mai congedare, perché solo in questa dimensione trascendente, che in Bruni diviene sensualità d’anima, si vive quella fisicità di spirito avulsa alla pragmaticità del quotidiano.

Mi sono innamorato di Eva Kant è un compendio di sentimenti d’emozione. Quei sentimenti ed emozioni che hanno costruito il vissuto dell’io narrante il quale, come Virgilio nella commedia dantesca, accompagna il cammino del pellegrino Bruni dal suo incipit di vita fino a quell’età in cui l’evoluzione intellettuale giunge all’estrema compiutezza. Una testimonianza che diventa confessione in un percorso dialogante con l’altro da sé tra i miti e leggende che hanno reso incommensurabile e profondo il pensiero dell’autore. Così quel “caro lettore” al quale l’io narrante si rivolge diviene un compagno di viaggio che si riflette nello specchio del doppio. Perché chi meglio di se stesso, e Bruni lo sa bene, può accogliere le confidenze nella devozione di complici segreti? Un diario emozionale? Un tentativo di ripercorrere le tappe della propria vita attraverso le figure chiave, reali e simboliche, che l’hanno costruita? Certamente sì. Ma non solo.

Mi sono innamorato di Eva Kant è il tentativo di catturare il mistero per definirlo nella condivisione pur sapendo che è incatturabile. Quello stesso mistero che fa vivere lo scrittore costantemente in bilico tra realtà e finzione. La Eva Kant del titolo non è soltanto l’ammaliante donna di Diabolik. È quella figura archetipica che riporta l’autore all’età della gaiezza. Eva Kant, icona di bellezza eleganza e raffinatezza, assume i molteplici volti delle altre donne presenti nel libro, prima fra tutte Riccioli biondi. Ma mentre Eva Kant sembra assumere il ruolo di Beatrice nella sua azione salvifica, riconducendo l’autore all’Eden irrimediabilmente perduto, Riccioli biondi è l’amante immaginifica e idealizzante alla quale Bruni assegna una connotazione di carnale sensualità. Entrambe simboleggiano l’amore incondizionato, in una devozione che è dedizione. «Mi sono innamorato di Eva per la raffinatezza e la sensualità oltre che per quel fascino del mistero che la caratterizzava ma anche per la sua fedeltà e il suo saper restare in ombra».

Torna il concetto di mistero che abita l’ombra e che si percepisce nella Bellezza. Di un amore. Di un’opera d’arte. Soltanto un divin scrittore come Pierfranco Bruni poteva “raccontare”, con così efficace suggestione, il mistero della genesi della Bellezza. È proprio nell’ultimo capitolo intitolato Le ombre, in cui inscena un visionario dialogo con l’Urbinate, che Pierfranco Bruni approda all’apogeo della sua analisi fenomenologica sul valore e la resa emozionale dell’oggetto artistico in sé, svelando la perfezione della Bellezza in quella dimensione invisibile che si frappone tra l’idea originaria dell’artista e la sua creazione. Quell’emozione che rimane “intrappolata” in questo spazio di tempo e che viene colta soltanto dagli spiriti sublimi. L’emozione è Bellezza fino a quando continua a esistere nella dimensione del mistero.

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Ode a la Divina tra visione e carnalità

Secondo Sarah Bernhardt (1844-1923) è stata una grandissima attrice ma non una grande artista. Perché, con la sua arte, non ha creato un personaggio che si identifichi col suo nome; non ha creato un essere, una visione che evochi i suoi ricordi, dice di lei la donna rivale, che ebbe un rapporto intenso con il Vate. Lei è Eleonora Giulia Amalia Duse (1858-1924). Che finisce al centro del libro di Pierfranco Bruni, intitolato “Con le sue labbra le suggella le labbra spiranti”. Centotrentasei pagine motivate da una forte ammirazione o trasporto grande. Ho sempre amato Eleonora Duse. La teatralità la recita il tragico. Da quando ero ragazzo ho visto in lei la metafora del fascino del mistero del mito. La Divina, come la chiamò Gabriele, resta dentro di me. La letteratura solleva e vive di luce. La letteratura mi ha fatto amare l’amore. La donna che amo è letteratura vita carnalità. Ho trovato in un cassetto della scrivania di mio padre, nella casa in Calabria, il testo che segue. Non so se sia mio o di un altro io o di mio padre. Non cambierebbe nulla. Anzi. L’ho rubato da un cassetto e ora lo pubblico così come l’ho trovato. Commetto il reato di appropriazione indebita. Non ho corretto nulla. I lettori possono fare tutte le considerazioni opportune e anche correggere con il blu o il rosso. Eleonora resterà sempre la Divina!

Così Pierfranco Bruni rimanda i suoi lettori al testo pubblicato da Luigi Pellegrini Editore, quest’anno. E io che scrivo su questa rubrica settimanale, sulla stessa opera non aggiungo altro…  La storia ci dice già chi era Eleonora Duse, e quale rapporto ebbe con Gabriele D’Annunzio, incontrato per la prima volta a Venezia, la città romantica: un amore passionale e tormentato, turbolento. Il mondo del teatro l’ha consacrata come un mito. Perché della Belle Epoque veniva considerata la più grande attrice teatrale e in assoluto una delle più grandi. E forse, non soltanto. Si pensi a George Bernard Shaw che, prendendo le distanze da Sarah Bernhardt, guardava all’arte della Duse e al suo indiscutibile primato. La bellezza della donna nata a Vigevano era anticonformista e rivoluzionaria. Una donna che non si truccava mai. La sua figura riemerge in questo libro facendosi viva e dialogante col mondo contemporaneo. Con le eccellenze, che ci sono nel teatro, e devono adeguarsi ai tempi che cambiano. Eleonora Duse incarna quel sentimento capace di disconoscere il rapporto con il tempo, perché va oltre. L’amore consumato con D’Annunzio è stato grande, intrecciato all’arte. Tanto che il poeta le ha dedicato “Il fuoco”, romanzo pubblicato nel 1900. E sebbene le abbia poi preferito la diva Bernhardt, a fine corsa, alla morte della Divina Duse, la loro unione fu sigillata per sempre: lei gli rivolse l’ultimo pensiero, dimostrando di averlo perdonato; lui ammetterà che nessuna donna, come Eleonora, lo ha mai amato tanto. E questa verità “lacerata dal rimorso e addolcita dal rimpianto” può essere riscritta facendo spazio al nuovo incontro.

Ma quale secolo breve! Il Novecento è sempre tra noi

Chi è nato nel ventesimo secolo può andarne fiero. Chi ha conosciuto, letto, studiato i grandi pensatori di quel tempo come Maria Zambrano e Cesare Pavese, è divenuto a sua volta un pensatore esigente e critico. Uno che prende con le molle il nuovo modo di fare Cultura. Un profondo conoscitore del Novecento, delle sue dinamiche e ricadute, è Pierfranco Bruni. Che ha dato alle stampe un nuovo libro: “Il sottosuolo dei demoni”, si intitola, pubblicato da Solfanelli, e realizzato con il contributo scientifico di Micol Bruni. Si tratta di un libro, saggio di 248 pagine, intriso di filosofia, ovvero di pensiero “forte” su temi di comparazione estetico-antropologica. Un vivere la spazialità del tempo mai perduto. Un viaggio in quel secolo, superficialmente considerato breve. Come dichiarato dallo stesso Autore, il volume è la prova di come la cultura del nostro tempo non esista: “Siamo ancora eredi di un Novecento che insiste con la sua forte presenza sia su un piano del Pensiero sia in una progettualità più organica”. Insomma, se è vero che il 20esimo secolo presenta caratteristiche comuni, dalla prima guerra mondiale (1914) alla fine del comunismo, non si può negare la persistenza di una eredità della quale fanno ancora parte Fedor Dostoevskij e Gabriele D’Annunzio. Alcuni dei grandi nomi presenti in Pierfranco Bruni. Ne Il sottosuolo dei demoni si attraversano vissuti di contaminazioni tra letteratura, antropologia, filosofia ed estetica. Il moderno sparisce e ricompare con un magico sentiero la Tradizione. Di quest’ultima siamo quindi eredi, e nel contempo, piaccia o no, viviamo di contaminazioni. Le quali interagendo col preesistente, innovano. Così, dentro i demoni, il sangue e gli orrori che hanno infettato il secolo delle trasformazioni, si può cogliere il seme che non muore. Il nuovo prodotto di un abitare profondamente le realtà nel mistero.

L’AUTORE

Pierfranco Bruni è nato in Calabria. A San Lorenzo del Vallo, il 18 gennaio 1955. Poeta, scrittore, già candidato al Premio Nobel per la Letteratura, è presidente del Centro studi e ricerche “Francesco Grisi”. Ha uno sterminato curriculum. Direttore archeologo del Ministero dei Beni culturali, già componente della Commissione Unesco per la diffusione della cultura italiana all’estero, esperto di Letteratura dei Mediterranei, è un intellettuale raffinato e poliedrico – tra i suoi linguaggi c’è anche la musica, con riferimento ai grandi cantautori. Lo studioso vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Tra i suoi ultimi scritti, “La panacea letale” (Ferrari editore), un coraggioso pamphlet che indaga i rapporti tra scienza, medicina e pandemia. Dove non si fa sconti a nessuno. Nell’anno dedicato al padre della lingua italiana, ha scritto proprio su Dante Alighieri. Sempre attento ai grandi autori, lo è anche per quanti non hanno ottenuto in vita la giusta fama e fortuna. Nel riconoscimento che nel nostro pellegrinaggio terreno lasciamo tutti il segno.