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Scuole chiuse a Taranto: l’allerta meteo (arancione) e la polemica giustificata

La prudenza non è mai troppa: prevenire è meglio che curare, a costo di sovrastimare un pericolo reale. Così è arrivata l’ordinanza di chiusura degli istituti scolastici a Taranto. Come azione di contrasto all’allerta meteo, di grado arancione, diramata dalla Protezione civile per la giornata odierna, giovedì cinque dicembre. Una misura in parte contestata. Anche perché tardiva – l’ordinanza firmata dal vice sindaco Gianni Azzaro è stata pubblicata sul sito del Comune dopo la mezzanotte. L’opinione pubblica è divisa. Le motivazioni che stanno alla base dell’ordinanza sono condivisibili, chiare. Una soluzione tampone efficace. Ma la strada che porta all’adattamento al cambiamento climatico non può essere quella di starcene rintanati in casa. Occorre ripensare l’architettura urbana, le infrastrutture e le strade. Gli esempi virtuosi, che vanno in questa direzione, non mancano.

La città-spugna

Senza andare all’estero, nei Paesi più tecnologicamente avanzati, nella provincia di Varese (Busto Arsizio) è nato un progetto di rigenerazione urbana che trasforma il centro storico in una “Sponge City”: utilizzando depaving e verde urbano, si può migliorare la gestione delle acque piovane. L’iniziativa punta a rendere la città più resiliente e sostenibile. Un progetto che è stato finanziato dalla Regione Lombardia attraverso il bando “Sviluppo dei distretti del commercio 2022-2024”, mira a migliorare il deflusso delle acque piovane integrando specie vegetali a basso manutenzione e resistenza idrica perfettamente adattate all’ambiente urbano e al cambiamento climatico.

Il Depaving

Si tratta del processo di rimozione delle superfici impermeabili, come cemento o asfalto, da aree urbane, per ripristinare il terreno permeabile sottostante sostituendolo con un nuovo tipo di pavimentazione in porfido e granito bianco drenante. Ciò consente di ridurre l’effetto della impermeabilizzazione urbana che contribuisce ad allagamenti e inondazioni. E al sovraccarico delle fognature. Tale approccio innovativo che sfrutta le risorse naturali per assorbire l’acqua piovana, e prevenire i danni derivanti dagli eventi meteorologici estremi, ha l’obiettivo di contrastare l’impatto dell’urbanizzazione e dei cambiamenti climatici.

L’allerta meteo

Tornando a Taranto, va aggiunto che è stata disposta anche la chiusura del parco Cimino e dei cimiteri cittadini. Che in risposta all’allerta meteo, il Comune ha invitato la cittadinanza a osservare tutte le misure precauzionali previste allo scopo di salvaguardare la pubblica sicurezza e l’incolumità personale. La chiusura di tutti i plessi scolastici, di qualsiasi ordine e grado, degli asili nido pubblici e privati (nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, di parchi, giardini e cimiteri presenti sull’intero territorio comunale) è stata decisa e trasmessa alla comunità attraverso l’ordinanza aggiornata alle ore 00:25 del 5 dicembre 2024. Meglio tardi che mai. Perché dall’allerta meteo alla catastrofe è un attimo, e mai vorremmo rivedere quelle immagini del maltempo che ha messo in ginocchio la Spagna, tre settimane fa.  

Il cambiamento climatico impatta sulla salute: l’allarme dell’Oms

Non solo eventi meteo estremi. Che, destinati a moltiplicarsi, trasfigurano i paesaggi e danneggiano l’economia. Non solo danni materiali o affettivi, perdite di attività e di vite: il cambiamento climatico può impattare negativamente sulla qualità della vita. Ovvero sulla salute delle persone in tutto il globo.

LA LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO COME PRIORITA’ ASSOLUTA- Gli esperti non hanno dubbi. “Il cambiamento climatico ci sta facendo ammalare, e intervenire con urgenza è una questione di vita o di morte”, avverte l’Organizzazione mondiale della sanità. Il danno più evidente è il caldo estremo. Che comporta numerosi rischi per la salute: dai disturbi renali alle malattie cardiovascolari e respiratorie, dal rischio di complicanze per le donne incinte o per i soggetti più fragili con patologie, sino al decesso dell’individuo, alle morti premature. Quasi certamente il 2024 sarà l’anno più caldo mai registrato. Si dovrebbe superare il record del bollente 2023, secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM). Gli altri fattori che influenzano la salute derivano dall’inquinamento atmosferico. Si pensi che nei giorni scorsi la seconda città più grande del Pakistan, Lahore, ha registrato valori 40 volte superiori al livello ritenuto accettabile dall’Oms.

LE MALATTIE INFETTIVE- Il cambiamento climatico costringe uccelli, zanzare e mammiferi a spostarsi oltre i loro habitat ideali. Il risultato è che gli stessi possono diffondere malattie infettive. Parliamo di quelle trasmesse dalle zanzare: dengue, chikungunya, virus Zika, virus del Nilo occidentale e malaria. A causa del riscaldamento globale potrebbero diffondersi ulteriormente. Il rischio è già concreto. Quello di trasmissione della dengue, infatti, è aumentato del 43 per cento negli ultimi 60 anni, secondo The Lancet Countdown – oltre 5 milioni i casi registrati lo scorso anno.

GLI ACCORDI SUL CLIMA- La madre di tutte le questioni dovrebbe essere in cima alle agende di governo e monopolizzare il dibattito pubblico. L’auspicio quindi è che il prossimo presidente degli Stati Uniti cambi posizione: nel giorno del suo nuovo insediamento alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2025, Donald Trump firmerà l’ordine esecutivo per il ritiro dall’accordo di Parigi sul clima. A rivelarlo, il Wall Street Journal. E c’è da crederci, visto che il successore e insieme predecessore di Joe Biden si era già ritirato dall’accordo nel 2019.

Ricordiamo che il trattato internazionale stipulato nel 2015 tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) si propone l’obiettivo di contenere la temperatura media globale ben al di sotto della soglia dei 2 gradi. Possibilmente sotto 1,5° rispetto ai livelli preindustriali. La realtà dice che la direzione in cui si sta andando è contraria: si stima un aumento della temperatura compreso tra 2,6 e 3,1 gradi, entro la fine del secolo. Una catastrofe. L’Italia, per scongiurarla, è disposta a fare la sua parte, ha assicurato la premier Meloni intervenendo alla Cop29.

Crisi climatica e non solo: la più grande alluvione che flagellò Palermo

Sicilia, 27 settembre 1557, ore 20.00. Una spaventosa alluvione a Palermo provoca un’ondata di fango che raggiunge la città dai monti, con conseguente scia di distruzione e di morte. Migliaia le vittime. Un numero imprecisato compreso tra 2000 e 7000, e oltre. Siamo alla metà del XVI secolo, ben lontani dai giorni che viviamo oggi, condizionati dalle ricadute drammatiche del cambiamento climatico: gli eventi meteo estremi si stanno sì moltiplicando nell’ultimo trentennio, ma quei numeri, fortuna nostra, sono inimmaginabili adesso.

La grande alluvione

Gli storici fanno riferimento a quell’evento, attestato dalla relazione del Maestro Razionale del Regno Pietro Agostino, come il più violento che colpì l’allora capitale del Regno di Sicilia. Un’alluvione assimilabile a una tempesta perfetta. Ci furono delle repliche in questi anni: 1666, 1769, 1772, 1778, 1851, 1862, 1907, 1925, 1931. Il comune denominatore è il caldo eccezionale o i periodi siccitosi che hanno preceduto le abbondantissime precipitazioni. Con riferimento alla catastrofe del 1557, il nubifragio ebbe inizio il ventuno settembre protraendosi per giorni. Il 27 avvenne il cedimento del Ponte di Corleone, muro-diga che serviva ad arrestare le acque meteoriche provenienti da Monreale, per scaricarle nell’alveo del fiume Oreto. I danni alla struttura edilizia e al tessuto economico della città furono ingenti – mille case distrutte. Colpa di scelte ingegneristiche errate e degli interventi di prevenzione fatti male.

Adattarsi al cambiamento

La storia ci insegna che questi eventi si sono sempre verificati nel tempo. Tuttavia, a convalidare la tesi del cambiamento climatico, processo irreversibile da mettere al centro delle agende di governo, c’è l’elevata frequenza. L’alluvione è quell’evento che si ripete facendosi sempre più intenso. Si pensi all’accanimento delle precipitazioni in alcune aree come l’Emilia Romagna – sono caduti 300 litri di acqua per metro quadrato in soli quindici giorni. Sebbene certi fenomeni ci vedano spettatori, senza volerlo, la nostra unica possibilità di sopravvivenza è legata alla capacità di adattamento, per mezzo del progresso e dello sviluppo delle tecnologie moderne. Va sottolineato che le previsioni meteo sono sempre più precise. Almeno quelle provenienti da siti affidabili, alle quali lavorano gli studiosi, come gli esperti dell’Aeronautica militare.

I danni della crisi climatica

I numeri sono inquietanti. È l’Osservatorio Anbi sulle Risorse idriche a divulgarli: dall’inizio del 2024 al 15 settembre si sono registrati 212 tornado, 1.023 nubifragi e 664 grandinate con chicchi di dimensioni grandi. In totale gli eventi estremi sono 1.899. Lo Stivale, quindi, è diventato l’hub mediterraneo della crisi climatica, con piogge torrenziali concentrate sulle aree costiere dell’Adriatico. Eppure sino a non molto tempo fa l’Italia veniva identificata nella mitezza mediterranea. Si guardava ai tornado come a un fenomeno lontano, riguardante in particolare gli Stati Uniti d’America. Quanto ai danni, alla necessità di adattarsi al cambiamento climatico, c’è da dire che dagli anni Ottanta manca in Italia una pianificazione nazionale di interventi per la prevenzione idrogeologica, e si preferisce intervenire con fondi per le emergenze. Una verità scomoda. L’ha denunciata il presidente dell’Anbi Francesco Vincenzi.

La sfida del cambiamento climatico: sconfiggere il maltempo con potenti esplosioni

Non è un metodo che rassicura. Ma magari funziona, l’idea da cui prendere spunto, nell’azione di contrasto a un processo divenuto ormai irreversibile, da porre come la madre di tutte le questioni: prevenire la formazione di vortici atmosferici come tornado e tifoni attraverso ordigni esplosivi. La teoria rivoluzionaria porta la firma degli scienziati russi. Per combattere gli effetti più devastanti del cambiamento climatico, servirebbero cinquanta ordigni con una capacità totale di 4 chilotoni, installati con competenza, al posto giusto. È fattibile?

Le potenze nucleari unite nella lotta al cambiamento climatico

“Tali esplosioni possono essere effettuate in qualsiasi stadio dello sviluppo del tifone. L’importante è che siano nei punti giusti e di potenza sufficiente: i calcoli hanno dimostrato che per fermare l’intera massa rotante alla base del ciclone, avremmo bisogno di un’energia molto grande”. Così Sergei Bautin sulla rivoluzionaria teoria. Lo stesso professore presso la sede del MEPhl di Snezhinsk ha chiarito: “Ci vorrebbe almeno una bomba atomica. Ma se si sa dove farla esplodere, ci si può limitare a esplosioni meno potenti”. “Per calcolarlo, dobbiamo conoscere la velocità del flusso ascensionale intorno al centro del ciclone – aggiunge – la sua geometria, i diametri e le distanze. In sostanza, dobbiamo fermare non il movimento circonferenziale, ma quello verticale verso l’alto dell’aria lungo l’intera circonferenza attorno al centro del vortice atmosferico”. In sostanza, la questione è assai complessa, e sebbene possa avere un certo fondamento scientifico, a noi pare essere una follia. E mai vorremmo assistere a una guerra nucleare spacciata per lotta al cambiamento climatico. A tal proposito, l’avvertimento degli scienziati è che un’esplosione di tale potenza dovrebbe essere coordinata con gli altri Stati.

Il metodo e l’applicazione

Al netto di una serie di problemi grossi da risolvere, secondo Sergei Bautin, non solo sarebbe possibile fermare un ciclone, ma pure ricavarne energia. Sulla stessa lunghezza d’onda il coordinatore del programma di rinverdimento industriale del Centro per la conservazione della fauna selvatica Ihor Shkradyuk sostiene che l’esplosione possa anche reindirizzare il flusso d’aria. Di diverso parere il ricercatore capo dell’Istituto di ricerca spaziale dell’Accademia delle scienze russa Sergei Pulinets, per il quale esistono modi più semplici per fermare i tifoni senza dover far esplodere nulla. Ad esempio riscaldando la parte superiore del ciclone tramite ionizzazione. Mikhail Leus infine ha precisato che per l’applicazione della rivoluzionaria teoria ci vorrebbe una potenza di esplosione di gran lunga superiore a quella delle bombe sganciate su Nagasaki e Hiroshima: gli scienziati dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Snezhinsk dell’Università nazionale di Ricerca nucleare MEPhl cercano di essere propositivi, positivi, e insieme realisti.

Estate 2023, le previsioni: ondate di calore con afa ed eventi estremi

Le carte non promettono niente di buono. Premesso che le previsioni meteo vanno prese con il beneficio del dubbio, sono affidabili solo nel breve termine, a poche ore (e alle volte sbagliano pure a un’ora), quelle stagionali indicano la direzione: ondate di calore, afa ed eventi estremi sono altamente probabili, in continuità con quanto successo nella scorsa stagione. Lo confermano gli esperti de ilMeteo.it

Le temperature

Il trend è in crescita continua. Sono previsti valori superiori alla norma, da 1,5 a 2 gradi in più, sull’Italia e su gran parte dell’Europa. Le previsioni si riferiscono ai mesi di giugno e luglio – meno certezze per la seconda parte dell’estate, ad agosto, ma identiche proiezioni. Sarà l’anticiclone africano il principale responsabile dell’innalzamento delle temperature. Elevati i tassi di umidità, che portano lo stesso caldo ai limiti della sopportazione. Vanno ricordati i record battuti lo scorso anno. I 44 gradi registrati, ad esempio, in Sicilia, o le temperature elevate nel Regno Unito, che non avevano mai raggiunto i quaranta. Altra caratteristica delle ondate di calore è stata la persistenza. E nell’estate 2023 continuerà ad esserlo.

Estate 2023, il rischio di grandinate è concreto

Nel 2022 abbiamo assistito a precipitazioni intense. A chicchi di grandine grossi come palle da tennis, capaci di sfondare i parabrezza delle automobili, e di procurare danni ingenti. Il guaio è che questi fenomeni non si possono prevedere. O meglio, localizzare. È certo che con il caldo aumenta l’energia potenziale in gioco, i contrasti termici: si creano le condizioni per la formazione di celle temporalesche, alte fino a quindici chilometri. Gli effetti del cambiamento climatico afferiscono ad un processo ormai irreversibile. E l’uomo può solo adattarsi, imparare a convivere con questi eventi. Il che significa anche dover lasciare terre abitate da migliaia di anni! Si stima che nei prossimi 50 anni vaste aree, compresa l’Europa centrale, saranno inabitabili per quasi la metà della popolazione mondiale (3,5 miliardi di persone).

Anomalie termiche e non soltanto: riecco i negazionisti del cambiamento climatico

Nei tg di tutta Europa non si parla d’altro, in toni enfatici: le temperature record registrate in questi giorni sono del tutto eccezionali. Eppure gli sconvolgimenti che accompagnano le anomalie termiche (incendi, siccità, fenomeni estremi, scioglimenti dei ghiacciai) non convincono i negazionisti del cambiamento climatico.

Articoli come questo, condiviso nelle ultime ore sui social, rafforzano la tesi di quanti vorrebbero far rientrare il caldo nella normalità. Perché (dicono) c’è sempre stato. Ma il fenomeno non si può ridimensionare… Costoro, i negazionisti cronici o gli improvvisati, ignorano che l’entità del caldo non si misura solamente col barometro, ma anche attraverso altri parametri. In primis temporali: un conto è l’eccezionalità di una giornata, come fu in quel luglio del 1964, altro è la persistenza della canicola che si protrae per settimane – al Sud la temperatura è schizzata sopra i trenta gradi già da maggio. Altro ancora è l’estensione del caldo a latitudini inusuali. Vero è che il cambiamento climatico ha sempre fatto parte della storia del nostro pianeta, nell’alternanza ciclica di periodi glaciali e interglaciali, dovuta in buona parte ai movimenti dell’asse terrestre e dell’orbita; ma l’intervento umano come fattore di accelerazione verso il surriscaldamento globale è innegabile. Così i danni prodotti dalle emissioni di gas serra. Ma ancora stiamo a parlarne…

Insomma, si direbbe, siamo spacciati: se la totalità delle popolazioni non prende coscienza di quanto sta accadendo, ai danni degli abitanti e del creato, le già flebili politiche orientate all’azione di contrasto al cambiamento climatico procederanno ancora più a rilento. A dispetto dei “gretini” e di coloro che ci avevano visto lungo lanciando l’allarme qualche decennio fa. Al netto di ogni previsione catastrofica censurabile (tutti gli eccessi fanno male), non ci resta che adattarci, per quanto possibile, a queste estati sempre più roventi lunghe insopportabili.