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Denatalità ai massimi storici: invertire il trend è obbligatorio

La questione non viene percepita in tutta la sua gravità dall’opinione pubblica. Eppure, l’allarme è giustificato dai numeri dati e dalla proiezione dell’Istat: per la prima volta, i nati in Italia, a conclusione dell’anno in corso, scenderanno sotto la soglia dei 400mila – verosimilmente intorno ai 390.000. Ciò significa che il Belpaese è destinato a veder dimezzata nel lungo termine la sua popolazione: da 60 milioni di abitanti a 30. Parallelamente non si arresta il processo di invecchiamento. Che comprensivo di costi, non è cominciato certo oggi. Ma la pandemia, nei suoi effetti catastrofici, lo ha velocizzato ancora: l’ondata dell’autunno scorso ha peggiorato il trend, negativo dal 2014. La scelta di fare figli è condizionata dalle ansie per il futuro e dalle precarietà di oggi. Gli effetti sull’economia, allora, possono essere altrettanto catastrofici. Infatti, se fosse confermata la proiezione, il Prodotto interno lordo scenderebbe del 6,9 per cento entro il 2040, quando la popolazione andrebbe giù di circa 4 milioni. Le conseguenze sono pesanti sul welfare dell’intero Paese. Si pensi al sistema pensionistico, alle pari opportunità, o al mondo del lavoro.  

Per combattere la denatalità è fondamentale sensibilizzare la politica e gli esperti di comunicazione. L’obiettivo dovrebbe essere quello di rassicurare le coppie fornendo loro gli strumenti per vincere la paura di diventare genitori, e di non poter disporre di servizi adeguati, idonei alla crescita dei figli nella prima età della formazione. La questione demografica era stata già affrontata dal premier Draghi agli Stati generali della Natività dichiarando che un’Italia senza figli è destinata a invecchiare e a scomparire. Per questo, il sostegno economico alle famiglie diventa fondamentale attraverso lo strumento dell’assegno unico come misura epocale, storica, che dal 2022 sarà estesa a tutti i lavoratori.

Se la situazione è critica in Italia, non se la passano bene altrove: persino in Cina, il governo intende intervenire sul numero degli aborti riducendone la pratica laddove non sussistono le cosiddette ragioni mediche.

Invertire il trend si può. Perché la ripresa post pandemia investe ogni settore. Di certo, le precedenti stime sono state disattese in toto: l’epoca delle quarantene, della convivenza forzata delle coppie, il maggior tempo a disposizione non hanno prodotto alcun boom di nascite. Mentre, come sappiamo, il virus ha aumentato in Italia i morti (più di 130mila). Le preoccupazioni riguardano anche le coppie interessate alle procedure di procreazione medicalmente assistita. Infatti, in diverse regioni, si registra un calo del 30% dell’uso di farmaci necessari per le pma, diversamente da quanto verificatosi l’anno scorso. Il sostegno a quelle coppie va garantito attraverso l’attuazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea) per consentire un più facile e giusto accesso alle cure. L’auspicio inoltre è che la genitorialità si raggiunga nei giusti tempi: l’età media di chi diventa madre oggi è superiore ai trenta.

Inchiesta fondi Lega, solidarietà a Fanpage

Libertà di stampa e opera di denuncia. Due prerogative che dovrebbero appartenere al giornalismo indipendente, libero, come quello di Fanpage, capace di non guardare in faccia a nessuno nel fare il proprio lavoro. La testata online ha firmato una video inchiesta sui fondi della Lega denominata Follow The Money. Che realizzata da Backstair (team investigativo composto da Carla Falzone, Sacha Biazzo, Marco Billeci e Adriano Biondi), evidentemente non è piaciuta a tutti: il Tribunale di Roma vuole sequestrare e oscurarne i contenuti. Si tratta di un provvedimento che rimanda a pratiche mai utilizzate in Italia – denuncia la stessa Fanpage – che limita la libertà di stampa e che ci riguarda tutti. L’inchiesta è incentrata sui 49 milioni di euro di rimborsi elettorali ricevuti illecitamente dalla Lega. E su una intercettazione, ripresa da una telecamera nascosta: quanto pronunciato sul comandante generale della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana, dall’ex sottosegretario all’Economia Claudio Durigon. Il quale diceva a un suo interlocutore che non bisognava preoccuparsi dell’inchiesta della procura di Genova su quei fondi perché il Generale della Guardia di Finanza “l’abbiamo messo noi”. I soldi sarebbero stato ottenuti in maniera fraudolenta dalla Lega, tra il 2008 e il 2010; degli stessi, però, non c’era traccia, al momento della confisca, nei conti correnti del partito.  

Per il giudice sussistono le “esigenze cautelari in ordine al concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per il quale si procede, nonché il pericolo di perpetuazione ed aggravamento degli effetti dannosi del reato in considerazione della diffusività della pubblicazione di notizie diffamatorie tramite siti internet e ciò anche in considerazione delle non chiare e verosimilmente illecite circostanze nelle quali  è captata la conversazione dell’onorevole Durigon all’insaputa dello stesso”. Questo quanto si legge nel decreto del Tribunale di Roma. Per lo stesso “sussistono gravi indizi in ordine alla sussistenza dei reati” ipotizzati nella querela depositata proprio da Zafarana il 28 luglio scorso. L’ordine di sequestro è arrivato dal Giudice per le indagini preliminari di Roma Paolo Andrea Taviano; il decreto, notificato nelle scorse ore nella redazione di Fanpage.

L’auspicio è che la vicenda possa concludersi senza produrre danni ulteriori. Conosciamo la professionalità di Fanpage, autrice di inchieste importanti, quanto pericolose. E sebbene possa commettere errori (in sensazionalismo magari spesso eccede), al netto dei contenuti dell’inchiesta in questione, non si può oscurare un contenuto giornalistico. Non si può, è inammissibile farlo preventivamente in un Paese dove vige la democrazia e la Costituzione, per il presunto reato di diffamazione, prima che sia accertata la verità. La conferma viene dalla Suprema Corte di Cassazione. Peraltro, non si può procedere contro ignoti, quando gli autori dei servizi e il direttore sono noti: gli stessi, non indagati, non possono difendersi, in questo modo.

Quando la legge prevarica il buonsenso e la carità

La vicenda ha del grottesco. Sembrerebbe una barzelletta, con protagonista l’Arma più sbeffeggiata e più amata d’Italia: un uomo è stato multato perché si recava a piedi al campo santo. L’uomo in questione è don Angelo Pulieri che si trovava in vacanza in un piccolo comune della Basilicata – Terranova di Pollino, mille anime tra le province di Potenza e di Cosenza. Lì ha voluto darsi a un esercizio di pietà raggiungendo il cimitero per pregare sulla tomba di persone a lui care. Ebbene, una pattuglia dei carabinieri lo ha fermato e multato perché stava percorrendo una strada provinciale. Dove l’accesso ai pedoni è vietato. Incredulo il religioso, si giustificava sostenendo che le caratteristiche della strada attraversata, piuttosto angusta e poco trafficata (l’unica che porta al cimitero, dal centro abitato), non potevano fargli pensare alla provinciale. “Ma non c’è stato nulla da fare: mi hanno ugualmente multato”, ha dichiarato il sacerdote noto e stimato a Taranto, la città in cui  è nato. La stradina è lunga meno di un chilometro. Intransigenti  i militari, nel verbale, peraltro, hanno scritto che il trasgressore faceva del trekking. Insomma, pure sordi oltre che zelanti! Don Angelo ha pagato la sanzione prima che la stessa lievitasse. Se l’è cavata con 18 euro, evitando di fare ricorso, per non avere rogne e per risparmiare. Quando tornerà in vacanza, visitando posti nuovi magari e strade che non conosce, si comporterà allo stesso modo, a quanto pare. Ricordando di essere un sacerdote per 364 giorni l’anno. Ovvero che la carità non va mai in vacanza, nemmeno se si imbatte in chi dovrebbe guardare altro, e occuparsi di questioni più serie, importanti. I carabinieri avrebbero potuto interpellare le loro coscienze. Prima di multare, portando rispetto per la “divisa” indossata dalla persona fermata, potevano ascoltare quella voce interiore che separa il bene, la convenienza dal male. Come dovremmo fare tutti, in ogni circostanza.