Quando vedi Philippe Noiret (1930-2006) pensi al grande cinema. A film capolavoro come Nuovo Cinema Paradiso e Il postino. Magari alla Sicilia, location ideale per le creazioni del Maestro Giuseppe Tornatore. Ma Philippe Noiret amava l’Italia intera. Anche la Puglia, dalla quale transitò per Tre fratelli, film del 1981 diretto da Francesco Rosi. Tra i personaggi più famosi interpretati dal grande attore francese c’è Alfredo, nello stesso NCD, operatore cinematografico mentore di Totò. Ad ispirarlo fu Mimmo Pintacuda, fotografo, padre di Paolo, l’autore di “Jacu” (Fazi, 2022). Un libro capace di tenere insieme romanzo e ricostruzione storica. Con una prosa densa e ipnotica, a parere di Patrizia Violi, “racconta la favola del suo protagonista sullo sfondo di una Sicilia arcaica, governata da passioni e superstizioni. E la misteriosa voce narrante svela la biografia di Jacu facendo la cronaca dei miracoli con approccio distaccato e nostalgico”. Il libro di Paolo Pintacuda nasce dai racconti che gli faceva proprio papà Mimmo. Racconti del nonno il quale, nato settimino alla fine dell’Ottocento, si ritrovò a combattere una guerra da antimilitarista, quando aveva diciassette anni. Rimandando a immagini ahinoi attuali, l’Autore si interroga su cosa sarebbe accaduto a un giovane vissuto in quegli anni senza speranza, se si fosse trovato davanti al terrore di uccidere, possedendo il potere di guarire. Nel romanzo c’è la storia complicata di Giacomo alias Jacu. Che secondo una credenza del paesino in cui è nato, avrebbe posseduto il dono di curare ogni malattia, col solo tocco delle mani. Il prodigio è sì elemento di attrattività ma capace di farsi condanna inoltre. La morbosità, la cattiveria della gente, le maldicenze, possono interagire con la realtà alterandola. La magia si mescola al dramma. E forse è meglio non vedere, alle volte. Perdere la vista per vederci meglio. Come accade ad Alfredo nella finzione cinematografica. O come successo all’attore Totò Cascio, nella vita reale. Jacu si rivolge ad un pubblico trasversale. E sembra poter viaggiare nel tempo, nello spazio. Fa ritorno al Cinema nazionale di Bagheria, dove lo scrittore e sceneggiatore siciliano trascorse momenti di infanzia, insieme al padre. È desolata la terra di cui si parla. Ma tra le sue province reali e immaginarie (l’opera è ambientata a “Scurovalle”, paesino di montagna) persiste anche tanta generosità e speranza. Ne è emblema lo stesso Jacu. Tra i messaggi rintracciabili nella storia c’è la necessità della condivisione, che nelle emergenze è più che mai forte.
Classe 1974, nato a Bagheria, PP ha all’attivo altre pubblicazioni, nel campo della narrativa e della saggistica. Con il suo compaesano Tornatore condivide una certa narrazione, fatta di immagini e premonizioni: sicilianità nella quale si può riconoscere anche il pugliese. Un patrimonio immateriale che segna il dna delle generazioni. Una propensione a preservare la capacità di sognare, che sembra essere smarrita nel cinema di oggi.
(Pubblicato su “L’Adriatico” nr 141)