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Iraq, 20 anni fa l’inizio dell’invasione americana e un numero di vittime imprecisato

La guerra è sempre orripilante. Fonte di orrori compiuti dai soldati, nei suoi effetti collaterali, dentro un clima di follia contagiosa, generalizzata. Qualunque matrice abbia, la guerra andrebbe condannata: che sia voluta dalla Federazione russa in Ucraina, dalle dittature, oppure dai democratici Paesi occidentali. Compresa l’invasione americana dell’Iraq, che ha avuto inizio esattamente 20 anni fa, e che ha fatto un numero imprecisato di vittime umane. Le fonti sono discordanti. Qualsiasi cifra appare inaccettabile – da 150mila a 223.000 di morti civili, solo nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006. Si parla di un milione di vittime in totale. L’unica certezza sono quelle cifre riferite ai primi tre anni, esito di un vasto studio condotto dal governo iracheno e dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Le cause della guerra in Iraq

L’obiettivo principale della seconda Guerra del Golfo era la deposizione di Saddam Hussein (1937-2006). Il quale, secondo la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti d’America, appoggiava il terrorismo islamista, e provava a dotarsi di armi di distruzione di massa. Tuttavia i timori si rivelarono falsi. Così la minaccia alla sicurezza globale. Dell’arsenale di armi chimiche, infatti, non fu trovata traccia. Altra accusa rivolta all’ex presidente dell’Iraq era la volontà di appropriarsi delle ricchezze petrolifere del Kuwait. In barba a quanti la consideravano un crimine, la guerra fu decisa all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2011 e della caccia ai talebani. L’Italia non prese parte alle operazioni militari ma fornì appoggio politico e logistico alla “operazione speciale”. Il conflitto, durato tanto, si tramutò in una resistenza e guerra di liberazione dalle truppe straniere, invise a molti gruppi armati arabi.

Le conseguenze

L’esito della guerra, avviata dall’allora presidente George W. Bush e conclusasi dopo otto anni (18 dicembre 2011), fu la vittoria statunitense. Ovvero l’abbattimento del regime di Saddam, al quale fece seguito la guerra civile e tribale. Quindi un periodo di forte instabilità. E la situazione adesso si starebbe anche deteriorando. Le conseguenze della guerra riguardano anche il patrimonio culturale: gli americani vengono ritenuti responsabili anche della distruzione dei santuari cristiani. All’impoverimento generale fa da contraltare il “successo” delle armi. Che sono finite, in gran numero, nelle mani della popolazione locale, alimentando conflitti vari e pesanti. Permane il pericolo mine nei territori non bonificati. Il Paese, dopo il ritiro degli americani, è stato spartito tra Al Qaeda e il Califfato. A partire dal 2014 lo Stato islamico dell’Isis prese il sopravvento sulle operazioni di democrazia instaurata. Complessivamente, il prezzo dell’esportazione del modello democratico fu la distruzione di intere città e milioni di rifugiati. Si ricordi la seconda battaglia di Falluja che, per ammissione dello stesso esercito americano, è stato il capitolo più sanguinoso della guerra in Iraq e uno dei più pesanti combattimenti urbani.