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“Eleonora Duse” di Stefania Romito: il perdersi come ragione di vita

Tra realtà e finzione il carteggio tra Arrigo Boito e Eleonora Duse, la “Divina” legata a Gabriele D’Annunzio, della quale ricorre il centenario della morte

di Gianluigi Chiaserotti*

Stefania Romito in questo splendido libro ci accompagna verso una lettura articolata di Eleonora Duse, personaggio, ma soprattutto attrice e donna.

Eleonora Duse – il primo Amore con Prefazione di Pierfranco Bruni (pagg. 116, Collana Nuovo Rinascimento, Passerino Editore, 2023) è un saggio della scrittrice, saggista e fine giornalista Stefania Romito. È stato scritto in vista nel corrente anno, primo centenario della morte dell’attrice Eleonora Duse (1858-1924).

L’attrice, detta la “Divina”, si trova nella stanza dell’albergo di Pittsburg, quasi come se fosse il testimone dei suoi ultimi momenti di vita (vi morirà il 21 aprile 1924), ed esso diviene un involontario teatro (passione di una vita) ma privilegiato di intime confessioni.
Sembra come se la Duse si rivolgesse al lettore in un dialogo con la sua anima e con i suoi veri e unici amori: il maestro Arrigo Boito e il “Vate” Gabriele d’Annunzio.

In questo quadro, dipinto alla grande dalla Romito, si ravvisa un intimo colloquiare della Duse con sé medesima e come scritto nell’introduzione: «è la straordinaria capacità di vivere intensamente le emozioni di una vita assaporandone fino in fondo l’essenza in uno smarrimento costante dei sensi».
E lo “smarrirsi” è per “ritrovarsi” oppure “perdersi” nuovamente nel sentimento dell’amore, che poi è la ragione di una vita.

Questi sono gli ultimi atti della vita della “Divina”, narrati in terza persona, ma avendo la stessa come spettatrice. Ed ecco il primo incontro con Boito, la tournée in Sud America, il ritorno ed il nuovo incontro che sarà l’incipit di una relazione che durerà per oltre un decennio. Il libro è dedicato ad una donna la quale interpretò, e bene, la propria esistenza che poi è una recita, e che ha rappresentato le opere dei più grandi drammaturghi con quella unica passionalità. Perché il teatro è sicuramente vita, ma soprattutto Amore.

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Ode a la Divina tra visione e carnalità

Secondo Sarah Bernhardt (1844-1923) è stata una grandissima attrice ma non una grande artista. Perché, con la sua arte, non ha creato un personaggio che si identifichi col suo nome; non ha creato un essere, una visione che evochi i suoi ricordi, dice di lei la donna rivale, che ebbe un rapporto intenso con il Vate. Lei è Eleonora Giulia Amalia Duse (1858-1924). Che finisce al centro del libro di Pierfranco Bruni, intitolato “Con le sue labbra le suggella le labbra spiranti”. Centotrentasei pagine motivate da una forte ammirazione o trasporto grande. Ho sempre amato Eleonora Duse. La teatralità la recita il tragico. Da quando ero ragazzo ho visto in lei la metafora del fascino del mistero del mito. La Divina, come la chiamò Gabriele, resta dentro di me. La letteratura solleva e vive di luce. La letteratura mi ha fatto amare l’amore. La donna che amo è letteratura vita carnalità. Ho trovato in un cassetto della scrivania di mio padre, nella casa in Calabria, il testo che segue. Non so se sia mio o di un altro io o di mio padre. Non cambierebbe nulla. Anzi. L’ho rubato da un cassetto e ora lo pubblico così come l’ho trovato. Commetto il reato di appropriazione indebita. Non ho corretto nulla. I lettori possono fare tutte le considerazioni opportune e anche correggere con il blu o il rosso. Eleonora resterà sempre la Divina!

Così Pierfranco Bruni rimanda i suoi lettori al testo pubblicato da Luigi Pellegrini Editore, quest’anno. E io che scrivo su questa rubrica settimanale, sulla stessa opera non aggiungo altro…  La storia ci dice già chi era Eleonora Duse, e quale rapporto ebbe con Gabriele D’Annunzio, incontrato per la prima volta a Venezia, la città romantica: un amore passionale e tormentato, turbolento. Il mondo del teatro l’ha consacrata come un mito. Perché della Belle Epoque veniva considerata la più grande attrice teatrale e in assoluto una delle più grandi. E forse, non soltanto. Si pensi a George Bernard Shaw che, prendendo le distanze da Sarah Bernhardt, guardava all’arte della Duse e al suo indiscutibile primato. La bellezza della donna nata a Vigevano era anticonformista e rivoluzionaria. Una donna che non si truccava mai. La sua figura riemerge in questo libro facendosi viva e dialogante col mondo contemporaneo. Con le eccellenze, che ci sono nel teatro, e devono adeguarsi ai tempi che cambiano. Eleonora Duse incarna quel sentimento capace di disconoscere il rapporto con il tempo, perché va oltre. L’amore consumato con D’Annunzio è stato grande, intrecciato all’arte. Tanto che il poeta le ha dedicato “Il fuoco”, romanzo pubblicato nel 1900. E sebbene le abbia poi preferito la diva Bernhardt, a fine corsa, alla morte della Divina Duse, la loro unione fu sigillata per sempre: lei gli rivolse l’ultimo pensiero, dimostrando di averlo perdonato; lui ammetterà che nessuna donna, come Eleonora, lo ha mai amato tanto. E questa verità “lacerata dal rimorso e addolcita dal rimpianto” può essere riscritta facendo spazio al nuovo incontro.