Entrare in un bar o in un negozio senza avere indosso alcun dispositivo di protezione. È un’emozione, dopo oltre due anni, il recupero della normalità (tardivo rispetto al resto dell’Europa) reso possibile dalle nuove regole anti-Covid entrate in vigore il primo maggio, riguardanti anche l’utilizzo delle mascherine al chiuso. Il senso dell’ordinanza firmata dal ministro della Salute Roberto Speranza è il ritorno progressivo alla normalità. Significa che, laddove non richieste, le mascherine non andrebbero indossate più. La linea della prudenza non regge più. Non si può far cadere l’obbligo e consigliare, o meglio raccomandare (come fa qualcuno), alla popolazione di utilizzarle comunque, secondo una lettura distorta della disposizione. Occorre superare la paura del contagio, anche nelle condizioni più a rischio, ragionare nella logica della immunizzazione, indotta per via naturale o dopo tre dosi di vaccino: è il momento giusto, nelle settimane in cui l’aggressività del virus andrà scemando verosimilmente sino all’approssimarsi dell’autunno. Proteggere i soggetti fragili resta doveroso. Allora sì che questo strumento indispensabile nell’azione di contrasto al virus, nella fase acuta della pandemia, ha ragione di esistere. Per gli altri vale, se mai, questa raccomandazione: imparare ad osare, assumersi qualche ragionato rischio, è la precondizione per vivere.
LA LINEA SPERANZA – Il principio della progressività, il motivo per cui in determinati contesti permane l’obbligo di indossare la mascherina, ha una sua coerenza e validità scientifica, in quanto applicabile in qualsiasi direzione – valeva anche per l’inasprimento delle misure restrittive. Ecco perché il primo maggio non è stato un “Freedom Day”. L’obiettivo del Governo è un’estate libera dalle restrizioni. Il resto (le critiche al saggio ministro della Salute, il dichiararsi vittime di un imbroglio o di una dittatura), viene fatto oggetto di strumentalizzazione, come qualsiasi crisi.