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Rivoluzione “Fair Fares”, come si aiutano i poveri in modo concreto

La misura risulta ai più modesta. Tuttavia è perfettibile, e può avere ricadute positive, in crescita esponenziale sulla popolazione: parola di David Jones. Per il presidente della non-profit Community Service Society il programma “Fair Fares” è uno strumento indispensabile per la salute pubblica della comunità newyorkese. Lo stesso consente ai più poveri di viaggiare sui mezzi pubblici, autobus e metropolitane, a metà prezzo. Il successo è attestato dal numero record di iscrizioni fatte registrare nel mese di ottobre (255mila). Adesso sono scese a 248.000, calo riconducibile al mancato rinnovo degli abbonamenti scaduti. Complessivamente il trend è positivo, lodevole l’iniziativa. Così, nella metropoli dove ricchezza e povertà coabitano a stretto gomito, il segnale di vicinanza dato dalle autorità ai soggetti più deboli si fa concreto. E pure duraturo: Fair Fares è entrato in vigore nel 2019. Il programma coinvolge più di un quarto di milione dei cittadini a New York. Non è poco. E grazie alla forte campagna di comunicazione, pubblicitaria, messa in moto ultimamente per le strade della metropoli, i numeri sono destinati a crescere ancora. C’è da raggiungere quelle 700mila persone che avrebbero i requisiti per aderire. I beneficiari sono quanti non raggiungono la soglia dei 25.760 dollari. Va sottolineato che, per volere del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, entro il mese di marzo dell’anno prossimo, il salario minimo dei lavoratori salirà a $15 l’ora.

Come funziona il Fair Fares? Il Dipartimento dei servizi sociali della città (Dss) acquista dall’agenzia dei trasporti locali (Mta) i biglietti a prezzo pieno ($2.75) e, attraverso le Risorse umane Administration, li rivende a metà prezzo ai cittadini a basso reddito residenti nella Grande Mela, compresi nella fascia 18-64 anni. A beneficiare della misura, aperta a qualsiasi etnia, sono soprattutto le comunità di colore. Quelle che, pur in tempi di pandemia da Covid 19, continuano a far uso dei mezzi pubblici per andare ogni giorno al lavoro. La stessa catastrofe, dalla quale stiamo uscendo a fatica, aveva costretto il sindaco uscente Bill de Blasio e il Consiglio cittadino a ridurre del 62 per cento la dotazione, pari a 106 milioni di dollari. Il budget è tornato al 50% nel 2021. Inoltre, i finanziamenti potrebbero farsi più cospicui, se la domanda aumentasse anche da parte dei ciclisti, ha assicurato il primo cittadino. Intanto la bella lezione viene dal Paese tornato a crescere economicamente come prima. E chiamato a distinguersi, in qualche modo, dalla rivale Cina. Dall’America al contenente asiatico passando per l’Europa, il tema del trasporto pubblico, la promozione dello stesso all’intera popolazione, si lega poi quello della sostenibilità nella costruzione di un mondo migliore. La città non è fatta per le automobili. Almeno, finché le elettriche non prenderanno definitivamente piede – ammesso che le stesse siano davvero a emissioni zero.     

Global strike: siamo tutti “gretini” stavolta, senza fiatare

La nostra azione dovrebbe essere immediata, rapida e su larga scala. Lo ha detto anche il premier Draghi riportando l’ammonimento dell’Intergovernmental Panel Change delle Nazioni Unite. Il nostro impegno, da non procrastinare, riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra. Diversamente, se non interveniamo, non saremo in grado di contenere il cambiamento climatico al di sotto di 1,5 gradi. Quel che può fare il cittadino è scendere in piazza. Ecco perché, alla luce delle ultime catastrofi (alluvioni, frane, inondazioni, trombe d’aria simili a tornado in Italia), legate a doppio filo al cambiamento climatico, il Global strike si fa carico di significato. L’evento è in programma nella giornata di domani venerdì ventiquattro settembre. Il danno è già fatto: i dati dell’ultimo rapporto dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) dicono che il nostro pianeta si è già riscaldato di 1,1 gradi provocando effetti irreversibili come lo scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione e l’innalzamento dei mari. E stando alla proiezione della Nasa, con un aumento della temperatura pari a 1,5°, si avrà che città costiere come Venezia e Cagliari finiranno sott’acqua, con un margine compreso tra i 60 centimetri e gli 1,30 metri. Il quadro è allarmante. E può essere assimilato alla pandemia, perché emergenza di pari entità, per citare le parole dello stesso presidente del Consiglio italiano. Ciascuno dunque è chiamato a fare la propria parte. In modo non più critico soltanto, ma propositivo: molto più di una scommessa, quella della transizione ecologica è una possibilità concreta, nell’immediato, applicabile in ogni comparto: dalla gestione dei rifiuti alla produzione di energia, dai trasporti alla filiera alimentare. Certo, il mondo green costa, orientato alla sostenibilità. Ce lo dice il caro bollette, che si vuole contrastare. Ma se non si intervenisse, nel medio termine, i costi sarebbero enormemente più importanti. È pertanto l’inerzia della politica a dover essere denunciata. Questo, l’obiettivo degli studenti di tutto il mondo che si ritroveranno in piazza per la settima edizione del Global strike. Al netto dell’utilità di eventi di simile portata, dell’azione della protesta in generale, quel che oggi non si può più fare è ironizzare o ridimensionare una questione divenuta ormai emergenziale. Urge intervenire passando dalle parole ai fatti.

Il Global strike, o sciopero globale per il clima, è un evento tenuto su scala mondiale, che coinvolge oltre mille città e 180 in Italia. Prende le mosse da Fridays for Future, il movimento ambientalista fondato da Greta Thunberg nel 2018. Gli scioperi sono cresciuti in modo esponenziale. Hanno raggiunto, infatti, il picco di 7 milioni e 600mila presenze nell’ultima manifestazione globale. Tra le associazioni coinvolte in Italia spicca Legambiente. Che dagli Ottanta è in prima linea nel combattere i cambiamenti climatici. Il settimo sciopero generale è sempre organizzato da Fridays for Future ed Earth Strike.