Nelle ore in cui si parla della morte di Aleksey Navalny, tenuta accuratamente nascosta dai media russi locali, la scomparsa (improvvisa, ma non tanto) dell’oppositore di Vladimir Putin in carcere, arriva un aggiornamento sul tragico bilancio di quanto accaduto lo scorso quindici febbraio al confine con l’Ucraina. Siamo a Belgorod: un bombardamento attribuito alle forze ucraine ha fatto 7 morti, tra cui un bambino di un anno, oltre ad aver danneggiato un centro commerciale, case e automobili. Diciannove i feriti.
La città viene spesso raggiunta dai missili e dai droni ucraini – alla fine dello scorso anno l’attacco più grande aveva dato la morte a 25 persone. Un effetto collaterale della guerra russo-ucraina, l’uccisione di civili, da ambo le parti. A dare notizia dell’ultimo attacco (due missili hanno colpito anche il campo sportivo di una scuola, oltre al centro commerciale) è stato il governatore dell’omonima regione di Belgorod Vjačeslav Gladkov. L’agenzia di stampa statale Ria Novosti aveva anche pubblicato un video che mostrava i danni materiali.
Bombardamento di Belgorod, la condanna unanime
“Tutti coloro che hanno trasferito e stanno trasferendo denaro per le Forze Armate dell’Ucraina (AFU) e per il resto del marciume neonazista dovrebbero sapere esattamente per cosa stanno andando. E dobbiamo qualificarlo di conseguenza, sia moralmente che legalmente”. Così la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova è intervenuta sul suo canale Telegram con un messaggio di condanna. Che è arrivata anche dalle Nazioni Unite. Il portavoce del Segretario generale Stephane Dujarric ha infatti parlato di azioni inaccettabili: “Ribadiamo ancora una volta che gli attacchi ai civili e alle infrastrutture civili sono vietati dal diritto umanitario internazionale. Sono inaccettabili e devono cessare immediatamente”. Lo stesso Stephane Dujarric ha sottolineato il lavoro offerto sul campo dagli operatori umanitari che continuano a fornire assistenza ai civili. A quanti soffrono a causa dei combattimenti in corso. Per una guerra di logoramento, che chissà quando e come finirà.