Macron vuole l’Europa in guerra: il presidente Mattarella intervenga

Due anni di conflitto in Ucraina non sono bastati per risolvere la crisi né per scongiurare l’allargamento dello stesso con il coinvolgimento della Nato. Ipotesi da respingere con tutte le forze intellettuali, per il bene nostro e dei nostri ragazzi, delle generazioni che verranno: è il senso del forte appello lanciato dall’Associazione Pace Terra Dignità. Che chiede al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di imporre il rispetto della Costituzione. La Carta costituzionale italiana, come sappiamo, ripudia la guerra. Non Emmanuel Macron che ha minacciato un intervento delle forze armate dei Paesi europei per sconfiggere la Russia aprendo così una nuova fase.

L’imperativo categorico, morale: vigilare

L’Associazione Pace Terra Dignità anzitutto chiama in causa il Presidente della Repubblica e ammonisce il governo a tenere ben fermo che gli art. 21 e 52 della Costituzione in nessun modo consentirebbero la partecipazione dell’Italia a questa guerra, mancando ogni presupposto, se non nei processi alle intenzioni e nelle fantasie ammalate, di una sacra difesa della Patria. È il cuore dell’appello rivolto alla comunità dei social e alla rete mediatica “a farsi eco di questo imperativo morale”. Ovvero a vigilare nell’azione di contrasto alle spinte belliciste provenienti da Macron e non soltanto. Il rischio è di scivolare verso una guerra mondiale, dopo 79 anni di tregua, che non è mai riuscita a diventare vera pace, rileva la stessa associazione promossa da Michele Santoro.

Il piano Macron

Il Capo di Stato della Francia, in verità, non ha parlato di una missione Nato, bensì di una coalizione militare di “volenterosi” che assicurino l’invio in Ucraina di soldati occidentali. Questo accadrebbe nel caso in cui Donald Trump tornasse alla Casa Bianca. Sebbene si tratti di un’ipotesi remota, per la prima volta attraverso Macron si parla, in modo chiaro, dell’invio di truppe occidentali a supporto dell’esercito ucraino: dovrebbe bastare per spaventare. E ahinoi per provocare la reazione del Cremlino. Sarebbe guerra diretta, dagli esiti imprevedibili, incerti e per tutti drammatici, quand’anche dovesse concludersi con la sconfitta della Russia sul campo dell’Ucraina.

Sepideh Rashno, la donna simbolo di una resistenza che non incontra solidarietà

È finita in carcere solo per non aver indossato correttamente il velo obbligatorio islamico. Perché lì la mortificazione della donna risulta essere la normalità. Lei ha solamente ventinove anni, Sepideh Rashno, e per quanto ha commesso dovrà scontare una pena di 3 anni e quattro mesi. La donna era già stata in carcere la scorsa estate uscendone per un ricovero in ospedale. Ci è entrata di nuovo, sabato scorso, senza velo: un atto di insubordinazione di chi reclama la libertà. In quella parte del mondo, non troppo lontana, l’Iran, dove le donne non possono vestire come a loro pare. Non sono meritevoli di avere garantiti quei diritti fondamentali per l’essere umano.

Chi è Sepideh Rashno

La scrittrice iraniana, classe 1994, artista e attivista, si è fatta conoscere con un video diventato virale: nel luglio 2022, su un autobus, ha avuto un alterco con un’altra donna per le regole dell’hijab. Ovvero per non aver indossato il velo correttamente. Dalla stessa donna, Rayeheh Rabii, deve aver subito un’aggressione non solo verbale. Poi è stata probabilmente la tortura a causare l’emorragia interna che l’ha portata al ricovero in un ospedale di Tehran. Qualche giorno dopo l’abbiamo trovata in un video trasmesso dalla televisione di Stato IRIB: una confessione che non appare spontanea, le pubbliche scuse di chi non ha commesso proprio niente di male. Dalla prigione di Evin è stata rilasciata il 30 agosto fornendo come garanzia una somma corrispondente a circa 29mila dollari.

La solidarietà

Ben poco si è fatto, nei Paesi che amano la democrazia e la libertà, per questa giovane donna, che nello scorso mese di novembre è stata inserita nella lista delle 100 donne della BBC. Poco si fa per condannare le condizioni delle ragazze iraniane. L’indignazione, invece, dovrebbe essere trasversale, e assumere la forma della protesta in piazza. Perché l’accusa mossa a Sepideh Rashno (“promozione della corruzione morale”) dovrebbe indignare. La stessa sorte è capitata a tante altre donne colpevoli di aver violato quella regola dell’hijab.

Russia, bombardamento di Belgorod: un bambino tra le 7 vittime civili

Nelle ore in cui si parla della morte di Aleksey Navalny, tenuta accuratamente nascosta dai media russi locali, la scomparsa (improvvisa, ma non tanto) dell’oppositore di Vladimir Putin in carcere, arriva un aggiornamento sul tragico bilancio di quanto accaduto lo scorso quindici febbraio al confine con l’Ucraina. Siamo a Belgorod: un bombardamento attribuito alle forze ucraine ha fatto 7 morti, tra cui un bambino di un anno, oltre ad aver danneggiato un centro commerciale, case e automobili. Diciannove i feriti.

La città viene spesso raggiunta dai missili e dai droni ucraini – alla fine dello scorso anno l’attacco più grande aveva dato la morte a 25 persone. Un effetto collaterale della guerra russo-ucraina, l’uccisione di civili, da ambo le parti. A dare notizia dell’ultimo attacco (due missili hanno colpito anche il campo sportivo di una scuola, oltre al centro commerciale) è stato il governatore dell’omonima regione di Belgorod Vjačeslav Gladkov. L’agenzia di stampa statale Ria Novosti aveva anche pubblicato un video che mostrava i danni materiali.

Bombardamento di Belgorod, la condanna unanime

“Tutti coloro che hanno trasferito e stanno trasferendo denaro per le Forze Armate dell’Ucraina (AFU) e per il resto del marciume neonazista dovrebbero sapere esattamente per cosa stanno andando. E dobbiamo qualificarlo di conseguenza, sia moralmente che legalmente”. Così la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova è intervenuta sul suo canale Telegram con un messaggio di condanna. Che è arrivata anche dalle Nazioni Unite. Il portavoce del Segretario generale Stephane Dujarric ha infatti parlato di azioni inaccettabili: “Ribadiamo ancora una volta che gli attacchi ai civili e alle infrastrutture civili sono vietati dal diritto umanitario internazionale. Sono inaccettabili e devono cessare immediatamente”. Lo stesso Stephane Dujarric ha sottolineato il lavoro offerto sul campo dagli operatori umanitari che continuano a fornire assistenza ai civili. A quanti soffrono a causa dei combattimenti in corso. Per una guerra di logoramento, che chissà quando e come finirà.

Vale la pena vivere un giorno in più

Ha nome rancore il grande assente nella vita di Giovanni Allevi. Un essere umano, nel vero senso del termine, capace di apprezzare i colori dell’alba e del tramonto “goduti” dal letto di ospedale, distinguendoli; di cogliere il positivo dentro il dramma e la sofferenza, piombati improvvisamente nella sua esistenza, e immeritatamente. È il ritorno di Giovanni Allevi esibitosi in pubblico dopo due anni di assenza. Un momento di straordinaria intensità: il musicista che al Festival di Sanremo 2024 ha citato Immanuel Kant (Critica della Ragion Pratica) per definire l’unicità della persona a cui si rivolge, ci ha offerto una lezione di vita che resterà per sempre.

“Eleonora Duse” di Stefania Romito: il perdersi come ragione di vita

Tra realtà e finzione il carteggio tra Arrigo Boito e Eleonora Duse, la “Divina” legata a Gabriele D’Annunzio, della quale ricorre il centenario della morte

di Gianluigi Chiaserotti*

Stefania Romito in questo splendido libro ci accompagna verso una lettura articolata di Eleonora Duse, personaggio, ma soprattutto attrice e donna.

Eleonora Duse – il primo Amore con Prefazione di Pierfranco Bruni (pagg. 116, Collana Nuovo Rinascimento, Passerino Editore, 2023) è un saggio della scrittrice, saggista e fine giornalista Stefania Romito. È stato scritto in vista nel corrente anno, primo centenario della morte dell’attrice Eleonora Duse (1858-1924).

L’attrice, detta la “Divina”, si trova nella stanza dell’albergo di Pittsburg, quasi come se fosse il testimone dei suoi ultimi momenti di vita (vi morirà il 21 aprile 1924), ed esso diviene un involontario teatro (passione di una vita) ma privilegiato di intime confessioni.
Sembra come se la Duse si rivolgesse al lettore in un dialogo con la sua anima e con i suoi veri e unici amori: il maestro Arrigo Boito e il “Vate” Gabriele d’Annunzio.

In questo quadro, dipinto alla grande dalla Romito, si ravvisa un intimo colloquiare della Duse con sé medesima e come scritto nell’introduzione: «è la straordinaria capacità di vivere intensamente le emozioni di una vita assaporandone fino in fondo l’essenza in uno smarrimento costante dei sensi».
E lo “smarrirsi” è per “ritrovarsi” oppure “perdersi” nuovamente nel sentimento dell’amore, che poi è la ragione di una vita.

Questi sono gli ultimi atti della vita della “Divina”, narrati in terza persona, ma avendo la stessa come spettatrice. Ed ecco il primo incontro con Boito, la tournée in Sud America, il ritorno ed il nuovo incontro che sarà l’incipit di una relazione che durerà per oltre un decennio. Il libro è dedicato ad una donna la quale interpretò, e bene, la propria esistenza che poi è una recita, e che ha rappresentato le opere dei più grandi drammaturghi con quella unica passionalità. Perché il teatro è sicuramente vita, ma soprattutto Amore.

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“Giornata della Memoria” tra antisemitismo e genocidio del popolo palestinese

Quest’anno se n’è parlato con largo anticipo. Più degli scorsi anni, a causa dello scenario di crisi internazionale.  Ed è un bene, che il tema sia trattato attraverso dibattiti, incontri, film in televisione. Perché la Shoah al centro della Giornata della Memoria è stata un’infamia nel cosiddetto secolo degli Stermini. Ma quello perpetrato ai danni del popolo ebraico è grave quanto il genocidio del popolo palestinese, del quale il governo israeliano si sta macchiando, agendo impunemente. Nessuno è esente da colpe. La “pulizia etnica” della Palestina ad opera dei governi israeliani con la complicità dell’Occidente, perdura da oltre quarant’anni: lo denuncia lo storico israeliano Ilan Pappé nel suo libro La prigione più grande del mondo.

Giornata della Memoria: tutti uniti nella condanna

Non è mai stata retorica. L’obiettivo della Giornata della Memoria (27 gennaio) resta testimoniare, ricordare, e meditare sui tragici avvenimenti che colpirono l’Europa nella prima metà del Novecento: la condanna va contro il sistema dello sterminio di massa, degli ebrei e non soltanto. Hitler e Mussolini ne furono i maggiori responsabili. Ma quanto avvenuto negli anni successivi alla prima guerra mondiale fu alimentato da un consenso largo – si obbediva per paura o per apatia morale. Le vittime della Shoah (catastrofe) vanno ricordate attraverso l’impegno costante a fare in modo che simili e irrazionali atrocità non abbiano a ripetersi mai.

Il potere della Musica

Un film da rivedere sulla Shoah è “Il pianista” di Roman Polansky. Opera di successo e intensa che, tratta dal romanzo di Wladyslaw Szpilman, ci interroga sulla devastazione, sull’orrore e sulla miseria portate dalla guerra. Ma  il pianista interpretato da Adrien Brody magistralmente lascia germogliare anche e soprattutto il seme della speranza. È il potere della Musica che si erge sopra tutto, che zittisce gli orrori della guerra, e alla quale si deve inchinare anche il più empio, nell’ascolto con deferenza.

Il mondo si prepara a una nuova pandemia 20 volte più mortale del Covid

“Con i nuovi avvertimenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui una Malattia X sconosciuta potrebbe causare 20 volte il numero di vittime della pandemia di coronavirus, quali nuovi sforzi sono necessari per preparare i sistemi sanitari alle numerose sfide?” È l’interrogativo posto al World Economic Forum (Wef). Che ha preso il via quest’oggi, lunedì quindici gennaio, nella cittadina svizzera di Davos. La malattia di cui si discuterà tra due giorni è fortunatamente frutto dell’immaginazione. O meglio (peggio), di ciò a cui si potrebbe realmente andare incontro. Non è catastrofismo. Parlarne, anzi, in termini di prevenzione non può che essere positivo. E pure a catastrofe avvenuta, nella malaugurata ipotesi: in un mondo lacerato da conflitti e da crisi senza soluzioni, dalle divisioni, sino al pericolo di una guerra estesa tra i continenti, la lotta alla nuova pandemia potrebbe ricompattare la stessa umanità. Proprio come accadde contro il Covid.

La nuova pandemia, non troppo ignota

Gli scienziati ritengono che il rischio sia accresciuto dalla crisi climatica, dai crescenti cambiamenti dell’ambiente, e dallo sviluppo delle armi biologiche. È plausibile segnatamente che, in considerazione della crescita rapida della resistenza dei batteri agli antibiotici, la prossima “malattia X” sia un’infezione batterica, tra quelle che all’umanità sono già note. Gli avvertimenti su quanto potrebbe accadere in un futuro non troppo remoto sono condivisi dall’Oms. Dal suo direttore Tedros Ghebreyesus, il quale figura tra i relatori del focus, insieme al Presidente e amministratore delegato della multinazionale Royal Philips, e al Presidente del consiglio di amministrazione di AstraZeneca. Gli stessi converranno sulla necessità di lavorare sui vaccini anticipatamente. Perché nulla si improvvisa nella ricerca – non sono nati dal niente neppure i vaccini “sperimentali” anti Covid.

Non solo ambiente

Al centro del Forum economico ci sono in primo piano la guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente. All’evento, giunto alla 54esima edizione, sono attesi 2.800 partecipanti, tra cui decine di capi di Stato e di governo; esperti, rappresentanti di organizzazioni internazionali e di società farmaceutiche. Gli incontri sui vari temi si susseguiranno sino al diciannove gennaio. Centoventi sono i Paesi rappresentati all’appuntamento internazionale che si tiene per consuetudine nella seconda o nella terza settimana del primo mese dell’anno, a cura dell’organizzazione svizzera no profit, chiamando a raccolta la politica mondiale e l’élite imprenditoriale. I riflettori quindi saranno accesi anche sulla nuova pandemia capace di scuotere il mondo. Sulla malattia alla quale non è stato dato ancora un nome. E sebbene non siano definiti i contorni, i sintomi e la causa della stessa, l’agente patogeno, la questione si pone come presupposto alla realtà da affrontare con responsabilità e trasversalmente. Per rifare memoria del primato della natura sull’uomo.

Genitori che maltrattano i figli per conquistare follower: la follia che corre su TikTok

Disposti a tutto pur di avere visibilità sui social. Pure di fare scherzi spaventosi alle vittime, ai loro figli piccoli, per fare incetta di visualizzazioni, per conquistare follower su TikTok: sono i genitori che realizzano video virali con questo scopo. Ai bambini possono gettare in faccia qualcosa. Una fetta di formaggio, ad esempio, o in testa un uovo, per farli smettere di piangere o per suscitare la loro reazione. Noncuranti dei veri e propri traumi ai quali gli stessi possono andare incontro.

IL CATTIVO ESEMPIO SU TIKTOK – A denunciare questa moda è il quotidiano spagnolo El Pais, che riporta il parere degli esperti. “Non solo questi genitori abusano fisicamente ed emotivamente dei loro figli attraverso la vergogna, il ridico e l’umiliazione, ma farlo pubblicamente significa sbandierarlo al mondo”, dichiara Joanne Broder, membro dell’American Psychological Association, psicologa ed esperta di relazioni sane con la tecnologia e la presenza sui social media. Insomma, queste persone, che vorrebbero porsi come modello vincente, agli occhi di sconosciuti, utilizzano i piccoli come fossero trofei da esibire e da sfruttare per tornaconto. Anziché proteggere la loro privacy sul web.

LE CONSEGUENZE – La realizzazione e condivisione di questi video, spiegano ancora, possono influire sull’autostima dei bambini, facendoli sentire ridicolizzati o sminuiti. Oppure finiscono col causare stati d’animo di ansia o stress. Possono avere, quindi, ricadute negative nel breve e nel lungo termine, tutt’altro che leggere. Si pensi che gli stessi contenuti possono essere condivisi su TikTok e salvati sul pc, girare sui social. Ovvero restare in circolo per un tempo indefinito. Crescendo quei bambini, nell’età della consapevolezza, possono veder influenzato il loro percorso emotivo. Quanto ignorano, questi genitori aspiranti famosi, è che la cultura del rispetto si insegna al più presto alle nuove generazioni, e in tutt’altro modo.

Il ritiro dei ghiacciai e gli eventi meteo estremi: l’alta quota nell’annus horribilis

Tanti record negativi. La sensazione, fattasi certezza, come inconfutabile fatto scientifico, di essere entrati in un processo irreversibile: nel 2023 gli effetti del cambiamento climatico hanno colpito duro. Abbiamo assistito a caldo record e a eventi meteo estremi. Anche in alta quota, dove la temperatura aumenta. Al netto degli episodi che possono vedere la comparsa della neve anche in anticipo rispetto alla stagione – anche questo è un riflesso del riscaldamento globale, dicono.

Cosa sta accadendo in alta quota

“La Alpi e il Mediterraneo sono aree particolarmente sensibili al riscaldamento climatico: qui più che altrove si registra un’accentuata accelerazione degli effetti della crisi climatica che avanza”. A lanciare l’allarme è Legambiente attraverso il direttore generale Giorgio Zampetti e il responsabile nazionale Alpi Vanda Bonardo. I quali aggiungono: “Il monitoraggio costante dei ghiacciai alpini, che stiamo portando avanti da quattro anni con la nostra campagna Carovana dei ghiacciai, oltre che permetterci di documentare e raccontare la riduzione delle masse glaciali ci consente anche di valutarne gli effetti sul territorio montano e di portare in primo piano il tema della convivenza con la crisi climatica”. Insomma, non mente l’alta quota. E permette di guardare la questione dalla giusta prospettiva.

Gli inquinatori

Nei giorni scorsi è stato presentato il rapporto annuale di Germanwatch, Can e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta: realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia, i dati che contiene non restituiscono un quadro rassicurante. Proprio per niente. Il Belpaese, 44esimo, arretra di ben quindici posizioni in classifica, nella quale le prime tre non sono state attribuite: nessuno dei Paesi presi in considerazione (63 più l’Unione europea) ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di un grado e mezzo. Va ricordato che gli stessi Paesi rappresentano oltre il 90 per cento delle emissioni corresponsabili del cambiamento del clima. Il più grande inquinatore è la Cina. La quale rimane al 51° posto in classifica.

Le conclusioni

I numeri mettono a nudo l’inerzia della politica nel fronteggiare la crisi. Non solo si fa nulla, o poco, ma non se ne parla neanche abbastanza o nei giusti toni attraverso gli organi di informazione. Pensiamo alla ilarità di quanti si godono le belle e calde giornate del post autunno. Al mare o in alta quota. Giornate che dovrebbero essere meteorologicamente brutte. L’obiettivo di ridurre le emissioni del 65% entro il 2030 è lontano dall’essere raggiunto. Per invertire la rotta appare fondamentale il contributo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili. Insistere su quest’ultime, congiuntamente alla drastica riduzione dell’uso dei combustibili fossili. Non ci sono valide alternative.

Gaza, lo scenario è apocalittico. Ma non se ne può parlare

La denuncia era arrivata da Lynn Hastings. La quale aveva parlato di situazione apocalittica venutasi a creare a Gaza. La pronta risposta di Israele è stata la revoca del visto della donna, coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite. Il provvedimento si colloca nella condotta diffamatoria fatta di abusi verbali e intralcio al lavoro delle organizzazioni e dei funzionari Onu. Così, anche in questo modo, Israele dimostra totale disprezzo per le Nazioni Unite, per il diritto internazionale e per le vite dei palestinesi: lo dichiara l’ambasciata di Palestina in Italia.

Cosa sta accadendo a Gaza

Le truppe dell’esercito israeliano hanno circondato la città di Khan Younis con l’obiettivo di smantellare il centro di comando di Hamas nel Sud della Striscia. I bombardamenti si fanno martellanti: solo nelle ultime ore l’aviazione israeliana ha colpito circa 250 obiettivi nell’enclave. A essere presi di mira sono tunnel e pozzi sotterranei. Oltre a ordigni esplosivi e armi.

Una catastrofe umanitaria

Un milione di sfollati. A piedi o in motocicletta, stipati nei carretti, oppure ammucchiati sui tetti delle loro auto insieme ai bagagli, a fuggire verso Sud sono in migliaia. Il responsabile degli aiuti umanitari dell’Onu ha quindi parlato di situazione apocalittica riferendosi alla impossibilità di svolgere significative operazioni umanitarie. Colpa della campagna militare israeliana, che non si cura di proteggere i civili in fuga da Gaza.

Il bilancio delle vittime palestinesi ha raggiunto e superato quota 16mila. Tanti ne sono morti dall’inizio della guerra, dichiara Hamas – donne e bambini più del 70 per cento. Chi resta soffre anche la carenza di acqua potabile. Il quadro è aggravato dalle conseguenze della crisi climatica. Le falde acquifere, infatti, hanno risentito dell’innalzamento del mare e dell’acqua salata, riferisce la Banca mondiale. Crisi climatica e guerra sono quindi un connubio micidiale. Che non può essere ignorato dalla comunità internazionale.  

Essere pagati per mangiare un gelato dopo l’altro: i lavori che gratificano

Per avere un buon lavoro bisogna studiare. Per essere persone migliori, certamente; ma per campare in questi tempi è meglio fare l’influencer, lo youtuber, o altri lavori bizzarri. Che possono essere gratificanti e, più di una professione intellettuale, remunerativi. Uno di questi è capitato a Paloma Pozanco. La quale ha 25 anni, spagnola di Cadice, e prima di questa esperienza (mangiare il gelato) non aveva mai firmato un contratto di lavoro – ha studiato Legge e sta preparando concorsi.

L’offerta della Nestlé- “Essere pagati per mangiare un gelato dopo l’altro e per di più pagare i contributi previdenziali è incredibile. È un lavoro da sogno”. Così questa giovane donna commenta la mansione che può mettere nel curriculum. Un’occasione da non rendere unica: “Ripeterei l’esperienza un milione di volte”. Immaginiamo che a pensarla in questo modo non sia l’unica. Paloma, infatti, aveva risposto a un annuncio postato su Infojobs lo scorso ottobre, al quale si erano candidati 49.584 persone – un numero record. La “professione” richiesta era quella di tester del gelato Maxibon della Nestlé. Figura che possa assaggiare il gelato che la multinazionale svizzera lancerà nel 2024. La prima persona esterna, che possa fare da cavia, potremmo dire.

L’esperienza fatta dalla giovane le ha fruttato mille euro. Per soli due giorni di lavoro: uno svolto da casa, l’altro in un giardino lontano dalla sua abitazione. Dopo aver degustato il prodotto lo ha recensito. Le sarà piaciuto? Una pillola amara, quel gelato remunerativo, non è stata di sicuro.

Dal gelato alla musica: il “cool jobs”- Un’offerta simile è la ricerca di un tester per il Wizink Center. Persona che dovrà assistere ai concerti di artisti spagnoli, come Melendi e Aitana Lopez: l’obiettivo è migliorare il rapporto tra cantanti e fan. L’impegno stavolta dura tre giorni e frutta sempre 1.000 euro. L’offerta viene sempre da Infojobs, che mette in evidenza il “cool jobs”, attirando migliaia di candidature. I lavori collocati in questa iniziativa saliranno a cinque nel prossimo mese.

Usa, dai fondi di caffè la speranza per la cura di Parkinson e Alzheimer

È stata definita una delle sfide più complesse per il secondo Paese più longevo al mondo, qual è l’Italia. Una malattia che spaventa: l’Alzheimer. Parimenti il Parkinson. Malattie neurodegenerative per le quali non esiste una cura attualmente. La ricerca, però, non si arresta, ed è vicina a un punto di svolta. La speranza viene dai Quantum Dots di carbonio a base di acido caffeico, realizzati con gli scarti di una tazza di caffè, i quali si sono dimostrati promettenti nel trattamento dei disturbi neurodegenerativi. 

I ricercatori statunitensi hanno scoperto che questi farmaci a basso costo hanno contribuito a proteggere dagli effetti del Parkinson in esperimenti provetta quando la malattia era causata da un pesticida chiamato paracqua. L’auspicio è che lo stesso trattamento possa essere utilizzato anche per aiutare le persone nelle prime fasi della demenza, per evitare che la malattia progredisca ulteriormente. La conferma viene da Jyotish Kumar. “I Cacqd hanno il potenziale per essere trasformativi nel trattamento dei disturbi neurodegenerativi”, ha dichiarato lo studioso dell’Università del Texas a El Paso.

La mission: cercare una cura per Parkinson e Alzheimer

Lo stesso Jyotish Kumar ha chiarito che nessuno dei trattamenti attualmente in uso risolve le malattie. Si può soltanto gestire i sintomi. “Il nostro obiettivo è trovare una cura affrontando le basi atomiche e molecolari che guidano queste condizioni”. È importante intervenire nella fase iniziale dei disturbi. Che causati da fattori ambientali o da stili di vita, presentano caratteristiche comuni, come gli elevati livelli nel cervello di radicali liberi – molecole dannose note per contribuire ad altre malattie, anche tumorali. Ebbene, nello studio condotto si è dimostrato che i Cacqd sono stati in grado di rimuovere i radicali liberi o di impedire che gli stessi causassero danni, e che hanno inibito l’aggregazione dei frammenti di proteina amiloide senza causare effetti collaterali significativi.

La conclusione

Il team ipotizza che negli esseri umani, nella fase iniziale di una patologia come l’Alzheimer o il Parkinson, un trattamento a base di Cacqd possa essere efficace nel prevenire la malattia vera e propria. Per questo è fondamentale intervenire nella fase embrionale. Ovvero affrontare questi disturbi prima che raggiungano la fase clinica, perché non si debba essere costretti a fare il miracolo. Viene altresì sottolineata la peculiarità dell’acido caffeico. Che può penetrare la barriera emato-encefalica, al punto da esercitare i suoi effetti sulle cellule del cervello.

Russia, la qualità della vita migliora: indicatori record nel settore dell’edilizia

I numeri si riferiscono al periodo in cui infuria inarrestata la guerra in Ucraina. E sembrano andare nella direzione contraria alle sanzioni inflitte dall’Occidente, dall’Alleanza Nato e dall’Unione europea, volte ad indebolire l’economia della Russia. Buon per la popolazione, se sul piano dell’edilizia quasi 7 milioni di cittadini miglioreranno, entro la fine dell’anno, le loro condizioni. L’annuncio viene da Vladimir Putin in occasione dell’incontro tenuto il quattordici novembre con il capo del Ministero delle Costruzioni Irek Faizullin.

Edilizia, la crescita della Russia

“Nel 2023 abbiamo migliorato le condizioni abitative di 7 milioni di persone, cioè 3,2 milioni di famiglie. Abbiamo reinsediato quasi 2 milioni di metri quadrati di alloggi di emergenza -1,8 milioni di metri quadrati, pari a 104,4mila persone”. Così Putin nel suo intervento di apertura. “E abbiamo migliorato 7031 spazi pubblici”, ha aggiunto il presidente della Federazione russa. Gli fa eco lo stesso ministro per il quale quest’anno si prevede la messa in funzione di un numero record di 104-105 metri quadrati di abitazioni – già raggiunti gli 83,6 milioni di metri quadrati secondo Putin. Dalla costruzione di edifici al reinsediamento degli alloggi di emergenza, dal programma di riparazione, ripristino e ammodernamento delle infrastrutture al recupero delle strutture presenti nelle nuove regioni: i temi al centro dell’incontro, affrontati dal ministro e dal presidente russo. Mentre si intensificano gli interventi anche sul piano della manutenzione.

Al netto dei numeri, il dato che emerge è la tenuta del Paese. Mentre la guerra, laddove è combattuta (ad oltranza in Ucraina), rivela la propria forza distruttiva del tessuto economico. E non soltanto nel settore dell’edilizia. Anche il primo cittadino di Mosca Sergey Sobyanin aveva già dichiarato che solo nella capitale, dall’inizio del 2023, sono stati costruiti e messi in funzione 10,7 milioni di metri quadrati di immobili, di cui la metà sono abitazioni.

Leggere nel pensiero: si può fare, secondo la Duke University

Una grande opportunità. Così va concepito l’impianto cerebrale testato da un team di neuroscienziati, neurochirurghi ed ingegneri. Segnatamente da quelli della Duke University negli Stati Uniti: lo strumento è in grado di decodificare i segnali provenienti dal cervello ad una velocità superiore di quella offerta dagli strumenti disponibili attualmente. Che sono alquanto ingombranti, oltre ad essere lenti.

Lo studio della Duke University

La nuova tecnologia utilizza un nuovo dispositivo che, grande ovvero piccolo come un francobollo, pezzo flessibile di plastica per uso medico, è dotato di ben 256 microscopici sensori cerebrali. Quattro pazienti lo hanno provato sottoponendosi a test di “ascolto e ripetizione” della Duke University. Il dispositivo ha registrato l’attività della corteccia motoria del linguaggio di ciascun paziente mentre coordinava quasi 100 muscoli che muovono le labbra, la lingua, la mascella e la laringe – i soggetti erano stati invitati a ripetere ad alta voce una serie di parole. I dati sono stati poi inseriti in un algoritmo di apprendimento automatico. L’obiettivo: verificare la precisione con cui lo strumento poteva prevedere il suono prodotto, basandosi esclusivamente sulle registrazioni dell’attività cerebrale.

Ne è emerso che alcune parole avevano un’accuratezza dell’84 per cento nella traduzione corretta. Tuttavia, la precisione diminuiva quando si analizzavano i suoni nel mezzo o alla fine di una parola senza senso, oppure quelli simili come p e b.

A chi serve

Come ha rilevato il professor Gregory Cohan, ci sono molti pazienti che soffrono di disturbi motori come la SLA o la sindrome locked-in, debilitanti al punto da compromettere la capacità di usare la parola. A questi la nuova tecnologia può offrire un valido supporto. È stata già testata su soggetti che dovevano sottoporsi a un intervento chirurgico al cervello, per curare il morbo di Parkinson, o per rimuovere un tumore. E poiché il tempo a disposizione era alquanto limitato in sala operatoria, si è deciso di testarlo entro un quarto d’ora. Dalla teoria alla pratica, alla realtà: l’applicazione del nuovo impianto sembra essere lontana oggi; la velocità ancora lenta, rispetto al linguaggio naturale. Ma è stato fatto un significativo passo in avanti, dichiarano dalla Duke University.

Lizzi Jordan, dalla cecità ai sogni di gloria

Il male che non ti uccide ti fortifica. E Lizzi Jordan ci è andata vicina alla morte, prima di dare alla propria vita una imprevedibile, insperata, svolta. Si è riscoperta atleta lanciata verso traguardi da sogno. Che sono alla portata di una persona dal potenziale enorme, sottolineato dalla sua allenatrice: la campionessa paralimpica Helen Scott. Un potenziale sviluppato rapidamente da chi vuole dare il massimo e fare sempre meglio.

Il dramma di Lizzi Jordan

Una serata come tutte le altre: è il 2017 quando la 19enne studentessa di psicologia alla Royal Holloway, University of London, consuma un pasto al fast food. Fa l’esperienza di una intossicazione alimentare causata da un raro ceppo di batterio E. La conseguenza è il coma, la lotta per la sopravvivenza. Lizzi Jordan si risveglia ma priva della vista. Una botta tremenda.

A confidarlo lei stessa, in una intervista rilasciata a BBC Sport: “Ero molto, molto malata. Ho sofferto di un’insufficienza multipla degli organi e i medici hanno avvertito i miei genitori in diverse occasioni che avrei potuto non farcela”. “Ma grazie all’uso di un farmaco raro e costoso, sono riusciti a farmi uscire dal coma”, continua LJ ricordando quanto sia stato terrificante il risveglio da cieca. Nella sua mente l’interrogativo che chiunque si farebbe senza trovare risposta (“Come farò a vivere la mia vita senza la vista?”). Immaginiamo gli attimi di terrore diventati giorni. Poi la svolta: “Mi sono detta, ho due opzioni: posso starmene seduta a piangermi addosso, oppure posso provare a fare qualcosa della mia vita e magari realizzare qualcosa che non avrei fatto nemmeno se avessi avuto la vista”. Ha scelto la seconda.

La rinascita attraverso lo sport

Un passo alla volta, Lizzi Jordan ha dapprima imparato a camminare, poi ha corso: ha preso parte alla Maratona di Londra nel 2019, raccolto 13mila sterline per l’associazione RNIB. Quindi l’incontro con la bicicletta. Una compagna con la quale non andare a spasso, ma lavorare duramente. Ai test effettuati nel 2020, in una giornata organizzata dal British Cycling per la scoperta di nuovi talenti, ha impressionato positivamente, sebbene prima di diventare cieca avesse a malapena guidato una bicicletta. Si è data all’agonismo conquistando la medaglia d’oro ai Campionati del Mondo 2023 di Glasgow. E pure il bronzo nel tandem kilo, insieme ad Amy Cole, ciclista vedente – l’argento al Campionato mondiale di paraciclismo su pista UCI lo scorso anno. Il suo obiettivo adesso è far parte della squadra di paraciclismo della GB alle Paralimpiadi di Parigi nel 2024. Una sfida che intende vincere, per continuare ad imparare da un’intensa e non comune esistenza. Naturalmente la donna ha già imparato dalle persone alle quali può fare affidamento. Ma vuole rendersi anche autonoma: si è iscritta a un corso di formazione per fare uso di un bastone bianco. “Mi cambierà la vita”, dice, come se non avesse preso coscienza di quanto di straordinario sta già facendo ponendosi come modello virtuoso, punto di riferimento in tutto il mondo.

27 ottobre, il nostro No alla pseudocultura della violenza e dell’odio

Il popolo della pace chiamato a raccolta. Una giornata, quella di venerdì prossimo 27 ottobre, che vuole essere un inno alla Vita attraverso la mobilitazione: in tutta Italia si scende in piazza e ci si riunisce nei luoghi di aggregazione per chiedere la pace laddove la guerra, feroce, inattesa, si è fatta protagonista negli ultimi giorni. Ovvero in Israele e in Palestina. Perché alle guerre, ai fiumi di sangue, che sono una costante nella storia, l’uomo evoluto si ribella.

Le iniziative

In prima linea c’è Amnesty International Italia. Che chiede il rispetto dei diritti umani, la protezione dei civili, e lo stop della violenza in Palestina e Israele. L’iniziativa è condivisa da Aoi (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale) e da tante altre realtà della società civile. Segnatamente questo è l’appello rivolto alle istituzioni italiane: rimettere al centro dell’azione politica proprio il rispetto dei diritti umani e della vita delle persone. Tra i tanti eventi, appuntamenti pubblici e incontri, va segnalata la lectio magistralis che il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury terrà a Trieste, in occasione del 75esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. L’intera settimana è caratterizzata dall’attivismo nelle principali città d’Italia. Dai flash mob ai seminari, dalle mostre a tema ai workshop agli stand informativi e proiezioni passando per i momenti conviviali: tutto questo rientra nella campagna #IoMiAttivo

27 ottobre di digiuno e preghiera

Un pacifista come papa Bergoglio non può che sostenere la grande mobilitazione. Infatti, per lo stesso 27 ottobre, è prevista una giornata di digiuno e preghiera: le armi del credente. La ricorrenza è l’anniversario dell’Incontro interreligioso di Assisi del 1986. Il momento di raccoglimento si terrà a San Pietro alle ore 18.00. E potrà coinvolgere “fratelli e sorelle di varie confessioni cristiane, appartenenti ad altre religioni, e quanti hanno a cuore la causa della pace”. Ovvero coloro che non accettano il sacrificio di vittime innocenti.

Tacciano le armi

L’invito, il monito, del pontefice è ad ascoltare il grido di pace dei poveri, della gente. Dei bambini particolarmente. Perché la guerra non risolve alcun problema, denuncia Francesco: semina solo distruzione e morte. I riflettori dei media si sono spostati dall’Ucraina al Medio Oriente. La condanna va estesa a tutti i conflitti che sconquassano il mondo, per scongiurare anche l’allargamento di quei fronti bellici già aperti. Il pensiero va alla martoriata Ucraina, sempre. Al rischio che i conflitti diventino guerre di logoramento. Perché per arrestarli, in sostanza, non si fa niente. La priorità intanto è evitare la catastrofe umanitaria a Gaza. La stessa Amnesty International denuncia e documenta gli attacchi illegali compiuti dalle forze israeliane che hanno causato, tra i civili, massicce perdite: chiunque compia simili azioni, l’aggressore come l’aggredito, va messo sotto processo per crimini di guerra. Il numero di morti e feriti tra i bambini è sconcertante. Si contano almeno 2.360 vittime negli ultimi 18 giorni, denuncia l’Unicef attraverso il direttore regionale per il Medio Oriente e il Nord Africa Adele Khodr.

Giochi mondiali dell’Amicizia 2024, l’ultima trovata di Putin

Lo abbiamo visto proporsi persino come mediatore nel conflitto in Medio Oriente tra Israele e Hamas chiedendo il cessate il fuoco, la fine delle ostilità. Come se solo lui fosse titolato a far la guerra, in corso contro l’Ucraina. Adesso Vladimir Putin punta anche sullo sport per riabilitarsi a livello internazionale. Ma in totale autonomia, senza alcuna richiesta di approvazione da parte delle federazioni internazionali, ha firmato il decreto per lo svolgimento di una competizione che si terrà il prossimo anno. Significativo che l’abbia denominata Giochi mondiali dell’Amicizia. A voler intendere lo sport come strumento di riconciliazione tra nazioni e popoli.

Giochi mondiali dell’Amicizia

Le competizioni “World Friendship Games” si terranno a Mosca e a Ekaterinburg nel prossimo mese di settembre. Nascono per garantire il libero accesso degli atleti e delle organizzazioni sportive russe alle attività sportive internazionali, lo sviluppo di nuove forme di cooperazione sportiva internazionale. Lo si chiarisce nel documento varato. I Giochi mondiali dell’Amicizia dovrebbero tenersi ogni quattro anni. Secondo il format delle Olimpiadi, che si terranno a Parigi nel 2024, e che vedranno l’esclusione della Russia verosimilmente, a causa dell’invasione dell’Ucraina bollata come un’infamia. La competizione russa, la cui prima edizione partirà il mese dopo, comprenderà 30 sport, dei quali 20 olimpici. E  chiamerà a raccolta circa 10mila atleti – potrebbero essere inserite altre 14 discipline sportive. Ad annunciarlo è stato lo stesso Putin a margine del forum internazionale “La Russia è una potenza sportiva” tenutosi a Perm. Ricordiamo che il presidente della Federazione russa è uno sportivo, praticante delle arti marziali: mal deve digerire l’isolamento subito anche in questo ambito. È dal 2022, infatti, che vige il divieto di organizzare in Russia competizioni internazionali. Decisione che non tutti i Paesi condividono.

L’altro mondo

Putin si è rivolto alla sua popolazione dichiarando che uno degli obiettivi del Paese in ambito sportivo è quello di attirare il 70 per cento dei russi verso lo sport entro il 2030. Ha inoltre evidenziato i segni di degenerazione che lo sport internazionale, “molto commercializzato e politicizzato” sta mostrando: per contrastarli egli promuove la creazione di nuove leghe e associazioni che “mineranno il sistema di monopolio stabilito dall’ufficialità internazionale”. Putin, insomma, sa che i rapporti con l’Occidente sono irrimediabilmente compromessi, almeno nel medio termine; e cerca di correre ai ripari inventandosi altro. Ai Giochi mondiali dell’Amicizia i Paesi cosiddetti ostili non potranno di certo prendere parte. Gareggeranno invece gli atleti delle Nazioni membri dell’Alleanza politica: Brasile, India, Cina e Sudafrica, insieme alla Russia. Ma anche Pakistan e gli ex Stati sovietici dell’Asia centrale, Kazakhstan, Kirghizistan, Tajikistan e Uzbekistan. L’auspicio è che entro quella data nuove inimicizie non vengano a nascere precarizzando ulteriormente gli equilibri mondiali.

Terremoto Afghanistan, l’emergenza ignorata dalla comunità internazionale

“La devastazione è totale. Ci sono villaggi completamente distrutti, perché le case, fatte di fango e paglia, sono crollate completamente a causa del terremoto; quando si passa di lì, si può vedere che molti dei morti sono sepolti con le pietre”. A tratteggiare questo quadro inquietante è Thamindri de Silva. Il quale, direttore generale dell’Ong World Vision in Afghanistan, prova a spostare l’attenzione su quanto sta accadendo in un Paese scosso da una nuova emergenza comunitaria: il terremoto, o meglio l’ondata sismica, di magnitudo compresa tra 5.5. e 6.3, verificatasi sabato scorso 7 ottobre.

L’assistenza che manca

La catastrofe ci riporta al terribile post terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria, lo scorso febbraio, facendo circa 60mila vittime. Allora, però, c’era l’ausilio della tecnologia utilizzata in quell’area, e il supporto dei tanti Paesi che inviarono squadre di emergenza. A denunciarlo, sulle pagine del quotidiano spagnolo El Pais, il responsabile delle comunicazioni dell’Unicef in Afghanistan, Daniel Timme. Il quale aggiunge che tutto è molto più improvvisato. E che c’è il sostegno di due Paesi soltanto: l’Iran e la Turchia. Gli aiuti alla popolazione arrivano dalle Ong locali e internazionali. Che devono fronteggiare la scarsa assistenza internazionale. Come ha dichiarato lo stesso de Silva, l’Afghanistan ha ricevuto soltanto il 20 per cento degli aiuti internazionali di cui necessitava prima del terremoto; e il timore è che quanto sta accadendo nel resto del mondo, soprattutto il conflitto di Gaza, mettano in ombra il nuovo disastro verificatosi nel Paese, e le emergenze umanitarie che lo stesso ha generato.

Terremoto in Afghanistan, la terra trema ancora

Nelle scorse ore, intanto, una nuova forte scossa di magnitudo 6,3 ha colpito la parte occidentale del Paese. Segnatamente l’area limitrofa alla città di Herat, vicino all’epicentro del terremoto di sabato scorso. Le vittime sono circa 2.400 in totale. Donne e bambini, in particolare. Altrettanti i feriti, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della Sanità pubblica afghano – a oltre 72 ore dalla catastrofe, diminuiscono sempre più le probabilità di ritrovare persone in vita. Lo riportano anche i Talebani, che da oltre due anni hanno ripreso il potere in Afghanistan. Gli stessi hanno incontrato le Ong per coordinare l’assistenza umanitaria. A tal fine, per aiutare la popolazione locale, alle donne viene concesso di lavorare di più. Temporaneamente, sia chiaro: l’emergenza lì, nella terra abbandonata nel 2021 dagli americani, è vissuta in tutti gli altri giorni dell’anno, in termini di mortificazioni e di violazione dei diritti umani.

Addio al fumo: le nuove generazioni sono più intelligenti e virtuose

Fumare nuoce gravemente alla salute. È risaputo quanto riporta proprio il pacchetto di sigarette nel monito rivolto al consumatore: un paradosso destinato ad avere fine, l’acquisto di ciò che si trova in tabaccheria. Almeno nel nord  Europa. Si pensi alla Nuova Zelanda che, seguita a ruota dal Regno Unito, è il primo Paese al mondo ad introdurre leggi volte a impedire alle nuove generazioni di darsi al vizio del fumo.

I numeri in fumo

In Nuova Zelanda è stato raggiunto un minimo storico: attualmente soltanto l’8 per cento della popolazione fuma. Numeri incoraggianti anche nel Regno Unito. A fumare, infatti, è circa il 12,9% degli adulti. Tuttavia va sottolineato che il fenomeno del vaping non è in crisi. Anzi, i fumatori di sigarette elettroniche aumentano. Tra gli adulti britannici la percentuale si attesta sull’8,7%.

Un tabù per i minori

Il primo ministro del Regno Unito Rishi Sunak ha dichiarato che i bambini sotto i 14 anni non potranno mai acquistare legalmente sigarette nel corso della loro vita. Lo ha detto intervenendo alla conferenza del Partito Conservatore del 2023 a Manchester. Con questa motivazione: “Dobbiamo affrontare la più grande causa interamente prevenibile di malattia, disabilità e morte. E questo è il fumo, e il nostro Paese”. Così diventerà illegale vendere tabacco a chiunque sia nato dopo il 2008. Per tutti gli altri, per i fumatori più incalliti, sarà raccomandato il passaggio alle sigarette elettroniche. Che pure provocano dipendenza da nicotina e numerosi problemi alle vie respiratorie. Il premier, infatti, ha preannunciato di voler mettere al bando i vapes con confezioni e aromi pensati per attirare i giovani.

Step by step

Per liberarci delle sigarette, una volta per tutte, il primo passo è l’innalzamento dell’età legale. Già fatto: per fumare oggi bisogna essere maggiorenni, prima del 2006 il fumatore poteva avere 16 anni. Si potrebbe alzare l’età legale ad almeno 22 anni. Perché al di sopra di quell’età, come conclude un recente studio giapponese presentato al congresso della Società europea di cardiologia (Esc), è meno facile acquisire la dipendenza dal fumo. E liberarsene meno difficile. Per aiutare il governo a raggiungere questo obiettivo, l’All-party parliamentary group (Appg) ha definito dodici passi. Alleati preziosi insieme alla proposta di legge che potrebbe portare alla svolta storica. A fare del Regno Unito, entro il 2040, il primo Paese “libero dal fumo”. Un modello virtuoso da emulare tra gli Stati membri dell’Unione europea.

Per non dimenticare: i danni del fumo

Ogni anno il fumo uccide più di 8 milioni di persone. Segnatamente 7 milioni di fumatori attivi, e circa 1,2 milioni di soggetti esposti al fumo passivo – fonte Oms. Per tanti la sigaretta rappresenta una compagna amica. Qualcuno azzarda persino dei benefici, sui livelli di attenzione, in abbinamento al consumo di caffeina. Nessuno nega il fascino che la sigaretta ha esercitato per decenni, particolarmente attorno alla figura maschile (la puzza mal si concilia con la bellezza e con la grazia nella donna), ma in un mondo minacciato da nuove e gravi crisi, non possiamo più permetterci alcun atto di autolesionismo.