Crisi climatica e non solo: la più grande alluvione che flagellò Palermo

Sicilia, 27 settembre 1557, ore 20.00. Una spaventosa alluvione a Palermo provoca un’ondata di fango che raggiunge la città dai monti, con conseguente scia di distruzione e di morte. Migliaia le vittime. Un numero imprecisato compreso tra 2000 e 7000, e oltre. Siamo alla metà del XVI secolo, ben lontani dai giorni che viviamo oggi, condizionati dalle ricadute drammatiche del cambiamento climatico: gli eventi meteo estremi si stanno sì moltiplicando nell’ultimo trentennio, ma quei numeri, fortuna nostra, sono inimmaginabili adesso.

La grande alluvione

Gli storici fanno riferimento a quell’evento, attestato dalla relazione del Maestro Razionale del Regno Pietro Agostino, come il più violento che colpì l’allora capitale del Regno di Sicilia. Un’alluvione assimilabile a una tempesta perfetta. Ci furono delle repliche in questi anni: 1666, 1769, 1772, 1778, 1851, 1862, 1907, 1925, 1931. Il comune denominatore è il caldo eccezionale o i periodi siccitosi che hanno preceduto le abbondantissime precipitazioni. Con riferimento alla catastrofe del 1557, il nubifragio ebbe inizio il ventuno settembre protraendosi per giorni. Il 27 avvenne il cedimento del Ponte di Corleone, muro-diga che serviva ad arrestare le acque meteoriche provenienti da Monreale, per scaricarle nell’alveo del fiume Oreto. I danni alla struttura edilizia e al tessuto economico della città furono ingenti – mille case distrutte. Colpa di scelte ingegneristiche errate e degli interventi di prevenzione fatti male.

Adattarsi al cambiamento

La storia ci insegna che questi eventi si sono sempre verificati nel tempo. Tuttavia, a convalidare la tesi del cambiamento climatico, processo irreversibile da mettere al centro delle agende di governo, c’è l’elevata frequenza. L’alluvione è quell’evento che si ripete facendosi sempre più intenso. Si pensi all’accanimento delle precipitazioni in alcune aree come l’Emilia Romagna – sono caduti 300 litri di acqua per metro quadrato in soli quindici giorni. Sebbene certi fenomeni ci vedano spettatori, senza volerlo, la nostra unica possibilità di sopravvivenza è legata alla capacità di adattamento, per mezzo del progresso e dello sviluppo delle tecnologie moderne. Va sottolineato che le previsioni meteo sono sempre più precise. Almeno quelle provenienti da siti affidabili, alle quali lavorano gli studiosi, come gli esperti dell’Aeronautica militare.

I danni della crisi climatica

I numeri sono inquietanti. È l’Osservatorio Anbi sulle Risorse idriche a divulgarli: dall’inizio del 2024 al 15 settembre si sono registrati 212 tornado, 1.023 nubifragi e 664 grandinate con chicchi di dimensioni grandi. In totale gli eventi estremi sono 1.899. Lo Stivale, quindi, è diventato l’hub mediterraneo della crisi climatica, con piogge torrenziali concentrate sulle aree costiere dell’Adriatico. Eppure sino a non molto tempo fa l’Italia veniva identificata nella mitezza mediterranea. Si guardava ai tornado come a un fenomeno lontano, riguardante in particolare gli Stati Uniti d’America. Quanto ai danni, alla necessità di adattarsi al cambiamento climatico, c’è da dire che dagli anni Ottanta manca in Italia una pianificazione nazionale di interventi per la prevenzione idrogeologica, e si preferisce intervenire con fondi per le emergenze. Una verità scomoda. L’ha denunciata il presidente dell’Anbi Francesco Vincenzi.