Category Archives: Spettacoli

“Terra e polvere”, la tenerezza come una trasgressione

Ce lo ricorda anche papa Bergoglio. Il povero Francesco che in queste ore, per qualche giorno almeno, merita in abbondanza i nostri pensieri, le nostre preghiere. La tenerezza è una vera rivoluzione, sia nella dimensione privata che in quella collettiva. Ce n’è tanta in “Terra e polvere”. Un film romantico e drammatico insieme nel quale i due protagonisti, Ma Youtie (interpretato da Wu Renlin) e Cao Guiying (Hai Qing), non si scambiano nemmeno un bacio, ma si prendono reciproca cura. Il loro è un amore con la A maiuscola. Un sentimento capace di mitigare le asprezze delle vite difficilissime che vivono.

Terra e polvere, l’intimità che solo in pochi raggiungono

“In città, prima di uscire insieme, le persone guardano anche ai beni materiali e poi decidono se amarsi o meno. Nei villaggi, le persone sono quasi invisibili e non possiedono nulla, quindi mi piace immaginare che il loro sia un amore puro”. Così il regista Li Ruijun, 38 anni, al suo sesto lungometraggio, fotografa la realtà dell’ambientazione. Siamo a Gaotai nel Gansu cinese. Questo l’obiettivo: “Ho voluto creare un mondo privato ed esclusivo tutto per loro. Quando si lavano a vicenda nel fiume o si sdraiano accanto per chiacchierare… Ecco, quella è l’intimità”. Terra e polvere è anche un film sui cosiddetti ultimi. Ovvero sulle persone che antepongono il silenzio al chiacchiericcio, al frastuono.

La Cina

A far da sfondo alla storia c’è un Paese che sta cambiando in una collisione di sistemi. Una civiltà che appare sospesa tra l’odierna urbanizzazione, non priva di contraddizioni, e il passato contadino, foriero di nostalgia. Per i suoi contenuti, il film, nelle sale italiane da ieri, si preannuncia interessante e di alto spessore: presentato in concorso al 72° Festival di Berlino, è stato insignito del Black Dragon Award e del Silver Mulberry Award al Far East Film Festival di Udine. In Cina è stato accolto con un notevole successo di pubblico. I matrimoni combinati, in una parte del Paese, accadono ancora. Così quello inscenato tra i due protagonisti di Terra e polvere dimostra non solo la casta attrazione ma anche la forza come somma di due solitudini. Povertà sociali emotive affettive capaci di tramutare e arricchirsi per mezzo dell’incontro che si fa legame solido e duraturo.

Gli dèi non invecchiano: buon compleanno a Claudia Lamanna

Forse un giorno la deificazione della persona le darà noia. Non vorrà perpetuare il proprio mito, destinato a crescere. Ma non adesso… Claudia Lucia Lamanna è agli albori della sua carriera da concertista: salita sul tetto del mondo dopo la conquista dell’International Harp Contest si gode il successo che merita chi ha saputo fare della sua passione la propria professione. Mettendoci tanto impegno, coraggio e perseveranza. Riceve una valanga di complimenti ad ogni suo concerto: l’ammirazione è il sentimento dominante nel desiderio di omaggiarla sempre, per ricambiare la magia o la gioia, le emozioni che sa donare. Possiamo farlo oggi, 9 novembre, in occasione del suo genetliaco.

Il talento di Claudia Lamanna

Pare che l’arpista di Noci compia 27 anni. Ma l’età, intesa come invenzione degli uomini, non conta: gli dèi non invecchiano. Non conoscono il dolore né la sofferenza né la fatica o la malattia. Così, il destino dovrebbe riservare questo alla dea dell’arpa. Che è anche donna capace di preservare la propria umanità: modello virtuoso, non le serve la sensualità o l’avvenenza, abbonda in grazia: per fare presa sul pubblico, le basta il talento. L’arpa. Non è superba, Claudia Lamanna, e dall’incontro con ogni persona trae nutrimento. La sua musica riflette i molteplici e contraddittori stati d’animo. Strabilia, incanta: i capelli avvolti in un’aurea di luce, le mani piccole danzano sulle corde con leggerezza e restano incontaminate, non scalfite dagli automatismi di un’attività che logora, stanca. Gli occhi comunicano ambizione. Una componente essenziale per conservare il successo. Sono suoi compagni, Ginastera, Glière, Damase, tra i compositori che più la esaltano.

Una vita insieme al suo strumento

CL suona l’arpa da quando aveva 8 anni. A soli 15 si è diplomata; dopo la laurea di secondo livello con il massimo dei voti, lode e menzione d’onore al Conservatorio Nino Rota di Monopoli si è perfezionata alla Norwegian Academy of Music di Oslo e alla Royal Academy of Music di Londra. Dopo aver vissuto all’estero è tornata in Puglia. Ha vinto numerosi concorsi: il più prestigioso, l’International Harp Contest, conquistato quest’anno in Israele, è stato il coronamento del suo sogno. Ha calcato i più grandi palcoscenici del mondo – da Londra a Bangkok, dal Teatro Duse di Bologna alla Merkin Concert Hall di New York. Ha fatto incetta di riconoscimenti prestigiosi. Tra gli ultimi, il “Premio Futuro” del Sulmona Official. Nelle scorse ore si è esibita a Los Angeles per il “Pacific Harps – Camac California Harp Festival”.

L’auspicio è che possa continuare ad essere fedele a se stessa. Perché solo preservando l’umanità si può essere annoverati tra i Grandi: quelle doti peculiari, ciò che rende fieramente umani noi mortali. Gli dèi, infatti, spalancano le porte del paradiso, e poi ti voltano le spalle… Non provano sentimenti di empatia, di pietà, non conoscono il perdono né la carità; il patire per una gioia che deve arrivare. E che possa essere vittima, Claudia Lamanna, di quella pericolosità gioiosa con la quale Nicola Piovani ha definito la Musica. La Bellezza è turbamento: ammalia e insieme inquieta, ciò per cui vivere.

Il mio grazie e i miei auguri a Claudia Lamanna!

Claudia Lamanna, l’onnipresenza della Musica

Sarà per il vento di tramontana, che spirava forte, una manna dal cielo in una estate rovente, per lunghi tratti afosa; sarà che la Bellezza trova sempre il modo di raggiungere chi ha udito. Sta di fatto che la Musica di Claudia Lamanna si è sentita sino in riva allo Jonio… Dopo il trionfo alla “International Harp Contest” in Israele, che l’ha portata alla consacrazione, l’arpista più brava del mondo si è esibita a Noci, domenica scorsa. Una tappa motivata dalla passione, dal senso di appartenenza al proprio territorio, per la musicista impegnata in un tour di concerti in tutto il mondo. La Chiesa di Santa Maria della Natività ha accolto le sue note facendo da cassa di risonanza oltre il luogo fisico. Uno scambio libero, che è arricchimento gratuito e reciproco. Ogni creazione della giovane musicista, ogni sua movenza gesto parola vanno accolte con riconoscenza. Con la gratitudine che lei stessa dimostra dando attenzione ad ogni persona; e per l’occasione a quanti hanno reso possibile e preso parte all’evento, contribuendo al successo dell’iniziativa: ha ringraziato il pubblico caloroso e Piero Liuzzi per l’invito, Vincenza D’Onghia per l’accurato lavoro di presentazione, il sindaco Domenico Nisi, in rappresentanza di tutta la comunità nocese. Inoltre il team di “Chiostri e Inchiostri” per la puntale organizzazione. Il recital rientrava infatti nella rassegna letteraria e culturale promossa dal Parco letterario Formiche di Puglia, con il patrocinio del Consiglio regionale pugliese, in collaborazione con l’Accademia delle Belle Arti di Bari e con il comune di Noci. La concertista non ha tradito le attese nel virtuosismo delle sue performance. Il repertorio spaziava dall’Ottocento francese di Faure’ alla contemporanea frammentarietà di Al Ravin passando per Lopez, Britten, Satie e Godefroid. Un viaggio accompagnato dallo strumento delicato e potente assieme.

La Musica di Claudia Lamanna, che abbiamo avuto il privilegio di intervistare, proprio all’indomani del successo in Israele, rispecchia la molteplicità degli stati d’animo. Col fine della condivisione. E se è vero che la Bellezza richiede tutti gli organi di senso per essere compresa, il salto sta nel superamento di ciò che attiene alla dimensione terrena: anche il sordo o il cieco possono farsi raggiungere dall’arpista. Basterebbe fare memoria delle sue esibizioni e dell’elegante figura, del rapporto simbiotico che ha con lo strumento, delle performance musicali, artistiche; e pure sportive, potremmo aggiungere (suonare l’arpa comporta un certo impegno fisico). Basterebbe sapere che lei suona ancora. Che concorre, attraverso il suo lavoro, alla missione salvifica della musica. Così il tour di Claudia Lamanna continua. Dopo aver calcato il palco del Royal Welsh College of Music & Drama a Cardiff (Regno Unito) per il Congresso mondiale dell’arpa, è in Puglia, attesa anche dalla comunità ionica: suonerà a palazzo Marchesale di Laterza, unica tappa nella provincia di Taranto, il tredici agosto.

(Pubblicato su “L’Adriatico” nr 158)

Stregati dalla luna

Omaggio al compositore cipriota Kemal Belevi nel CD del duo Silvia e Livio Grasso: una musica sempre coinvolgente, frutto della commistione di linguaggi, stili e toni differenti rivive in “Cypriana”

La sua voce è predominante: forte e maestra, si lascia accompagnare dall’altro, che non copre e non sovrasta; e con lo stesso, infine, si fonde, come in un dialogo fattosi danza. È il violino di Silvia Grasso. Che in “Cypriana”, in compagnia della chitarra, rende omaggio alla musica del compositore cipriota Kemal Belevi. Un progetto monografico divenuto cd nei giorni scorsi con la prestigiosa etichetta discografica Naxos. Un omaggio a Cipro, al mare, al viaggio, in una commistione di diversi stili e linguaggi. C’è il fratello Livio ad accompagnare Silvia in questo percorso musicale. Un lavoro fatto con amore, frutto dell’intesa che possono raggiungere i familiari; e con la competenza di due professionisti che, preservando il loro stile, l’eleganza, devono mettere le loro conoscenze al servizio di una platea sempre più ampia. Il risultato è una contaminazione non forzata. I quattordici brani di Cypriana hanno in Ciftetelli il punto di approdo verso l’accoglienza e lo scambio, tra gli elementi folkloristici e quelli propri della cultura classica. Così, la musica di Kemal Belevi, nel pensiero di Graham Wade, tiene insieme le atmosfere del Mediterraneo orientale. Dalla dimensione enigmatica di Moon, dove la musica entra in sintonia con la natura (la luna nel suo lato luminoso e in quello scuro), alla melanconico – nostalgica di Romance, il disco incorpora tutti i colori. Compresi quelli luminosi e brillanti. O i toni trasognanti di Clouds. Così, in forza della circolarità, i ricordi si mescolano al presente, per fare spazio alla speranza. Il file rouge è la capacità che ha questa musica di essere coinvolgente. Merito degli interpreti.

Il duo Silvia e Livio Grasso rimanda alla scommessa di una nuova musica contemporanea per violino e chitarra. Silvia, classe 1989, ha fatto studi classici (liceo Archita di Taranto e Università degli Studi di Bari), integrati allo studio dello strumento conosciuto quando aveva 7 anni. Diplomata con il massimo dei voti, lode e menzione, all’istituto Paisiello, si è perfezionata con maestri come Fabio Cafaro e con la violinista austriaca Ulrike Danhofer. Si è aggiudicata diversi concorsi internazionali. È membro del Trio Gioconda De Vito. Oltre all’attività violinistica è impegnata nella didattica, come docente della scuola pubblica, e per l’Accademia musicale Rusalka. La collaborazione con il fratello Livio ha avuto inizio con uno studio sul compositore austriaco Ferdinand Rebay. L’ultima esibizione della violinista nata a Grottaglie è andata scena in terra lombarda, a Manerba del Garda, con Gaetano Simone al violoncello e Roberto Corlianò al pianoforte, per il concerto di apertura del festival Viator Musicae. Di soddisfazioni ne ha raccolte anche Livio Grasso: anch’egli vincitore di numerosi premi in concorsi internazionali, ha registrato due album con il Quartetto Santorsola.

Al duo facciamo i migliori auguri per il disco e per il proseguimento della missione che accomuna i musicisti in tutti i tempi.

Il richiamo della musica: un bonario stordimento

Le contaminazioni e la denuncia in “Negativo”, il nuovo disco de I Funketti Allucinogeni

Già il nome, dal modo colorito, li definisce al meglio: hanno quel dinamismo un po’ folle, in senso positivo, proprio delle nuove generazioni, del realismo vissuto nell’incanto. Confermandosi nella loro natura, i Funketti Allucinogeni hanno dato alla luce il loro primo disco. Si intitola “Negativo”, una produzione Trulletto Records, disponibile dal venti maggio scorso. È un lavoro ricco di contaminazioni rap ed elettroniche, all’insegna dell’innovazione, intesa non come ricerca spasmodica. Nove brani che esaltano le vocalità dei cantanti della band salentina. Un concentrato di sonorità (non mancano gli intermezzi strumentali), di immagini e contenuti offerti al pubblico senza soluzione di continuità. Come a voler stordire chi ha udito. Bonariamente e non, perché in quei contenuti resta imperante la denuncia. Ma la lettura può essere anche divertita. Se è vero che la musica, quel genere in particolar modo, è libertà nell’atto creativo. E dalla contestazione alla pacificazione il percorso è diretto, non graduale, ma quasi improvviso in “Intro”. Quella musica ha, dunque, un obiettivo, un ordine proprio predefinito: non è frastuono né anarchia. La mission dell’artista è sovvertire le regole di massa. E se viviamo tra “generazioni di esibizionisti”, di finti artisti, possiamo sempre trovare al mondo una bussola, per far annegare le nostre paure nello stesso posto pieno di insidie e di pericoli. Quella bussola naturalmente ha nome Arte e Musica.

i Funketti Allucinogeni, Negativo

I Funketti Allucinogeni sono un quartetto crossover con contaminazioni funk, rock e rap. È nato dalle sperimentazioni di Matteo Spinelli alla batteria, Piergiulio Palmisano (chitarra), Gabriele Cavallo (voce, pianobass e tastiere) e Riccardo Cavallo (basso). Il loro successo non si è fatto attendere. Nel 2014 infatti la band fu protagonista al Brain Music Contest al Salento Fun Park di Mesagne distinguendosi anche in originalità. Nei tre anni successivi la consacrazione con la vittoria in altri concorsi. Nel 2019 I Funketti si sono aggiudicati il Wau Contest, premiati da Max Casacci dei Subsonica. Un anno prima, con la pubblicazione dell’EP “Ombre”, hanno avviato la collaborazione con XO la factory, Cabezon ed Elephant Music. Discostandosi dai precedenti contenuti, dalla cosiddetta vita d’artista al centro dei testi più introspettivi, il loro primo disco Negativo segna anche il distacco dall’inglese in favore della lingua madre. Sotto accusa la società intesa come realtà frivola, dove ognuno guarda ai propri interessi, e non si gode il viaggio consumato in fretta e furia. Proprio loro, sì, puntano il dito contro il ritmo. Perché se è vero che perdiamo tempo nel superfluo, o in ciò che arreca danno, peggio, la musica ci riporta alla creatività e all’essenza. Al dovere dell’inclusione, inoltre. A rafforzare l’autostima e l’autodeterminazione di noi tutti che siamo simili e diversi. “Faccio troppo sul serio e non godo il presente”, recita il quinto brano dell’album, con un ammonimento: riempiamo di lavoro le nostre giornate, per un pugno di niente.

Tutte le corde di un incontro

Non c’è gioia nell’esperienza dell’incontro, ma placida accettazione. Una quiete serafica. Così in “Luce”, brano del primo album del duo Sans fil, intitolato Connessioni. Un viaggio immaginifico che apre al contatto con il creato e con la creatura. Che sia espressione dell’Arte e della spiritualità o della natura, ciò che richiede connessioni è, una volta soddisfatto, la chiave di volta del sopravvivere. Di elevarsi anzi ad una vita migliore. Il lavoro del duo formato da Susanna Curci e Angela Tursi prende le mosse dal distanziamento generato dalla pandemia. Una suona l’arpa, l’altra il pianoforte. Due strumenti non affatto distanti. Lo sono nel timbro e nell’intensità; dall’altro lato, simili nella scrittura. In ogni caso, non sconosciuti. Tanto più che l’arpista Susanna, musicoterapeuta di Taranto, che nel 2020 ha pubblicato il suo primo singolo (Paola), conobbe il pianoforte in tenera età: prese a suonarlo prima di innamorarsi dell’arpa. La musica oggi scorre anche grazie alla rapidità della connessione internet. Che ha permesso il lavoro musicale, e alle diverse visioni la possibilità di incontrarsi.

La loro performance è stata definita un tango. Se così può essere vista, è un ballo con colori a sé stanti, privi della passionalità più accesa, tra strumenti che non possono essere solistici. L’incontro come contaminazione non forzosa, sintesi che è perfetta, ma non fusione, nulla toglie alle identità e alla libertà della Musica. La collaborazione tra le due artiste nacque nel 2018 nelle aule del Conservatorio Nino Rota di Monopoli. Il legame si è rinsaldato sul piano umano e, su quello artistico, in un percorso di crescita ininterrotta, materializzatosi con la pubblicazione del primo album di composizioni originali di Angela  (Blue Paintings, Angapp Music, 2018) – la pianista di origini pugliesi è residente a Milano. Ambedue sono accomunate dalla formazione classica. Ma anche dal desiderio di dialogare, nella scoperta, con il nuovo: dal piacere di conoscere, di toccare e sperimentare, di contaminare le proprie esperienze con diversi generi musicali e artistici.  Ogni brano della loro opera va gustato in una tappa singola. In un momento della giornata, nel buio della notte, in una stagione specifica; in comodità o in mezzo al frastuono, per sentire l’eco di un lontano ricordo. Il suono può farsi ballo. Ad accoglierlo, nel videoclip “Pasión”, è il lungomare di Livorno, nella suggestiva ed elegante terrazza Mascagni.

L’incontro è pure duello nell’attesa (Crystal) accendendosi in toni vivaci, all’improvviso. Il pianoforte e l’arpa aprono sempre all’arte dell’ascolto. Le stesse musiciste che lo suonano, devono essere ben consapevoli del potenziale inespresso da promuovere. L’obiettivo è uno sguardo d’intesa per convertire con leggerezza tutti gli aspetti dell’esistenza nella dimensione del sogno.

Connessioni è prodotto da Inri classic e, dal ventinove aprile scorso, è disponibile su tutte le piattaforme digitali.

Notturno Invernale: un altro brano di Connessioni

Silvia Grasso e Gioconda De Vito: un ascolto lungo

Chi l’ha detto che la Musica si ascolta una volta sola? Che non si può replicare o riassistere alla stessa esibizione? La musica che ci eleva, che governa e non consola, che zittisce i frastuoni e gli orrori, in tempi di guerra si fa ancora più preziosa. Riavvolgiamo il nastro allora a venerdì tredici dicembre 2019. A Martina Franca, alla Fondazione Paolo Grassi, va in scena l’omaggio a Gioconda De Vito (1907-1994), colei che è ritenuta la più grande violinista italiana del secolo scorso.

Il concerto del Trio della FPG è preceduto dalla presentazione di un libro. Poi si staglia una voce, fuori del coro. Appena un lamento; magari monito, avvertimento, un ricordo struggente. Infine, forza dirompente. È il violino di Silvia Grasso. A lei l’onore onere di far parlare Gioconda De Vito. Proprio lei, talento precoce nato a Grottaglie, così giovane e aggraziata; così diversa dai tratti ispidi di una donna che aveva uno sguardo assai penetrante. C’è tutto in quelle note, messaggio universale: il non vissuto di un’esistenza che mai fino in fondo può essere pronunciato. C’è anche il motivo che spinse la più grande violista italiana a lasciare lo strumento smesso di amare all’apice del successo personale. Perché a cinquant’anni, dopo aver collaborato con i più grandi direttori d’orchestra, come Bruno Aprea (ospite della fondazione Grassi), credeva di non avere altro da donare. In quella Musica solo l’inquietudine manca: Gioconda De Vito deve aver capito che il suo violino necessita degli altri per cantare: del pianoforte di Liuba Gromoglasova, in quella serata, del violoncello di Gaetano Simone. Perché ognuno di noi ha bisogno dell’altro. Per vivere, per realizzarsi. Così il Trio Gioconda De Vito ha suonato: Beethoven e Brahms; Schubert nel finale. Con passione e con trasporto, a beneficio degli spettatori numerosi presenti in sala.

Uscendo l’uditore sa di dover andare incontro a imprevisti e accadimenti capaci di stravolgere il corso della vita. Ma quella musica resta lì: può sentirne sempre l’eco, e a Lei fare ritorno.

“The Passion”, il messaggio che passa dalla spettacolarizzazione della violenza

La premessa è che la guerra a cui stiamo assistendo ridimensiona qualsiasi altra violenza. Ovvero il male che ci facciamo con i nostri comportamenti quotidianamente, in conflitti e sopraffazioni: persino l’uccisione di un animale, creatura sacra al pari di ogni essere vivente, a confronto risulta niente. Nelle scorse ore in tv è stato riproposto “The Passion of the Christ” (2004). Un film, quello di Mel Gibson con Jim Caviezel e Monica Bellucci (cast italiano, produzione americana), che si caratterizza per la crudezza, costata polemiche. Che interroga lo spettatore: perché indugiare sul sangue, sul calvario di Gesù verso la crocifissione, perché ricorrere alla spettacolarizzazione della violenza? Ebbene, sempre contestualizzando l’opera ai giorni che stiamo vivendo, alle immagini terrificanti provenienti dall’Ucraina, quelle scene bene rendono la gratuità di chi sceglie la violenza esercitandola in una escalation di orrori sempre più grandi; e ci avvicinano alle sofferenze che un intero popolo sta vivendo. Ad ogni modo, è il finale quello che conta: il credente, destinatario privilegiato della pellicola girata in Italia, tra Cinecittà e Matera, è chiamato a preservare la gioia o meglio la serenità in qualsiasi circostanza. Ad andare oltre il dolore e la sofferenza. È il suo unico dovere. Perché Cristo ha vinto la morte.

Il film, che negli Stati Uniti ha registrato il maggior incasso di tutti i tempi (oltre 370 milioni di dollari), facendo incetta anche di riconoscimenti, acuisce e insieme arresta l’eco dolorosa che si ascolta. L’obiettivo non secondario è reagire emotivamente alle immagini più cruente. Guai ad assuefarci alla guerra, a non indignarci più, a perdere i sentimenti di empatia, pietà verso chi sta soffrendo. The passion è un film da rivedere apprezzando interpretazioni e location – perfetta la città dei Sassi, scelta ben prima che la stessa diventasse capitale europea della Cultura. E al netto della legittimazione del livello di violenza, le critiche negative restano, rispetto ai contenuti, a riferimenti storici opinabili.

“Amore mio aiutami”, quando a vincere è il teatro

Sapere e non sapere. Fingere, per convenienza, tacere o parlare: l’arte della simulazione affonda le sue radici nel palcoscenico del grande Eduardo (si veda ad esempio “Questi fantasmi”) e, prima ancora, nella storia millenaria. Perché le dinamiche della crisi all’interno della coppia sono tangibili da sempre. Debora Caprioglio e Maurizio Micheli hanno avuto il merito di riportare in scena “Amore mio aiutami”, spettacolo ispirato al testo di Sonego, dal quale fu tratto il film di Alberto Sordi. I due attori in tournée hanno raggiunto anche la città dei due mari inaugurando la rassegna I colori del teatro curata da Renato Forte per l’associazione culturale “Angela Casavola”, con la collaborazione del Comune di Taranto. Lo spettacolo è andato in scena nella serata di ieri al teatro comunale Fusco. La storia è nota: la relazione tra Giovanni e Raffaella, legati da dieci anni nel sacro vincolo del matrimonio, va in crisi quando la donna si innamora di un altro uomo; la stessa chiede aiuto proprio al marito confidandogli quel sentimento, facendo leva sulla modernità di chi si vanta di essere persona di larghe vedute, e razionale.

Un’ora e quaranta di spettacolo dal ritmo serrato, quello andato in scena nel giorno prediletto dalla signora Raffaella (mercoledì), incapace di annoiare un solo istante il pubblico che ha riempito numeroso la sala. La prestazione dei due attori è stata impeccabile. Se Maurizio Micheli ha aggiunto ironia al testo (anche un pizzico di tarantinità), la figura di Debora Caprioglio sembrava straordinariamente somigliante a quella di Monica Vitti, partner di Alberto Sordi nella famosa pellicola del 1969, nei toni e nella fisicità. In quella voce ansiosa pastosa lamentosa. Un valore aggiunto è dato dalla sua intramontabile sensualità. Quanto ai contenuti, rispetto alla complessità della vita, alle contraddizioni e alle fragilità del mortale, Amore mio aiutami non offre alcuna chiave. Se non quella dell’ironia che però non si rivela pienamente efficace. Fa poi un certo effetto sentire gli applausi divertiti degli astanti alla fine del primo atto, quando dietro le quinte, in scena, si consuma un’azione drammatica: il marito che picchia la donna nel tentativo di destabilizzarla, di scuoterla, di risolvere “all’antica” quella situazione ingarbugliata. Desta meraviglia nell’epoca in cui qualsiasi forma di violenza, anche solo accennata, viene messa al bando. Quando tutto sembra sospeso in modo irrimediabile, l’ultima parola spetta all’uomo: un atto di autodeterminazione che pone fine alla vicenda rievocata. Nel mezzo c’è la convivenza con il male e coi tormenti di un legame che richiede autenticità. Tra il dire e non dire, condannare o perdonare, andare avanti o mandare tutto all’aria, viene in nostro soccorso proprio il teatro.

(Pubblicato su lojonio.it)

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Da Luke Perry a Shannen Doherty: quando le star conobbero la malattia

Ottobre è il mese della prevenzione. Che andrebbe vissuta come un obbligo, più che raccomandazione: la salute passa dalla cura di sé, da controlli periodici, e da quotidiane azioni virtuose. A dare il buon esempio è Shannen Doherty. Donna 50enne che sta combattendo la sua battaglia personale contro il cancro al seno. Al pubblico televisivo l’attrice americana nata a Memphis è nota per aver interpretato il ruolo di Brenda Walsh in “Beverly Hills 90210” – poi anche quello di Prue Halliwell in Streghe. Il suo volto rimanda agli anni Novanta, alla generazione di chi poteva aver tutto campando di rendita, anteponendo la dimensione del sogno alla speranza. Di quella serie televisiva, che ha avuto tanto successo, SD era un’icona sensual, insieme a Luke Perry alias Dylan McKay. Entrambi hanno assaporato l’ebbrezza per poi conoscere il dramma. Luke Perry se n’è andato il 4 marzo 2019, per colpa di un ictus ischemico. Quattro anni prima, dopo essersi sottoposto a colonscopia, si era fatto testimonial della campagna di prevenzione del cancro al colon. Le preoccupazioni per il suo stato di salute generale (tardive forse) non lo hanno sottratto alla morte prematura. L’attore avrebbe compiuto 55 anni lo scorso undici ottobre. Ricorrenza che è stata sottolineata dalle star di Beverly Hills attraverso i social: dalla stessa Shannen Doherty con delle foto. Un doveroso omaggio, rivolto a tutte le comunità nel suo messaggio. Il miglior modo di tener viva la memoria è perseverare nella lotta. Quella dell’attrice contro il cancro ha avuto inizio nel 2015, ricorda lei stessa: guarita due anni dopo, nel 2019 una recidiva le ha stravolto di nuovo l’esistenza. Adesso si trova allo stadio metastatico. Su Instagram ha pubblicato un post e uno scatto fotografico: si è ritratta con la testa rasata e un fazzoletto sotto il naso, usato per fermare un’emorragia. Una foto choc che ha fatto il giro del mondo.

In un’altra, invece, dimostra ironia, saggezza. È riuscita infatti a ironizzare sul pigiama colorato con cui si era coperta il volto. “Trovare l’umorismo mi ha aiutata a superare ciò che sembrava impossibile”, ha scritto ammettendo di aver trovato il modo di risollevarsi. La chiave sta proprio nell’umorismo. Nella capacità di appigliarsi a tutto ciò che può alleggerire la sofferenza, quella stanchezza che pervade corpo e mente. La lezione di Shannen Doherty, che invita le donne a fare le mammografie superando ogni paura, è un inno alla vita da vivere fino in fondo, con responsabilità e con un pizzico di leggerezza. Lezione la cui credibilità passa dal percorso umano – artistico di quella stessa esistenza: la malattia, al pari del dramma comunitario da cui stiamo uscendo (Covid), è occasione per riflettere sulle priorità e sui valori che contano più della ricchezza. Ma anche no… Di quel mondo dorato rievocato dalla cinepresa, la prosperità, l’avvenenza, persino la nullafacenza diventano disvalori da riabilitare per affrontare il dolore e farcene beffa.

Puglia caput mundi: la gioia del ballo on the road

Tutto nasce per gioco. Le migliori idee, spuntate per caso o per un preciso scopo, ti portano spesso ad altra imprevedibile destinazione. E quando l’inventiva è coniugata al radicamento e all’amore per il territorio nascono progetti meravigliosi. Uno di questi porta la firma di Pietro Bongermino che, l’anno scorso, ha ideato #ballandoperlacittà. Protagonista dell’iniziativa (no profit) è il gruppo denominato “il ballo è vita”. Nome emblematico che racchiude l’essenza di una lunga passione: ventennale quella di PG, 31enne originario di Laterza e residente a Ginosa, dove insegna in una palestra balli di gruppo caraibici e latini.

Cosa fa il gruppo? Uscendo dalle anguste mura, se ne va in giro per i paesi più nascosti della Puglia, per postare poi sui social le loro performance. Il risultato è un’esplosione di gioia contagiosa. Un raccontare per immagini e dinamici corpi, che va al di là della rievocazione, come ritorno ai valori e alle antiche tradizioni, nella forma della condivisione. Questo comunica il video girato una domenica d’autunno sul sagrato della chiesa Madre di Ginosa. Un lavoro, nato appunto per gioco, o meglio per passione, capace di diventare virale facendo centinaia di visualizzazioni.

Quando poi l’esperimento funziona, il seguito può essere curato con una migliore organizzazione: la seconda tappa del progetto itinerante è andata in scena a Torre Mattoni a Marina di Ginosa. In quell’area magnifica, la cui pineta fu spazzata dalla violenza delle alluvioni del 2011 e ’13, il gruppo ha ballato sulle note di “karaoke”, per poi tuffarsi nelle acque del Mar Jonio. Il successo è stato ancora maggiore. Il video, infatti, ha fatto migliaia di condivisioni, in Italia e al di fuori, con oltre 65mila visualizzazioni. La terza tappa ha raggiunto il centro storico di Ginosa. I danzatori si sono fatti attori indossando gli abiti degli anni Cinquanta per far rinascere via Matrice e i suoi antichi frequentatori. Anche in questo caso, l’arte è venuta in soccorso del territorio. Di quella strada simbolo di Ginosa, restituita alla comunità da poco, dopo il terribile crollo del 2014. Pietro Bongermino ricorda di aver voluto realizzare una sorta di musical nel quale lui interpreta il ruolo del contadino. Che arrivando con un cavallo, saluta tutti richiamando l’attenzione, per aprire le danze sul sagrato della chiesa. E di quella musica si sente l’eco festoso, in tempi di ricostruzione… #ballandoperlacittà è un nuovo modo di fare cultura e di promuovere la bellezza del territorio. La sua peculiarità sta nel tenere insieme gli strumenti più moderni della digitalizzazione, i social, e la rivisitazione della storia legata alla comunità e al folklore, ai prodotti tipici gastronomici. Il progetto, che ha scoperto presto la propria vocazione, vuol essere pure ambizioso: crescere raggiungendo la Penisola da nord a sud. A Pietro Bongermino e al suo gruppo facciamo i migliori auguri perché possano raggiungere il loro obiettivo esportando le nostre bellezze. Ovvero tirandole fuori.

(Articolo pubblicato su “Lo Jonio” nr 197)