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Il ritiro dei ghiacciai e gli eventi meteo estremi: l’alta quota nell’annus horribilis

Tanti record negativi. La sensazione, fattasi certezza, come inconfutabile fatto scientifico, di essere entrati in un processo irreversibile: nel 2023 gli effetti del cambiamento climatico hanno colpito duro. Abbiamo assistito a caldo record e a eventi meteo estremi. Anche in alta quota, dove la temperatura aumenta. Al netto degli episodi che possono vedere la comparsa della neve anche in anticipo rispetto alla stagione – anche questo è un riflesso del riscaldamento globale, dicono.

Cosa sta accadendo in alta quota

“La Alpi e il Mediterraneo sono aree particolarmente sensibili al riscaldamento climatico: qui più che altrove si registra un’accentuata accelerazione degli effetti della crisi climatica che avanza”. A lanciare l’allarme è Legambiente attraverso il direttore generale Giorgio Zampetti e il responsabile nazionale Alpi Vanda Bonardo. I quali aggiungono: “Il monitoraggio costante dei ghiacciai alpini, che stiamo portando avanti da quattro anni con la nostra campagna Carovana dei ghiacciai, oltre che permetterci di documentare e raccontare la riduzione delle masse glaciali ci consente anche di valutarne gli effetti sul territorio montano e di portare in primo piano il tema della convivenza con la crisi climatica”. Insomma, non mente l’alta quota. E permette di guardare la questione dalla giusta prospettiva.

Gli inquinatori

Nei giorni scorsi è stato presentato il rapporto annuale di Germanwatch, Can e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta: realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia, i dati che contiene non restituiscono un quadro rassicurante. Proprio per niente. Il Belpaese, 44esimo, arretra di ben quindici posizioni in classifica, nella quale le prime tre non sono state attribuite: nessuno dei Paesi presi in considerazione (63 più l’Unione europea) ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di un grado e mezzo. Va ricordato che gli stessi Paesi rappresentano oltre il 90 per cento delle emissioni corresponsabili del cambiamento del clima. Il più grande inquinatore è la Cina. La quale rimane al 51° posto in classifica.

Le conclusioni

I numeri mettono a nudo l’inerzia della politica nel fronteggiare la crisi. Non solo si fa nulla, o poco, ma non se ne parla neanche abbastanza o nei giusti toni attraverso gli organi di informazione. Pensiamo alla ilarità di quanti si godono le belle e calde giornate del post autunno. Al mare o in alta quota. Giornate che dovrebbero essere meteorologicamente brutte. L’obiettivo di ridurre le emissioni del 65% entro il 2030 è lontano dall’essere raggiunto. Per invertire la rotta appare fondamentale il contributo dell’efficienza energetica e delle rinnovabili. Insistere su quest’ultime, congiuntamente alla drastica riduzione dell’uso dei combustibili fossili. Non ci sono valide alternative.

Meteo, nessun caldo africano a ferragosto: quando si cade nel catastrofismo climatico

La premessa è che occorre combattere in modo concreto e celere quanto è correlato all’azione umana. Ovvero il tanto discusso, pernicioso fenomeno del cambiamento climatico, responsabile degli eventi meteo estremi. Pensiamo anche agli incendi che hanno fatto vittime e trasformato in un inferno il paradiso delle Hawaii. Come pure va contrastato il negazionismo di chi ha perso il contatto con la realtà. Ma non bisogna neppure esagerare, cadere nel catastrofismo facendo allarmismo climatico: con riferimento alle previsioni meteo per ferragosto, ad esempio, i media nazionali insistono su un’ondata di caldo rovente africano. Che non ci sarà, a quanto pare, in Italia. A denunciarlo sono gli esperti del portale meteobook. I quali osservano, studiano le carte, con professionalità, e lavorano nella logica contraria al sensazionalismo acchiappa like.

Previsioni meteo ferragosto: cosa dicono i modelli

Guardando alla circolazione delle masse d’aria prevista per le ore centrali di giorno quindici agosto, alla quota di 5.500 metri, si può osservare che le correnti in transito sull’Italia provengono da nord, e hanno un’origine marittima. Ovvero originate alle medie latitudini dell’Atlantico. Il tanto temuto caldo africano finirà invece tra la Grecia e l’Egeo. Così, guardando alla circolazione delle masse d’aria nei bassi strati, a 1.500 metri, si può notare che il pennacchio rovente nord-africano defluirà in direzione della Spagna. Ciò non significa che farà fresco sulla Penisola italiana. Ma che la stessa andrà ad auto produrre il caldo in proporzione alla compressione anticiclonica, detta subsidenza, e all’irraggiamento solare: condizione che farà salire le temperature sino a punte di 35-37 gradi, in alcuni casi. Insomma, caldo sì, ma niente di eccezionale. Non un’ondata assimilabile alle tre settimane di fuoco che abbiamo visto nel mese più caldo di sempre. Qual è stato luglio 2023.

Ancora meglio al Meridione

Le previsioni per ferragosto sono piuttosto rassicuranti. Al momento, la Puglia è interessata da venti settentrionali. E la circolazione non dovrebbe cambiare. L’estremo sud peninsulare, in particolare, potrebbe addirittura risentire di un’infiltrazione relativamente più fresca proveniente dai Balcani, capace di contenere l’aumento delle temperature. Che dovrebbero mantenersi vicine alla media. Ci avviciniamo, cioè, alla fine dell’estate. L’anticiclone africano potrebbe avere altre occasioni favorevoli per riguadagnare campo. Non nel breve termine, in ogni caso: dimentichiamo i quaranta gradi e oltre registrati, per più giorni consecutivi, in diverse località dell’Italia, a causa del flusso canicolare proveniente dall’entroterra sahariano. Non ci sarà alcun ritorno di Nerone, l’anticiclone porta caldo, come è stato soprannominato – sarebbe il caso, anche, di smetterla con la mania di dare un nome a tutte le ondate di calore o le perturbazioni che raggiungono ogni anno lo Stivale.

Estate 2023, le previsioni: ondate di calore con afa ed eventi estremi

Le carte non promettono niente di buono. Premesso che le previsioni meteo vanno prese con il beneficio del dubbio, sono affidabili solo nel breve termine, a poche ore (e alle volte sbagliano pure a un’ora), quelle stagionali indicano la direzione: ondate di calore, afa ed eventi estremi sono altamente probabili, in continuità con quanto successo nella scorsa stagione. Lo confermano gli esperti de ilMeteo.it

Le temperature

Il trend è in crescita continua. Sono previsti valori superiori alla norma, da 1,5 a 2 gradi in più, sull’Italia e su gran parte dell’Europa. Le previsioni si riferiscono ai mesi di giugno e luglio – meno certezze per la seconda parte dell’estate, ad agosto, ma identiche proiezioni. Sarà l’anticiclone africano il principale responsabile dell’innalzamento delle temperature. Elevati i tassi di umidità, che portano lo stesso caldo ai limiti della sopportazione. Vanno ricordati i record battuti lo scorso anno. I 44 gradi registrati, ad esempio, in Sicilia, o le temperature elevate nel Regno Unito, che non avevano mai raggiunto i quaranta. Altra caratteristica delle ondate di calore è stata la persistenza. E nell’estate 2023 continuerà ad esserlo.

Estate 2023, il rischio di grandinate è concreto

Nel 2022 abbiamo assistito a precipitazioni intense. A chicchi di grandine grossi come palle da tennis, capaci di sfondare i parabrezza delle automobili, e di procurare danni ingenti. Il guaio è che questi fenomeni non si possono prevedere. O meglio, localizzare. È certo che con il caldo aumenta l’energia potenziale in gioco, i contrasti termici: si creano le condizioni per la formazione di celle temporalesche, alte fino a quindici chilometri. Gli effetti del cambiamento climatico afferiscono ad un processo ormai irreversibile. E l’uomo può solo adattarsi, imparare a convivere con questi eventi. Il che significa anche dover lasciare terre abitate da migliaia di anni! Si stima che nei prossimi 50 anni vaste aree, compresa l’Europa centrale, saranno inabitabili per quasi la metà della popolazione mondiale (3,5 miliardi di persone).

Le città del futuro: la sfida di un’economia che metta al centro la vita

Invertire la rotta. Arrestare un processo che, per certi aspetti, appare già irreversibile: la salvaguardia del creato, l’azione di contrasto alla crisi ambientale, passano anche attraverso l’opera green di copertura arborea urbana, sostenuta dall’Istituto forestale europeo (Efi). Occorre ridisegnare le città del futuro portando avanti la sfida di un’economia che al metta al centro la vita. Il concetto chiave è questo. Serve, urge anzi, un cambio di paradigma. Perché, se lo scopo è il consumo, l’effetto creato è quello del boomerang.

Da un lato ci sono città modello come Oslo, Berna, Lubiana e Parigi, che vantano un 20 per cento di verde; dall’altra le metropoli che non se ne curano, che inquinano – la maglia nera è Atene. Cosa accade nel Belpaese? L’Italia è riconosciuta come leader capace di influenzare il design urbano e industriale, in tutto il mondo, nella ricerca della Bellezza che va oltre il buongusto. L’Efi allora ha aperto recentemente una sede anche a Roma.

Le tematiche di cui si discute non sono affatto nuove. Basti ricordare che l’Istituto forestale europeo, con sede in Finlandia, a Joensuu, è nato nel 93 del secolo scorso. La sua mission è quella di dare sostegno alle politiche sulle questioni relative alle foreste. In modo scientifico, attraverso la ricerca e la condivisione, la messa in rete. L’attenzione nelle città non è rivolta solamente ai parchi ma anche alle infrastrutture. Servono alberi per la deforestazione: il verde dovrebbe colorare l’area urbana, periurbana ed extraurbana. La comunità poi è chiamata a prendersi cura di quanto abita le città del futuro.

Deve fare la sua parte la politica. E in Italia si sta andando nella giusta direzione, bisogna dire: la forestazione delle città metropolitane, quelle più colpite dagli effetti nefasti del cambiamento climatico, era prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con lo stanziamento di 300 milioni di euro. I Comuni stanno recependo l’istanza riconoscendo un’opportunità unica nell’iniziativa.

Anomalie termiche e non soltanto: riecco i negazionisti del cambiamento climatico

Nei tg di tutta Europa non si parla d’altro, in toni enfatici: le temperature record registrate in questi giorni sono del tutto eccezionali. Eppure gli sconvolgimenti che accompagnano le anomalie termiche (incendi, siccità, fenomeni estremi, scioglimenti dei ghiacciai) non convincono i negazionisti del cambiamento climatico.

Articoli come questo, condiviso nelle ultime ore sui social, rafforzano la tesi di quanti vorrebbero far rientrare il caldo nella normalità. Perché (dicono) c’è sempre stato. Ma il fenomeno non si può ridimensionare… Costoro, i negazionisti cronici o gli improvvisati, ignorano che l’entità del caldo non si misura solamente col barometro, ma anche attraverso altri parametri. In primis temporali: un conto è l’eccezionalità di una giornata, come fu in quel luglio del 1964, altro è la persistenza della canicola che si protrae per settimane – al Sud la temperatura è schizzata sopra i trenta gradi già da maggio. Altro ancora è l’estensione del caldo a latitudini inusuali. Vero è che il cambiamento climatico ha sempre fatto parte della storia del nostro pianeta, nell’alternanza ciclica di periodi glaciali e interglaciali, dovuta in buona parte ai movimenti dell’asse terrestre e dell’orbita; ma l’intervento umano come fattore di accelerazione verso il surriscaldamento globale è innegabile. Così i danni prodotti dalle emissioni di gas serra. Ma ancora stiamo a parlarne…

Insomma, si direbbe, siamo spacciati: se la totalità delle popolazioni non prende coscienza di quanto sta accadendo, ai danni degli abitanti e del creato, le già flebili politiche orientate all’azione di contrasto al cambiamento climatico procederanno ancora più a rilento. A dispetto dei “gretini” e di coloro che ci avevano visto lungo lanciando l’allarme qualche decennio fa. Al netto di ogni previsione catastrofica censurabile (tutti gli eccessi fanno male), non ci resta che adattarci, per quanto possibile, a queste estati sempre più roventi lunghe insopportabili.

In piazza per la salute e l’ambiente: l’altra guerra a Taranto

L’imperativo categorico: non rassegnarsi. E quindi, riaccendere i riflettori mediatici sull’ex Ilva di Taranto, calati negli ultimi anni per il susseguirsi di emergenze planetarie – dalla pandemia al conflitto in Ucraina. Ricordarsi che le sofferenze e le morti generate dall’opera umana sono tutte uguali. Inaccettabili. Sono gli obiettivi rintracciabili nella manifestazione che si terrà domenica ventidue maggio, nel capoluogo ionico, in piazza Garibaldi. Lo spunto è stato dato dall’ultima puntata della trasmissione televisiva “Che ci faccio qui”. A lanciare l’iniziativa, il Comitato per la Salute e l’Ambiente a Taranto, che ne sente tutta l’urgenza. “È importante farla adesso che Acciaierie d’Italia ha chiesto il dissequestro degli impianti”, dichiara il professor Alessandro Marescotti, che ha preso parte alla stessa trasmissione condotta da Domenico Iannacone, andata in onda su Rai3.

La manifestazione apartitica “Stop al sacrificio di Taranto” si preannuncia importante. Più di quanto organizzato in passato. E al netto delle posizioni che si possono avere sulla questione colossale, l’esercizio del pensiero critico, della dialettica, appare sempre fondamentale in un Paese democratico. Come pure la conoscenza dello stato dell’arte. A fronte di una minor produzione, se è vero che la più grande acciaieria d’Italia causa meno morti premature, come attestato dall’Organizzazione mondiale della sanità attraverso la Valutazione di impatto sanitario (studio condotto tra il 2010 e il 2015), quali sono i livelli di inquinamento attuali? Quali scenari aspettarsi? L’unica certezza, intanto, è la rappresentazione di Taranto come “zona di sacrificio” scelta per fare gli interessi economici nazionali. L’impegno per tenere insieme le ragioni di lavoro salute ambiente deve continuare. L’attesa della popolazione non può essere interminabile. C’è da riconquistare la dignità che i Governi di questi ultimi anni, in collusione con l’acciaieria, hanno calpestato, sottolinea lo stesso Comitato cittadino – Organizzazione di tutela ambientale.

Xylella, le migliori idee per il riutilizzo del legno d’ulivo

Economia circolare. Se ne parla in termini concreti nel tentativo di compensare i danni da catastrofe generati dalla Xylella fastidiosa, il batterio killer che continua a deturpare i paesaggi della Puglia, minacciando l’incolumità e la sopravvivenza dei sacri ulivi secolari, con ricadute negative sul piano economico ed ambientale. Il tema è finito al centro di “Agorà Design”. Il festival, che prenderà il via nel pomeriggio di quest’oggi, giovedì trenta settembre (si concluderà il 3 ottobre nella provincia di Lecce, a Martano), ha chiamato a raccolta le migliori menti capaci di presentare proposte sul riutilizzo del legno d’ulivo. Quello venuto fuori dalla “pandemia” in corso. Agorà Design è stato infatti preceduto da un contest indirizzato a esperti del settore e non. A progettisti, ingegneri, designer, a studenti ed artigiani. Tra i contributi spiccano due progetti internazionali provenienti dalla Turchia, da Ankara, e dai Paesi Bassi (Hilversum).

Agorà Design 2021 si tiene presso il Palazzo Baronale di Martano. È una manifestazione sostenuta da Sprech in partenariato con Adi (Associazione per il disegno industriale), con l’Ordine degli Architetti e degli Ingegneri, con la Camera di Commercio e Confartigianato di Lecce. Con l’Odg Puglia, tra gli altri. Aggregatore culturale, e di innovazione legata alla biodiversità, contiene workshop, lectio magistralis con architetti di fama mondiale. Oltre ai 100 progetti dell’Agorà Design Contest. La peculiarità dell’iniziativa, tanto longeva quanto salutare, reiterata da venticinque anni, è che i contenuti nascono dal Mezzogiorno “per contaminarsi e diffondersi come piccoli semi di rinascita”. Alle attività si può accedere liberamente fino a esaurimento posti. È consigliata la prenotazione, obbligatorio il green pass. Gli eventi sono trasmessi anche in live streaming sulla pagina Facebook di Agorà Design. Tra gli ospiti ci saranno gli architetti Antonio D’Aprile, Ludovica e Roberto Palomba, il designer Antonio Romano, il docente Francesco Zurlo. Anche giornalisti come Francesco Pagliari.

IL FOCUS – La Xylella fastidiosa ha colpito in Puglia un’area di circa 750mila ettari di superficie portando al disseccamento degli ulivi infetti. Ovvero costringendo gli agricoltori ad accatastare il legno in gran quantità. Di qui l’esigenza del riciclo, sposata alla filosofia dell’economia circolare, può dar forma ad oggetti di design, dal valore altamente simbolico oltre che pratico. Quanto al contenimento del contagio, va ricordato che l’unica misura idonea è l’eradicazione. Soluzione drastica e dolorosa, quanto necessaria. Il regolamento di esecuzione Ue 2020/1201 prevede l’obbligo di abbattimento delle piante “specificate” situate nel raggio di 50 metri (non più 100) da quelle infette. Il batterio ha devastato il Salento in particolare (milioni di piante); la sua avanzata è inesorabile, dalle provincie di Brindisi e Taranto a quella di Bari: raggiunti Monopoli, Locorotondo e Polignano, Coldiretti Puglia denuncia la positività di 15 olivi ad Alberobello.