A’ uerr è na brutta cosa

Tuffarsi negli anni della seconda guerra mondiale (1939-45) poteva sembrare operazione anacronistica. E invece non lo è affatto, ahinoi, nell’ultimissimo periodo, per quanto sta succedendo dentro i confini dell’Europa. La guerra in verità non era mai sparita. Michele Tursi si ricollega a quel periodo con riferimento alla città di Taranto, in cui è nato e cresciuto: in “Fringuella” (Altrimedia, pp. 106, 13 euro), il suo nuovo romanzo, racconta le vicende di una famiglia, tratteggia una galleria di personaggi popolari immersi nel dramma. L’ispirazione la dà la mamma dell’Autore. Che veniva chiamata Fringuella, chiarisce il testo alle prime battute, per via dell’aspetto fisico (“ero paffutella, ma saltavo come un uccellino”).

Morte e vita, memoria personale e memoria collettiva si intrecciano nel libro di MT, aperto ad immagini che ben conosce il suo concittadino, perché luoghi simbolo di una terra resiliente ma ferita. E come Fringuella, spirito battagliero, chi la abita può essere guardato oltre la superficie: può sembrare ora apatico e pigro, ora generoso e iperattivo. La storia ruota attorno all’Isola. O quella che comunemente vien detta la città vecchia, ricca di storia, ultramillenaria, di fede e di tradizioni. Anche di credenze popolari e superstizioni. Tra quei vicoli che ancora oggi odorano di cucina, sono nati avvenimenti e aneddoti consegnati alla storia. Il messaggio di fondo è sintetizzabile nell’esclamazione “A’ uerr è na brutta cosa” rintracciabile nelle stesse pagine del romanzo storico. Una sentenza che, ai giorni nostri, sa di monito rispetto a quanto va scongiurato con tutte le forze della ragione, perché foriero di paura e di sofferenze ai danni delle popolazioni. Ma le guerre “sono come le malattie, le puoi tenere sotto controllo, ma non spariscono mai, all’improvviso ritornano e si fanno sentire…” Le guerre come le pandemie. L’imprevisto che, a tradimento, irrompe. E a farne le spese sono soprattutto i più poveri. Quel che non possiamo mai perdere è l’entusiasmo, l’interesse: guardare il mondo con gli stessi occhi di Fringuella. Occhi scintillanti di curiosità. Sguardi che cercano la scoperta attraverso le domande poste. E poi la forza della famiglia è un valore da rinsaldare nei momenti di prova, rifugio, ricchezza da tramandare nel viaggio tra generazioni. L’unione contrapposta ai fanatismi che generano l’orrore della guerra e della distruzione. Perché le bombe, i colpi di piccone o gli ultramoderni missili nucleari che le superpotenze hanno in dotazione, possono demolire gli edifici, ma non gli ideali delle persone perbene.

Grazie a Michele Tursi per averci riportato al confronto con la storia. Il giornalista, ricordiamo, direttore de “la Ringhiera”, ha all’attivo altre pubblicazioni. Opere scritte a quattro mani: “I giorni di Taranto” (Scorpione editrice, 2014) e “Le mani di Persefone” (Besa editore, 2010). Con Fringuella dimostra doti da scrittore puro, nella capacità di descrivere e rielaborare per mezzo della rievocazione in modo limpido e insieme dovizioso.

(Pubblicato su “Lo Jonio” nr 222)